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Home » Economia

Due anni d’inferno a Facebook

Immagine di copertina
Facebook ha 2,2 miliardi di utenti attivi (dati di dicembre 2017) e riceve il 7% dell'intera spesa pubblicitaria mondiale (fonte: Statista). Credit: Kimihiro Hoshino/Afp

Come Mark Zuckerberg ha deciso di affrontare i problemi del social network per eccellenza | Un estratto dalla newsletter dedicata agli iscritti TPI Plus

Un’inchiesta molto citata (e molto lunga) dell’edizione statunitense di Wired racconta gli ultimi due anni “infernali” all’interno di Facebook, con inediti retroscena che mostrano come il fondatore Mark Zuckerberg e i più alti dirigenti abbiano dovuto gradualmente riconoscere quanto la piattaforma avesse un impatto sulla società e come questo non fosse forse così positivo.

Faziosità e fake news

L’odissea di Facebook è iniziata a marzo 2016, con la sospensione di un giornalista parte del team che selezionava le storie da includere all’interno di Trending Topics, un elenco delle notizie più popolari e rilevanti del momento.

Benjamin Fearnow aveva passato a un giornalista suo conoscente informazioni che mostravano come il team in cui lavorava escludesse molte notizie provenienti da siti conservatori, considerati più inaffidabili delle controparti liberal come New York Times e CNN.

Lo scoop ha inevitabilmente creato a Facebook molti nemici nella destra americana e ha aperto il dibattito su come il social network più grande al mondo influenzasse le informazioni lette da miliardi di persone, una polemica che nei mesi successivi si è tutt’altro che placata.

Meno di sei mesi dopo, Facebook aveva allontanato l’intero team e affidato la selezione delle notizie a un gruppo di ingegneri. Tuttavia l’utilizzo di algoritmi ha presto messo in mostra tutti in limiti della piattaforma, facendo emergere notizie spesso false che generano forte interazione tra gli utenti e li spingono verso opinioni sempre più polarizzate, inaugurando cosi l’era delle fake news.

“Time well spent”

Parallelamente, alcuni ex dipendenti e collaboratori di Zuckerberg, che hanno avuto ruoli più o meno importanti nei primi anni dell’azienda, hanno iniziato a dissociarsi pubblicamente dalla deriva che stava prendendo Facebook arrivando a creare un movimento che chiede di fare in modo che il tempo passato sulla piattaforma arrivi a essere considerato “ben speso” dagli utenti.

Time well spent è una noprofit lanciata da Tristan Harris, un ex product manager di Google, che vuole spingere chi si trova di fronte agli schermi a mettere in discussione le scelte di design fatte da aziende come Facebook, Google e Snapchat, volte a trascinare gli utenti in un vortice di interazione che, alla fine, non fa altro che rendere le persone infelici.

La tesi è stata confermata anche da studi scientifici e ha convinto anche ex pesi massimi di Facebook a schierarsi pubblicamente contro l’azienda.

“Non so se ho veramente capito le conseguenze di quello che dicevo” ha dichiarato lo scorso novembre Sean Parker, uno dei primi soci di Facebook, riferendosi alle sue forti prese di posizione nel promuovere la piattaforma durante i primi anni.

“Dio solo sa quello che sta facendo ai cervelli dei nostri figli” ha aggiunto Parker, che nel popolare film The Social Network era interpretato dalla popstar Justin Timberlake.

Come in altri casi Facebook, dopo le reazioni inizialmente sprezzanti, ha dovuto ammettere che le critiche avevano colto nel segno e ha ammesso che il proprio prodotto poteva essere dannoso alla salute, attirandosi paragoni con le multinazionali del tabacco.

Social-guerra fredda

L’elezione di Donald Trump può essere considerato il vero momento-spartiacque della vicenda, che ha aperto la porta all’accusa più grave secondo una parte dell’opinione pubblica: aver fatto eleggere il più improponibile dei candidati permettendo a una potenza straniera di influenzare le elezioni.

Una tesi in parte condivisa da molti dipendenti di Menlo Park, che come tutta la Silicon Valley tende a votare a sinistra.

Anche in questo caso inizialmente Facebook ha minimizzato, pubblicando poi un rapporto che spiegava come un governo avrebbe potuto abusare della piattaforma ma che tuttavia conteneva pochi dettagli e non citava direttamente la Russia. Secondo Wired, il team della sicurezza aveva trascorso sei mesi a documentare queste manipolazioni, ma il lavoro finale era stato tagliato e annacquato per evitare ulteriori contraccolpi alla reputazione di Facebook.

Questo non ha fatto altro che ritardare l’inevitabile: pochi mesi dopo alcuni ricercatori indipendenti hanno scoperto che le fake news pubblicate da sei account associati ai russi, che Facebook aveva sospeso ma lasciato online, erano stati condivisi oltre 340 milioni di volte.

Rimorso

A novembre finalmente Mark Zuckerberg ha annunciato la sua intenzione di dare una sterzata e eventualmente anche sacrificare profitti pur di difendere la comunità di utenti di Facebook, dicendosi “arrabbiato” per come i russi avessero usato il suo social network “per seminare discordia” e impegnandosi affinché il tempo passato su Facebook sia ben speso, well spent, citando i suoi critici.

La dichiarazione è arrivata proprio mentre il fondatore di Facebook si trovava a commentare i risultati per il trimestre, come al solito record: 10,3 miliardi di dollari fatturati, con una crescita del 47% rispetto all’anno precedente.

Di questi, il 98% deriva da ricavi pubblicitari, a testimonianza del dominio che la piattaforma, assieme a Google, esercita sul mercato pubblicitario online. Nonostante questi risultati, Zuckerberg sembrava portare i segni delle critiche che stavano colpendo Facebook.

A una riunione di fronte ai suoi dipendenti aveva un aspetto che suggeriva “non dormisse bene”, secondo Wired. “Credo abbia rimorso per quello che è accaduto” ha aggiunto il dipendente citato dalla testata.

All’inizio del nuovo anno Zuckerberg ha annunciato la sua sfida personale per il 2018. Nel suo post il fondatore del social network per eccellenza si è impegnato a risolvere, citandoli, tutti i problemi emersi nei due anni precedenti, aggiungendo che “il mondo sembra ansioso e diviso e Facebook ha molto da fare”.

Era la nona volta consecutiva che Mark Zuckerberg pubblicava il suo “personal challenge” per l’anno a venire, una tradizione che ha segnato il percorso del più giovane miliardario della storia, che, solo nel 2009, si impegnava a indossare una cravatta.

 


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