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Home » Economia

Come rilanciare l’economia italiana dopo il Coronavirus? Le proposte di Azienda Italia

Immagine di copertina
A woman wearing a protective face mask walks at Piazza Affari where Palazzo Mezzanotte, headquarters of the Italian Stock Exchange, is located, in Milan, Italy,

L'associazione, appena fondata, ha già raccolto l'adesione di 240 tra imprenditori, manager di PMI, liberi professionisti e anche lavoratori dipendenti. Le sue proposte all'attenzione della politica: "Non siamo ostili a nessun partito, siamo a disposizione di tutti"

Come farà l’economia italiana a ripartire, nella “fase 2” dell’emergenza-Coronavirus? La domanda è sempre più attuale, visti i positivi dati sulla riduzione di nuovi contagi, ingressi in terapia intensiva e pazienti deceduti. Un contributo arriva da Azienda Italia, neonata associazione che ha già raccolto l’adesione di 240 tra imprenditori, manager di PMI, liberi professionisti e anche lavoratori dipendenti.

A presiedere Azienda Italia è uno dei suoi fondatori: Karim Shahir Barzegar, imprenditore di origini persiane, nonché advisor per diversi fondi di Private Equity & Venture Capital.

Insieme a lui, con lo scopo di sostenere, strutturare e rilanciare il mondo del lavoro in seguito all’emergenza-Coronavirus, nel consiglio direttivo ci sono Andrea Minazzi (segretario), Robert Gianfardoni (tesoriere e cofondatore) e Matteo Ferraris (cofondatore).

Il primo atto di Azienda Italia è stata la pubblicazione di un position paper con una serie di proposte per il rilancio del mondo del lavoro, sottoposte all’esame dei decisori istituzionali: “Azienda italia non ha una posizione politica, non è contraria e ostile a nessun partito, ma anzi è a loro disposizione. Pretende che il benessere di tutto il mondo del lavoro e soprattutto quello delle comunità in cui nascono e vivono le proprie aziende sia messo al centro”, recita il documento.

Le proposte sono numerose, articolate su cinque assi fondamentali rappresentati da politiche sociali, ecosistemi di business, ambiente, infrastrutture e ricerca

Per approfondire il merito del progetto Azienda Italia e dei suoi suggerimenti operativi, TPI ha incontrato il segretario dell’associazione, Andrea Minazzi, che lavora nel settore degli investimenti industriali, orientati al salvataggio e rilancio di imprese.

Quando è nata l’idea di Azienda Italia e quando siete diventati operativi?

L’idea è nata qualche mese fa, dopo una lunga serie di confronti con il mondo del lavoro, imprenditori, liberi professionisti e lavoratori dipendenti. Ogni categoria esprimeva il forte disagio dovuto alla mancanza di azioni e risposte all’incertezza ed alla fragilità del mondo del lavoro italiano da parte delle istituzioni. La nascita formale coincide, casualmente, con l’inizio dell’emergenza-Coronavirus in Italia, abbiamo perciò deciso di concentrare i punti programmatici del manifesto su una serie, venti, di proposte concrete come soluzioni immediate a fronteggiare la crisi che, noi imprenditori, avvertivamo ormai dal mese di dicembre 2019, quando i mercati asiatici davano già forti inequivocabili segnali di instabilità. Nei venti punti, tutti scaturiti dall’approfondito dibattito tra tutte le componenti di Azienda Italia, indichiamo interventi, immediatamente realizzabili, a tutela del tessuto socioeconomico del Paese, parallelamente ad indicare azioni urgenti per contrastare e risolvere l’emergenza sanitaria.

Quali sono, ad oggi, i settori maggiormente rappresentati e quelli dove pensate che ci siano i maggiori margini di espansione?

Azienda Italia raccoglie tutto il mondo del lavoro. Pur frutto dell’iniziativa di alcuni imprenditori, paradossalmente la categoria più rappresentata è quella dei lavoratori dipendenti. Le aziende dei fondatori e dei soggetti che hanno aderito al progetto per primi, impiegano oltre 4.000 addetti. L’associazione non si pone come antagonista delle organizzazioni sindacali piuttosto che imprenditoriali, ma ha l’ambizione di portare le istanze di tutto il mondo del lavoro sui tavoli istituzionali. Impresa e lavoratori sono i soggetti attivi che finanziano l’attività dello Stato e garantiscono lo sviluppo dei territori, senza dimenticare il sostegno alle fasce più deboli. Un tessuto imprenditoriale sano, con il corretto sostegno dello Stato costituisce le fondamenta di crescita e benessere per l’intera comunità.

Tra le vostre proposte c’è l’esposizione della bandiera italiana fuori dalle aziende: è una scelta di tipo emotivo? Andrebbe esposta anche fuori dalle aziende italiane la cui maggioranza è in mano a soggetti stranieri?

E’ indispensabile riacquisire consapevolezza di operare, pur con estrema difficoltà, nel secondo Paese (una volta primo) più industrializzato d’Europa e che detiene oltre il 70% del patrimonio culturale mondiale. Esibire la bandiera non è solo un gesto dettato dall’emotività del momento, ma un messaggio vigoroso nei confronti delle istituzioni e dell’Europa del senso di appartenenza ed unità che dobbiamo riacquisire per vincere la sfida del cambio epocale generato dalla pandemia. Azienda Italia guarda alla comunità dalla prospettiva del mondo del lavoro, perciò sì, anche le aziende a controllo straniero presenti sul territorio italiano sono invitate a fare lo stesso perché, al pari delle altre, contribuiscono al monte fiscale ed all’occupazione fondamentali per crescita e benessere. Aggiungo che è doveroso far sentire quelle aziende parte di un sistema solido che protegge gli investimenti sul proprio territorio. Le imprese hanno perciò per prime il dovere di riunire la comunità tutta sotto il vessillo nazionale che non può più essere dimenticato nelle cantine fino ai prossimi mondiali di calcio.

Tra i vostri obiettivi c’è il dialogo con le istituzioni: quali sono le difficoltà che incontrate come singole aziende in questo ambito?

La burocrazia è l’unico vero nemico del nostro sistema. Le comunicazioni, in senso stretto del termine, con le parti sociali e le istituzioni non sono impossibili, al contrario in alcune regioni abbiamo notato un cambio di tendenza netto rispetto al passato ed un’attenzione, anche da parte dei sindacati, verso il mondo imprenditoriale, perché si sta ormai affermando la consapevolezza che l’impresa è il motore trainante per l’intera comunità. Purtroppo le singole imprese faticano, anche all’interno delle organizzazioni di settore, a vedere le proprie istanze trasformate in provvedimenti utili per il mondo del lavoro, spesso a causa di una burocrazia invadente che scoraggia i singoli soggetti ad intraprendere qualsivoglia azione concreta. Azienda Italia si muove in rappresentanza di una comunità che sta crescendo quotidianamente e, speriamo presto, possa rappresentare in sede istituzionale tutti gli associati.

La burocrazia è un ostacolo che molti indicano come problematico, ma come è possibile superarlo?

Il primo passo per ovviare al problema è ristabilire il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni. Abbiamo visto che sostanzialmente tutti i membri industrializzati dell’Unione Europea hanno già erogato, non garanzie, ma fondi al mondo del lavoro pur essendo stati colpiti dall’onda-Coronavirus molto tempo dopo l’Italia. Innanzitutto gli iter governativi per l’emissione dei provvedimenti sono stati tutti bypassati, nelle altre nazioni, al fine di dare risposte immediate ai cittadini che, questa la nota più importante, hanno potuto accedere agli aiuti, reali, messi a disposizione dallo Stato con una semplice autocertificazione, evitando le settimane di burocrazia che, in questo caso, potrebbero causare l’estinzione di molte realtà e la perdita, irreversibile, di oltre un milione di posti di lavoro nel nostro Paese.

Giustamente, in questa fase storica, nel vostro documento parlate diffusamente di medicina e della necessità di regolamentare i prezzi dei DPI, che però sono difficilissimi da trovare. Quali suggerimenti avreste per risolvere il problema?

Nel dramma dell’emergenza sanitaria, la pandemia ha decretato la fine della globalizzazione senza regole. Gli Stati, in particolare il nostro, non erano in grado negli ultimi decenni di creare un ambiente favorevole al prosperare dell’impresa, favorendo perciò il decentramento di molte produzioni all’estero o, spesso, demandando la produzione di certe merceologie considerate non strategiche o poco remunerative a nazioni lontane dove la debolezza di regolamentazioni permetteva di produrre a costi decisamente inferiori rispetto ai nostri. L’Italia deve tornare ad essere il luogo in cui le produzioni vengono incoraggiate e, in particolare, la produzione di presidi medico chirurgici e dispositivi di sicurezza individuale non può non rivestire un ruolo fondamentale per la stabilità della nazione, soprattutto nella certezza che i nostri parametri qualitativi ed il livello dei controlli di sicurezza dell’ISS e delle altre agenzie governative sono di molto superiori agli standard esteri. Nell’immediato è urgente favorire la riconversione di alcune produzioni per far fronte all’enorme necessità dovuta all’emergenza, ma allo stesso tempo lo Stato deve dar luogo alla rinascita, magari in quei distretti del tessile ormai abbandonati, di realtà produttive moderne che possano soddisfare la domanda di DPI e tecnologie affini in Italia e nell’Unione Europea.

Il Codice degli Appalti attualmente in vigore vi sembra adeguato o andrebbe modificato?

Per come è strutturato in questo momento, il Codice degli Appalti è assolutamente inutile. Troppo complicato e contraddittorio. E’ probabilmente la prima delle azioni da fare affinché il Paese possa ripartire sul serio ed ambire a diventare una realtà moderna con una visione futura. Se legge anche solo l’art. 1 del dl 50 del 10.04.2016, avverte immediatamente l’inaccessibilità a questa forma di regolamentazione per quelle imprese che non sono strutturate per districarsi tra le 196 pagine del decreto (con vari riferimenti a leggi e provvedimenti precedenti), quindi sostanzialmente tutte, o quasi, le imprese italiane. L’eccesso di burocratizzazione del sistema rende quasi impossibile interagire in maniera costruttiva con le istituzioni e assicurare il progresso di tutto il Paese.

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