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Home » Economia

Com’è nato l’impero cinese delle auto elettriche, tra lungimiranza e controllo delle materie prime

Immagine di copertina
Credit: AP

Il principale artefice del primato è stato Wan Gang, ex dirigente Audi rientrato in patria nel 2000 e poi nominato nel governo

Dallo scorso 5 luglio la Commissione europea ha introdotto nuovi dazi sull’importazione di auto elettriche a batteria dalla Cina. L’importo delle tariffe dipende dalla casa automobilistica a cui vengono applicate: inizialmente la forbice andava dal 17,4 al 37,6%, da aggiungersi al già vigente 10%; dal 20 agosto le aliquote aggiuntive sono state leggermente riviste al ribasso e ora vanno dal 17 al 36,3%. 

La misura, peraltro, deve ancora essere approvata dal Consiglio europeo e intanto prosegue il dialogo con le autorità di Pechino per trovare un accordo: c’è tempo fino al 31 ottobre.

L’introduzione dei dazi è in linea con l’annuncio di maggio degli Stati Uniti, che hanno  aumentato le imposte sulle importazioni di auto elettriche cinesi dal 25 al 100%.

Cortocircuito
La decisione della Commissione europea arriva a seguito dei risultati preliminari di un’inchiesta secondo cui le sovvenzioni statali della Repubblica popolare in favore delle compagnie cinesi rendono sleale la concorrenza con i prodotti europei. L’obiettivo dei dazi è correggere questo squilibrio facendo aumentare il prezzo delle automobili cinesi importate e vendute nell’Ue, e quindi riducendone la competitività. 

Al tempo stesso, sia gli Stati Uniti che l’Unione europea stanno cercando di accelerare il passaggio alle auto elettriche: il presidente statunitense Joe Biden mira a far sì che entro il 2032 i due terzi delle automobili e un quarto degli autocarri venduti negli Usa siano elettrici, mentre un regolamento dell’Ue vieta la vendita di auto con motore a benzina o diesel nei Paesi membri a partire dal 2035.

Quindi, se da una parte si punta a incentivare le auto elettriche (nell’ambito di più ampi piani ambientali), dall’altra si vuole evitare la dominanza cinese sul mercato, considerata concorrenza sleale e pericolosa per la sopravvivenza del settore automobilistico europeo.

Senza le auto cinesi, però, raggiungere gli obiettivi climatici prefissati diventa più difficile: oltre la metà delle nuove auto elettriche immesse nel mercato sono prodotte in Cina, e già quest’anno si prevede che circa un quarto di quelle vendute nell’Ue provenga dal Paese del Dragone.

Pechino è riuscita in pochi anni a portare sul mercato e-car efficienti a un prezzo relativamente contenuto, che oggi è mediamente inferiore del 20% rispetto alle automobili prodotte all’interno dell’Ue. 

In parte questi prezzi sono artificialmente bassi grazie alle sovvenzioni statali, ma non solo. Si tratta anche del risultato di una precisa economia industriale. Negli anni infatti la Cina ha costruito un’infrastruttura di ricerca e produzione di auto e, soprattutto, batterie elettriche di cui al momento l’Occidente non può fare a meno. È una chiara strategia, avviata molto prima che il resto del mondo capisse l’importanza di questo settore.

Scommessa vincente
All’inizio degli anni Duemila in Cina si producevano e vendevano moltissime automobili con motore a combustione, ma non c’era nessuna azienda cinese in grado di competere con i marchi stranieri, che avevano alle spalle lunghe e solide tradizioni.

Il Governo decise quindi di puntare su un nuovo mercato, perlopiù ancora inesplorato: quello delle auto elettriche. Era una scommessa – all’epoca la tecnologia era appena agli inizi – ma in questo modo, se avesse funzionato, la Cina si sarebbe assicurata una fetta significativa del mercato. La transizione alle auto elettriche, inoltre, avrebbe aiutato a ridurre sia lo smog sia la dipendenza dalle importazioni di petrolio dagli altri Paesi.

Il principale promotore di questa strategia fu Wan Gang, dirigente di successo in Germania per Audi che tornò in Cina alla fine del 2000. Gang era un entusiasta e precoce sostenitore delle auto elettriche e fu anche grazie a lui se nel 2001 la ricerca tecnologica per questo tipo di veicolo venne inclusa tra i progetti prioritari nel Piano economico quinquennale del Paese.

Dal 2007 Gang divenne ministro della Scienza e Tecnologia, e da allora gli investimenti della Cina per supportare questo settore emergente si intensificarono.

Secondo una stima largamente citata, tra il 2009 e il 2022 i produttori cinesi hanno beneficiato di quasi 30 miliardi di dollari tra sussidi statali, sgravi fiscali e incentivi per la ricerca. Ma il totale delle sovvenzioni, considerando sia il lato della domanda che dell’offerta di auto elettriche, è stimato intorno ai 130 miliardi di dollari, secondo l’istituto di ricerca Center for Strategic and International Studies.

Anche la domanda di nuove auto elettriche, infatti, è stata fortemente incentivata. Il Governo e le autorità locali crearono un mercato istantaneo, stipulando contratti per autobus e taxi elettrici del trasporto pubblico. Questa mossa permise alle compagnie di poter fare affidamento su un flusso di vendite stabile e continuo durante i primi anni di attività. 

Nel 2017, Shenzhen divenne la prima città al mondo ad elettrificare la sua intera flotta di autobus: oltre 16mila vetture fornite dalla compagnia Byd, oggi la più grande azienda di automobili elettriche insieme a Tesla.

In più, il Governo introdusse sconti, sgravi fiscali e altri benefit per chi acquistava un’auto elettrica: un bonus per il primo veicolo comprato, sconti sul prezzo dell’elettricità, parcheggi a prezzo ridotto o gratuiti ed esenzioni dai pedaggi. 

Alcune grandi città, inoltre, limitarono il numero di nuove targhe per le auto con motore a combustione: si ottenevano vincendo una lotteria o pagando un prezzo che spesso superava quello della macchina stessa. Ma questa e altre restrizioni, come la circolazione a targhe alterne, non erano applicate alle auto elettriche.

Nel 2022 Pechino ha cominciato a diminuire gradualmente i sussidi per i consumatori, ma, visto che la domanda ormai era stata creata, le vendite hanno continuato a crescere. Nel 2023 in tutto il mondo sono state vendute quasi 14 milioni di auto elettriche, di cui circa il 60% in Cina. Oggi più di un terzo delle nuove auto registrate nel Paese sono elettriche. In Europa e negli Stati Uniti, invece, è a batteria rispettivamente un’auto su cinque e una su dieci.

No China, No batterie
La Cina produce due terzi di tutte le batterie per auto elettriche al mondo, ed è coinvolta in ogni fase della catena di approvvigionamento. Fare a meno delle aziende cinesi per produrre batterie è praticamente impossibile. 

Partiamo dalle risorse naturali: Pechino controlla percentuali significative di tutti i principali minerali necessari per produrre le batterie. Nonostante il Paese non sia naturalmente ricco di molte di queste materie prime, nel corso degli anni le compagnie cinesi hanno investito in miniere sparse in tutto il mondo, spesso con il supporto del Governo, assicurandosi così una fornitura costante di questi minerali.

Oggi la Cina controlla la maggior parte delle miniere di cobalto in Congo e il 41% dell’offerta mondiale di questo minerale, oltre a quasi il 30% delle estrazioni di litio e quasi l’80% di quelle di grafite. Questo significa anche che il Paese può influenzare il prezzo di questi materiali, ad esempio limitandone l’esportazione, come ha già fatto con la grafite.

Il secondo passaggio nella filiera è la lavorazione delle materie prime. Non importa chi li abbia estratti: i minerali vengono quasi interamente spediti in Cina per la raffinazione. Secondo dati riportati dal New York Times, il Paese attualmente raffina il 95% di manganese, il 73% di cobalto, il 70% di grafite, il 67% di litio e il 63% di nichel.

Sviluppare la capacità di raffinazione di questi materiali faceva parte della politica industriale per il settore delle auto elettriche. Le aziende cinesi hanno infatti beneficiato del supporto del Governo anche in questo ambito, ottenendo terreni ed energia a basso costo. 

Complice anche il minor costo del lavoro, la produzione ha raggiunto livelli superiori e prezzi inferiori rispetto agli altri stabilimenti fuori dal Paese, eliminando la maggior parte della concorrenza.

Questi processi industriali, poi, sono molto inquinanti, e la Cina ha regolamentazioni ambientali meno severe rispetto all’Occidente. Ci vorrebbero anni prima di riuscire a costruire un numero di stabilimenti sufficiente a minacciare il primato cinese.

Superiorità tecnologica
Per i veicoli elettrici vengono usate soprattutto batterie agli ioni di litio. Ne esistono di diversi tipi, che si distinguono per la composizione del catodo. 

Fino a poco tempo fa la tipologia di batteria di gran lunga più comune era la cosiddetta Nmc, che impiega nichel, manganese e cobalto. Ma la Cina negli anni ha investito nella ricerca di una composizione alternativa, chiamata litio-ferro-fosfato, o Lfp, che nel 2023 ha raggiunto il 40% di tutte le vendite di batterie per auto elettriche.

La tecnologia originale usata dalle batterie Lfp è stata inventata negli Stati Uniti alla fine degli anni Novanta, ma all’inizio non venne sviluppata ulteriormente per il mercato delle auto: queste batterie, nonostante fossero economiche e sicure, avevano una densità energetica minore rispetto alle alternative. Alcune aziende cinesi hanno investito nella ricerca per migliorarne la performance, e alla fine ci sono riuscite.

Le Lfp hanno ancora una potenza minore rispetto alle Nmc, e per questo possono percorrere distanze più brevi. Ma hanno altri vantaggi: si ricaricano più velocemente e durano di più nel tempo. Soprattutto, visto che non impiegano nichel e cobalto, sono più economiche. 

La batteria rappresenta circa il 40% del costo di produzione di un’auto elettrica, quindi riuscire ad abbassarne i costi ha un grande impatto sul prezzo finale del prodotto. 

In teoria, la tecnologia Lfp potrebbe permettere all’Occidente di superare il problema della scarsità di alcuni dei minerali controllati da Pechino e di produrre auto a un prezzo più basso e quindi più competitivo con le compagnie cinesi. Ma è impossibile farlo senza la collaborazione della Cina: il Paese produce il 99% delle batterie Lfp, oltre ai tre quarti delle batterie Nmc.

Barriere commerciali
La Commissione europea dovrà decidere se confermare l’aumento dei dazi sulle importazioni di auto elettriche cinesi a novembre, una volta che l’investigazione in corso sarà conclusa. Secondo alcuni analisti, tuttavia, se anche diventassero permanenti, i nuovi dazi non sarebbero sufficientemente alti per danneggiare seriamente le vendite di auto elettriche cinesi nei Paesi Ue.

Le autorità di Pechino hanno reagito accusando la Commissione di protezionismo e di voler aumentare la tensione commerciale tra Ue e Cina senza motivo. A livello pratico, i cinesi potrebbero a loro volta alzare i dazi sulle importazioni di auto elettriche europee (al momento al 15%), o limitare l’esportazione delle batterie o di alcune delle loro componenti, con ripercussioni sulla produzione all’estero.

Nel lungo periodo, le compagnie cinesi potrebbero decidere di spostare parte della produzione direttamente in Europa, evitando così i dazi di importazione. Ci sono già alcune iniziative che vanno in questa direzione: Byd sta costruendo uno stabilimento in Ungheria, mentre Chery ha un accordo con un’azienda spagnola per la produzione in Catalogna. Lo stesso sta avvenendo per le batterie: la compagnia Catl ha già costruito degli stabilimenti in Germania e ne sta pianificando uno in Ungheria.

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