Extra profitti Eni: la tassa triplica e raggiunge 1,4 miliardi, ma le aziende protestano
È arrivato il verdetto dell’Agenzia delle Entrate per Eni: dovrà pagare entro novembre 1,4 miliardi di euro di tasse invece dei 550 milioni già versati. E’ stato un processo lungo, non privo delle reticenze del gigante energetico nazionale, nonostante gli utili realizzati l’anno scorso ammontino a 4,7 miliardi, e intorno ai 7 miliardi nel primo semestre 2022. Subito dopo la notizia si è manifestata l’insofferenza dei mercati, dove i titoli Eni sono calati del 4%. A marzo, quando il decreto Decreto Energia del governo Draghi è stato firmato, ancora nessuno si preoccupava a Piazza Affari, sottovalutando la portata della norma.
Poi a metà luglio l’Agenzia delle Entrate ha precisato che anche le attività svolte all’estero sono incluse nel calcolo per la tassa sugli extra profitti definita dal decreto. Inoltre il governo, constatando che diverse aziende alla scadenza di giugno ancora non avevano pagato la tassa, ha fatto un stretta prevedendo una penale del 60% per i ritardatari. Eni ha quindi proceduto al pagamento accettando il salasso.
Per quanto lauto sembri il guadagno per il governo, si tratta di una tassa una tantum. Inoltre, nonostante il nome, la tassa non viene imposta sui profitti ma sull’aumento di fatturato nel 2021 rispetto al 2020. La somma confluirà nei fondi (stimati a 3,6 miliardi) destinati a finanziare le misure previste dal governo per rispondere al caro energia, dalle accise sul carburante ai diversi bonus sociali. Ma resta da vedere se le altre aziende tenute a pagare la tassa saranno mansuete quanto Eni. Già Acea ha fatto sapere che intende impugnare la norma, per la quale ha pagato 28,5 milioni di euro, definendola illeggittima anche dal punto di vista costitutuzionale, secondo Agi.