“La crisi dell’auto? Colpa dei manager, non dell’elettrico”: intervista a Michele De Palma (Fiom)

"Stellantis ha tagliato anziché investire. Volkswagen non ha visto arrivare i cinesi. Ma anche l’Ue ha commesso gravi errori: gli altri hanno fatto politica industriale, noi abbiamo smesso. E i salari sono troppo bassi. Elkann? Inaccettabili i dividendi mentre gli operai sono in cassa e l’azienda fa -70% di utile. Ora si danno tutte le responsabilità a Tavares, ma chi lo ha nominato?". Intervista a Michele De Palma, segretario generale della Fiom-Cgil
Voi della Fiom-Cgil, insieme alla Fim-Cisl e alla Uilm-Uil, avete proclamato per il 28 marzo uno sciopero di 8 ore dei metalmeccanici per chiedere di riaprire le trattative sul contratto nazionale, scaduto a giugno 2024. La rottura con Federmeccanica e Assistal si è consumata sugli aumenti in busta paga. Ci spiega?
«Questa mobilitazione arriva dopo altre 16 ore di sciopero che abbiamo già fatto tra dicembre e febbraio. Ma il nodo non sono gli aumenti in busta paga in sé o le nostre richieste rispetto all’orario di lavoro o alla stabilizzazione dei rapporti. Il problema è più grande: Federmeccanica e Assistal si sono dette indisponibili in toto a negoziare sulla piattaforma che noi abbiamo presentato un anno fa: un comportamento dal nostro punto di vista irresponsabile e antidemocratico».
«C’è crisi», dicono le associazioni delle imprese. E propongono di legare gli aumenti all’inflazione.
«Noi non neghiamo il fatto che ci sia la crisi. A volte però la crisi viene strumentalizzata. Sono proprio i lavoratori i primi a pagarne le conseguenze con la cassa integrazione, con la perdita dei premi di produzione, con gli stop alla contrattazione di secondo livello. Le ricchezze in questi anni si sono ulteriormente concentrate a svantaggio del potere d’acquisto del lavoro. Il punto è come la si affronta, la crisi. Secondo noi va affrontata rinnovando il contratto nazionale».
Perché?
«Perché per rilanciare l’industria in Europa bisogna far ripartire la domanda interna: quando lo dicevamo noi ci davano dei matti, adesso lo dice persino Mario Draghi… Ma per rilanciare la domanda interna servono tre fattori. Primo: l’aumento dell’occupazione, o almeno la tenuta dell’occupazione. Secondo: l’aumento del potere d’acquisto dei salari. Terzo: agire sulla pressione fiscale, e noi infatti chiediamo la detassazione degli aumenti dei minimi contrattuali. Il contratto è uno strumento di politica economica-industriale: dietro la nostra piattaforma c’è una visione politica per il Paese».
E dire che i vostri sindacati negli ultimi anni avevano unito le voci con Federmeccanica per richiamare l’attenzione della politica sulla crisi dell’automotive. Ora il fronte si è rotto.
«Con Federmeccanica condividiamo una considerazione: se in Italia e in Europa non ci diamo una politica industriale, è finita».
Il 5 marzo la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha presentato un piano per l’automotive che conferma la dismissione delle vetture a combustione, ma rinvia le multe per le case costruttrici che inquinano. È politica industriale questa?
«Semmai, è la conferma che sbagliare è umano ma perseverare è diabolico. Anziché fare un bilancio degli errori commessi in questi anni, l’Ue insiste nel pensare che bastino regolamenti e incentivi al mercato per risolvere il problema della competizione internazionale. Cina e Stati Uniti hanno investito centinaia di miliardi di dollari sulle loro industrie, e la Commissione europea che fa? Mette appena 2 miliardi di euro per le batterie “Made in Ue”, una cifra talmente ridicola che mi rifiuto di commentarla… Anche l’idea di rinviare le multe per le case automobilistiche significa prendere tempo in una fase in cui i nostri competitor continuano ad avanzare. Così il gap tra noi e loro aumenta».
Come Fiom siete a favore del divieto di vendere auto nuove a combustione dal 2035 nell’Ue?
«Gli scienziati ci dicono che per preservare il pianeta serve una transizione industriale che porti a ridurre l’impronta carbonica. E per raggiungere quest’obiettivo, la tecnologia ritenuta più efficace nel settore automotive è l’auto elettrica. La domanda da farsi, oggi, è un’altra: perché l’Europa ha perso competitività in questo settore?».
Risposta?
«Perché gli altri sono andati più veloci di noi. E non solo nell’auto elettrica. La maggior parte delle auto cinesi vendute oggi in Europa sono a motore endotermico. Se in Italia abbiamo perso capacità produttiva non è colpa della transizione verso l’elettrico: sono più di 15 anni che nelle fabbriche italiane si va avanti con gli ammortizzatori sociali e 15 anni fa di auto elettrica nemmeno si parlava… Il problema da noi è che non sono stati fatti investimenti in ricerca e sviluppo per realizzare auto competitive sul mercato. Le auto di Stellantis non si vendono».
Le elettriche si vendono poco anche perché costano molto.
«Il problema sta nel modello di business. Il fordismo ci ha insegnato che per vendere le auto che si producono bisogna alzare i salari ed efficientare la produzione. L’auto è un prodotto per la mobilità che va reso accessibile alle persone. Oggi invece se ne parla come fosse un prodotto finanziario».
Altro problema pratico che frena le auto a batteria: mancano le colonnine di ricarica.
«Prima del tema infrastrutturale, c’è quello dell’energia. In Europa abbiamo prezzi energetici molto diversi da Paese a Paese. Germania e Italia sono quelli che hanno le tariffe più alte. Abbiamo bisogno di una centrale unica di acquisto dell’energia in Europa per livellare i prezzi. Serve dar vita a una filiera della produzione e della distribuzione dell’energia».
A proposito di filiera: la Cina ha quasi il monopolio delle batterie per auto elettrica.
«Ripeto: se siamo arrivati a questo punto è perché da anni non facciamo politica industriale. I soldi del Pnrr sarebbero dovuti servire proprio a creare filiere di questo tipo».
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Dalla Cina arrivano anche i problemi che hanno messo in crisi Volkswagen.
«La colpa è del management di Volkswagen, che durante la pandemia non si è reso conto del sorpasso tecnologico che stava avvenendo da parte dei cinesi con investimenti in ricerca e sviluppo. Non li hanno visti arrivare».
Come se ne esce?
«Di certo non tornando indietro. Dobbiamo iniziare a correre. In avanti, però».
Stellantis ha annunciato 2 miliardi di euro di investimenti per il 2025 in Italia. Vi conforta?
«Stellantis è in picchiata, continua a perdere quote di mercato in Italia e in Europa. Nel 2024 ha prodotto nel nostro Paese meno di 300mila auto, un record negativo storico che quest’anno rischiamo di replicare. Il management in questi anni ha puntato sul taglio dei costi a vantaggio della rendita finanziaria degli azionisti. È stato bruciato il valore di marchi come Maserati e Alfa Romeo. Non si fa ricerca e sviluppo. In tutto questo, ricordo che, dopo le dimissioni di Tavares, non c’è ancora un amministratore delegato. E la soluzione sarebbe annunciare 2 miliardi di euro? Ma per favore…».
A Mirafiori si anticiperà a novembre la produzione della 500 ibrida. Almeno questa è una buona notizia?
«È un intervento tampone, ma il punto è che manca un piano. Siamo stanchi degli annunci che poi vengono smentiti il giorno dopo».
Avete novità sulla gigafactory di Termoli?
«No, ma il Governo ha già detto che se il progetto non decolla i soldi pubblici destinati a quell’impianto saranno destinati altrove».
Il Governo nell’ultimo anno si è scontrato duramente con Tavares, che chiedeva più incentivi all’acquisto. Almeno su questo eravate d’accordo con Meloni?
«Al Governo abbiamo sempre chiesto che le risorse fossero messe sugli impianti, sulla transizione, sul lavoro. E che gli incentivi alla domanda fossero riservati ad auto prodotte in Italia».
Nonostante il crollo del 70% dell’utile, il cda di Stellantis proporrà agli azionisti dividendi per 2 miliardi di euro. Uno schiaffo ai lavoratori in cassa?
«I dividendi andavano bloccati. Non è ammissibile tenere i lavoratori in cassa integrazione e poi vedere remunerata una classe dirigente che ha fallito i suoi stessi obiettivi. Noto che adesso si tenta di dare tutta la colpa a Tavares, ma chi lo ha nominato?».
Il presidente è John Elkann…
«Non so davvero come faccia a stare in così tanti consigli d’amministrazione».
Vi aspettavate tempi più celeri la nomina del nuovo a.d.?
«Ricordo che quando morì Marchionne, si trovò rapidamente un sostituto. Di certo questa situazione non fa bene all’azienda. Oggi Stellantis avrebbe bisogno di un amministratore delegato che abbia in testa tre parole d’ordine: innovazione, investimenti, lavoratori».
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