Tutte le bugie di Di Maio su Carige, smascherate dal testo del decreto: il fact checking
Sul Blog delle Stelle Di Maio ha difeso l'operato del governo su Carige, sostenendo che non c'entra nulla con le leggi "salva banche" del PD. Ma le cose stanno diversamente
Il Sole 24 Ore ha di recente dimostrato come il decreto su Banca Carige sia in sostanza un copia-incolla di quello licenziato nell’era Gentiloni.
Tuttavia, tra le staffilate che Di Maio ha sferrato per difendersi e allontanare i fantasmi di quei “salva-banche” tanto condannati quanto offesi, sul Blog delle Stelle il ministro pentastellato ha spiegato in 10 punti come le due norme siano per contenuto e finalità estranee l’una all’altra.
Al grido di “non abbiamo dato un euro alle banche”, la difesa di Luigi Di Maio ha evidenziato anche delle contraddizioni con il testo della bozza, il quale, per il semplice fatto che le norme europee da rispettare per il salvataggio statale sono rimaste invariate, racconta per molti capitoli la stessa storia del Dl 237/2016.
TPI ha confrontato quanto scritto dal vicepremier sul Blog con il testo del decreto e la cruda realtà dei fatti. Ecco il risultato.
“Nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un Fondo con una dotazione di 1,3 miliardi di euro per l’anno 2019”.
L’articolo 22 al comma 1 non sembra dello stesso avviso. Il fondo verrà utilizzato per il consolidamento patrimoniale dell’istituto di credito genovese (300 milioni) e per sostenerne le azioni (1 miliardo).
Nel decreto approvato in questi giorni viene concesso al Mef di acquistare azioni di Banca Carige; un percorso che, speranze permettendo, sembra essere da mesi il favorito.
Il caso Mps dovrebbe insegnare. Lo Stato, nella condizione attuale, è l’azionista di maggioranza dell’istituto senese, non il proprietario.
Senza contare quello che c’è scritto nell’articolo 18, comma 1, del decreto in questione: “Il Ministero sottoscrive azioni di nuova emissione. Le azioni emesse dall’Emittente per la sottoscrizione da parte del Ministero sono azioni ordinarie che attribuiscono il diritto di voto non limitato né condizionato nell’assemblea ordinaria e nell’assemblea straordinaria, non privilegiate nella distribuzione degli utili né postergate nell’attribuzione delle perdite”.
Pertanto il vincolo che lega il Mef a Banca Carige, sarà quello del semplice azionista, costretto nientemeno ad acquistare esclusivamente azioni di nuovo corso, senza interferire su quelle degli altri partecipanti quotati dell’istituto.
Date quindi il benvenuto alla direttiva BRRD e al suo primo strumento di risoluzione di crisi bancarie: ovvero la vendita dell’attività d’impresa a terzi.
La direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive) introduce in tutti i paesi europei regole armonizzate per prevenire e gestire le crisi delle banche e delle imprese di investimento.
Tale normativa prevede inoltre che “sottoporre una banca a risoluzione significa avviare un processo di ristrutturazione gestito da autorità indipendenti”, ma non solo.
Come nel caso Banca Etruria, a scendere in campo per risolvere controversie inerenti a truffe e appropriazione illecita di capitale sarà la magistratura, la quale poi si pronuncerà in merito.
Un’altra voce della Direttiva, a conferma di un iter risolutivo lontano dalle visioni del vicepremier, precisa come “i poteri di risoluzione vengono conferiti all’autorità nazionale di competenza”, per l’Italia individuata nell’istituto di diritto pubblico Banca d’Italia.
A decidere e giudicare, perciò, saranno altri, senza contare che per prassi il capitale che lo Stato elargisce deve essere restituito dalla Banca al termine della risoluzione di crisi.
Il gruppo Gone Concern Solution della BRRD prevede tre strumenti di risoluzione: il primo è la vendita dell’attività d’impresa a terzi, il secondo anticipa una cessione della banca a una bridge bank (istituto creato ad hoc per la risoluzione, gestito in parte o totalmente da un ente pubblico), mentre il terzo è la bad bank, ovvero una società composta per l’occasione in grado di smaltire gli asset tossici dell’istituto mantenendolo in vita e in condizioni di salute (come il caso del Banco di Napoli).
In questi tre casi il rischio per obbligazionisti e correntisti di vedere il proprio capitale utilizzato come contributo per ripianare le perdite è decisamente minore di quello corso invece con l’ultimo strumento, utilizzato per Banca Etruria, comunemente chiamato bail-in.
Quest’ultimo mira a ricapitalizzare la banca in crisi attraverso i capitali di creditori e azionisti. Tuttavia, l’assorbimento delle perdite tramite il bail-in avviene seguendo una gerarchia correlata al diverso grado di rischiosità della rispettiva posizione creditoria.
In teoria quindi, i primi a “pagare” di tasca propria saranno gli azionisti, seguiti dai detentori di altri titoli di capitale, i creditori subordinati e solo alla fine le persone fisiche e le piccole e medie imprese titolari di importi eccedenti i 100mila euro.
Questo per dire che, a differenza di Banca Etruria il cui inabissamento si trascinò dietro fin da subito anche i piccoli risparmiatori, il decreto Carige può avere un risvolto equo solo se l’intervento governativo troverà delle risposte o se verrà seguito l’iter che la normativa fornisce.
E per far ancor più chiarezza è bene chiarire come, benché all’interno della direttiva sia sottolineato ed esteso il tema delle misure di previsione e preparazione, l’obbiettivo finale di questi strumenti non è quello di rendere le banche infallibili, bensì quello di preparare le banche e le Autorità competenti a far fronte a eventuali situazioni di crisi, limitando le relative conseguenze sia sulla banca stessa sia sull’intero sistema finanziario.
Viene normale chiedersi, a questo punto, se non sia già troppo tardi.
Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca non furono buttate nella fossa dei leoni dopo essere state rimpinguate, bensì venne lasciato loro un margine di gestione e solo parte dei patrimoni vennero acquisiti da Intesa.
Di cosa stiamo parlando? Il copia-incolla attesta il contrario: le dinamiche sono quelle di un salvataggio in extremis, forse più simile al modello Gentiloni, ma il plagio è comunque del pentastellato.
Mentre per quanto riguarda i risparmiatori, Di Maio dovrà far fede a quanto spiegato al punto 5 per non inciampare nello stesso sbaglio, che porta sì la firma di Pierluigi Boschi – anche se i pm ne hanno chiesto l’archiviazione – ma che tutt’ora rimane una ferita aperta per molti italiani (i contenziosi con i piccoli risparmiatori sono ancora in corso, in attesa del prossimo 31 gennaio, data ufficiosa entro la quale sarà possibile richiedere un rimborso del 30 per cento).
Staremo a vedere.
L’amministrazione controllata e la procedura di liquidazione coatta amministrativa sembravano due misure efficaci. Poi è arrivata la BRRD. Sono molti i cavilli di una normativa così complessa, ma l’applicazione preventiva di essi assicura la risoluzione di una crisi bancaria.
Resta il fatto poi che alcune equipe di esperti hanno già tentato di fare quanto dichiarato da Di Maio, anche se con l’obiettivo di cambiare in primis le regole per le cosiddette “too big to fail”, senza però giungere a risultati concreti.
È vero. Sono stanziati 1,5 miliardi di euro per le vittime di truffe bancarie. Non ci saranno altri truffati? Forse è presto per dirlo: sono troppi i fattori in gioco, a partire dal peso che le future linee europee avranno in questo campo.