Ecco cosa c’è dietro la vendita di Eataly
Oscar Farinetti ha ceduto il controllo di Eataly al fondo (straniero) di Andrea Bonomi. Dietro l'operazione ci sono le difficoltà finanziarie della catena. E il super flop del parco tematico "Fico"
Dalla scorsa settimana Eataly è un po’ meno italiana. Oscar Farinetti, l’imprenditore col baffo di Alba che l’ha fondata una ventina d’anni fa, ha ceduto il controllo a Investindustrial, fondo d’investimento con sede a Londra guidato dal noto finanziere Andrea Bonomi, nato e cresciuto a New York, doppio passaporto americano e svizzero. Stando al comunicato ufficiale, l’operazione punta a «supportare la crescita a livello internazionale di Eataly, ambasciatore del food Made in Italy», ma dietro il passaggio di consegne – con contestuale aumento di capitale da 200 milioni di euro interamente finanziato dall’acquirente – ci sono anche le difficoltà finanziarie in cui versa la catena di locali “gastrofighetta” ideata da Farinetti, dove alla bottega alimentare di alta fascia si affianca il ristorante tradizionalmoderno.
Investindustrial ha messo sul piatto complessivamente 340 milioni di euro (cifra rivelata da MilanoFinanza) per rilevare il 52% del gruppo e azzerare un indebitamento che pesa sui conti per oltre 200 milioni. Rispetto a tre anni fa, quando la quotazione a Piazza Affari sembrava imminente e si parlava di una valutazione da 2 miliardi, Eataly ha perso valore: oggi vale 600 milioni compresi i debiti. Il 2021, ancora segnato dalle restrizioni contro il Covid, si è chiuso con una perdita di 31 milioni di euro a fronte di 464 milioni di ricavi, mentre l’Ebitda (cioè il margine di guadagno derivante dalla gestione operativa) ammonta a 14 milioni, pari ad appena il 3% del fatturato. Significa che – al netto di interessi, tasse, ammortamenti e svalutazioni – per guadagnare un euro Eataly deve incassarne 33: la redditività, insomma, è bassa, come ammesso anche dallo stesso Andrea Bonomi, fondatore e amministratore delegato di Investindustrial.
Bonomi Dynasty: dal Pirellone a Rcs
Newyorkese con casa a Lugano, il 57enne neo-padrone della catena dello slow food made in Italy è nipote di Anna Bonomi Bolchini, famosa nella Milano del secondo dopoguerra come «la sciura dei dané» per la sua energica indole imprenditoriale, dal mattone (la costruzione del Pirellone fu opera sua) alle banche, alle assicurazioni, fino alla fondazione di Postal Market. Suo padre era Carlo Campanini Bonomi, che nel 1985 si vide sfilare il controllo della finanziaria di famiglia, la Bi-Invest, dall’allora presidente della Montedison Mario Schimberni: per lo smacco decise di ritirarsi a Londra.
Andrea Bonomi è cresciuto nel mondo anglosassone e ha fondato Investindustrial nel 1990 determinato a riportare in alto il nome della dinastia. Ha sempre guardato all’Italia con interesse. Nel corso degli anni, affiancato da Mediobanca, è stato presidente della Banca Popolare di Milano e ha fallito la scalata alla Rcs contro Urbano Cairo. Ha comprato e poi rivenduto partecipazioni in gruppi come Aston Martin, Ducati, Coin, Gardaland. Oggi il suo fondo di private equity gestisce un portafoglio di asset da 11 miliardi di euro – tra cui Jacuzzi ed Ermenegildo Zegna – con una forte impronta globale: ha uffici in Svizzera, Spagna, Regno Unito, Francia, Stati Uniti, Lussemburgo, Cina, ma nessuno nel nostro Paese.
È solo ultimamente che Bonomi ha puntato forte sull’alimentare, mettendo le mani su Dispensa Emilia, La Doria, Italcanditi e sui brand statunitensi Treehouse e Parker Foods. E adesso ecco l’operazione sui 44 negozi (sparsi in 15 diversi Paesi) di Eataly. Dove ad accoglierlo, peraltro, ci sono sindacati già in stato di allarme. «Siamo preoccupati», dice a TPI Luca De Zolt, funzionario della Filcams-Cgil. Il riferimento è in particolare a due precedenti che hanno visto le sigle contrapposte al finanziere: Valtour, comprata da Investindustrial nel 2016 e poi finita in liquidazione; e Artsana-Prenatal, dove il fondo – che tuttora ne è proprietario – ha prima di tutto tagliato i costi, inclusa la disdetta del contratto integrativo aziendale. «Il suo approccio “aggressivo” finora non ha prodotto grandissimi risultati in termini di re-industrializzazione», osserva il sindacalista De Zolt. «E ci sorprende la virata di Investindustrial sul retail e sulla ristorazione e il turismo, settori con logiche completamente diverse rispetto a quelle dell’industria».
Dove nascono i problemi di Eataly
Il fondo di Bonomi ha già scelto il nuovo amministratore delegato di Eataly: sarà Andrea Cipolloni, manager viterbese cresciuto in Autogrill. Sulla poltrona di presidente andrà invece a sedersi Nicola Farinetti, figlio di Oscar, attuale amministratore delegato. La famiglia Farinetti, che finora controllava il gruppo con il 58% delle azioni, diventerà socia di minoranza, spartendosi il 48% insieme agli altri attuali azionisti: la Tamburi Investment Partners, la famiglia Baffigo-Miroglio e Coop Alleanza 3.0.
Con parte della somma investita, Investindustrial acquisterà da Joe Bastianich e Alex Saper il 40% di Eataly Usa. Il mercato americano ha garantito per anni ricchi profitti al gruppo: non a caso la frenata sui ricavi imposta dalle chiusure anti-Covid – che ha colpito Eataly più o meno ovunque nel mondo, con ricavi consolidati crollati del 30% – è stata particolarmente dolorosa Oltreoceano. Ai lockdown e a un modello di business che già di suo si è rivelato scarsamente remunerativo, si sono aggiunte inoltre alcune scelte rivelatesi poco azzeccate, come le aperture a Forlì e Bari, dove a inizio 2021 le serrande sono state abbassate lasciando senza lavoro un’ottantina di addetti. Poche settimane prima dell’esplosione della pandemia, Eataly era stata ambiziosamente trasformata da Srl a SpA – cambio preceduto da un doppio aumento di capitale da 45 milioni– ma lo scatto in avanti atteso (e necessario) non c’è stato. E neanche la ventilata quotazione in Borsa. Dall’inizio del 2021 all’interno della compagine sociale è aumentato il potere del banchiere Giovanni Tamburi, la cui moglie, Alessandra Gritti, è stata nominata presidente. Per provare a sistemare i conti, nei mesi seguenti si è proceduto ad alcune dismissioni, come la vendita (per 60 milioni) dell’ex Teatro Smeraldo a Milano, dove ha sede un mega-negozio della catena (che oggi è in affitto).
A pesare, poi, è stato anche il flop ormai conclamato di Fico Eatalyworld, il parco tematico dell’agroalimentare inaugurato a fine 2017 a Bologna insieme a Coop. Era stato pensato per affermarsi come “la Disneyland del cibo italiano”, ma ha finito con l’accumulare negli anni 7,5 milioni di euro di perdite, con un numero di visitatori drammaticamente sotto le attese (nel 2019, ultimo anno pre-pandemia, erano stati appena 1,6 milioni contro i 4 preventivati). I risultati deludenti hanno fatto sì che nel bilancio del gruppo la partecipazione in Fico sia stata svalutata del 100%.
Malgrado tutte queste difficoltà, Eataly continua ad aprire nuovi negozi: gli ultimi in ordine di tempo sono stati in California e a Fiumicino; il prossimo sarà a Verona (inaugurazione il 5 ottobre). Ma ora la realtà bussa alla porta. La vendita a Investindustrial certifica una mezza sconfitta per Oscar Farinetti: l’imprenditore “di successo che vota Pd” è costretto a passare la mano per salvare dai problemi finanziari la sua creatura. Una cessione molto diversa – per le necessità che l’hanno innescata – da quella che nel 2002 lo vide piazzare per mezzo miliardo di euro la catena che era stata fondata da suo padre, Unieuro, rilevata dagli inglesi di Dixons. Interpellato da TPI, Farinetti ha spiegato che «da anni» non è «operativo» e che ormai si occupa di tutto il figlio Nicola. Abbiamo provato a contattare anche lui, il quale però ha preferito declinare la nostra richiesta di commento. Anche il neo-proprietario del gruppo, Andrea Bonomi, ha preferito non rilasciarci dichiarazioni.