L’Italia tra austerity e neoliberismo: storia di un pollo che si credeva un’aquila
Caro Di Battista, non è vero che l'Ue ci ha costretto a tagliare la spesa sociale: questi dati lo dimostrano
L’austerity Ue ha costretto l’Italia a tagliare la spesa sociale? Falso
Con la crisi economica all’orizzonte, gli italiani hanno riscoperto il loro rapporto bipolare con l’Unione europea. Secondo la vulgata corrente, l’Unione europea (alleata) ci “deve” prestare (o regalare?) denaro per far fronte all’emergenza Covid-19, e “ce lo deve” come risarcimento materiale per le politiche neoliberiste di austerità fiscale che ci ha imposto, sfruttandoci ed impoverendoci.
L’epitome di questa narrazione è rappresentata dal recente editoriale di Alessandro Di Battista sulle colonne de Il Fatto Quotidiano. L’attivista pentastellato si scaglia contro l’austerity, da lui definita come la strategia “elaborata dal sistema finanziario mondiale per indebolire gli Stati e costringerli allo smantellamento del welfare”, e contro l’Europa, da lui etichettata come la “continuazione del neo-liberismo con altri mezzi”. Ma è davvero così? Davvero l’Europa, con la sua austerità neoliberista, ha imposto all’Italia un trattamento da “figlia della serva” rispetto alle altre Nazioni?
Per rispondere a tale domanda, abbiamo pensato di confrontare gli ultimi 30 anni di politiche fiscali [1] di Italia e Belgio. Belgio e Italia raccontano due storie possibili [2] di come si possa intraprendere un percorso di consolidamento strutturale delle finanze pubbliche. In un caso – quello belga – “facendo i compiti a casa”, consolidando i conti pubblici e garantendo ugualmente elevati livelli di Spesa Sociale. Nell’altro caso – quello italiano – non “facendo i compiti a casa”, non mettendo in sicurezza la struttura della finanza pubblica negli anni grassi, e ritrovandosi per questo con meno risorse da destinare agli ammortizzatori sociali negli anni di magra.
Austerity Ue: i “compiti a casa” e l’impatto sul Welfare
Nel 1994, due anni dopo la firma del Trattato di Maastricht, Belgio e Italia erano due Paesi in condizioni economiche molto simili: entrambi presentavano dei livelli di rapporto tra il debito pubblico e il Pil incompatibili col criterio del 60% sancito dal Trattato – l’Italia al 127%, il Belgio al 136% – ed entrambi avevano avviato un percorso di riduzione del medesimo (Figura 1). Inoltre, entrambi i Paesi si stavano lasciando alle spalle la sostanziale stagnazione dei primi anni ’90, entrando nella fase espansiva della seconda metà della decade (Figura 2).
Per cominciare, la Figura 3 ci mostra l’evidente infondatezza della narrazione vittimistica secondo cui all’Italia sarebbero stati richiesti sacrifici di politica fiscale sproporzionati rispetto agli altri Paesi membri. Difatti, considerando il livello di indebitamento strutturale italiano e belga, emerge come nel periodo 1992-2007 l’Italia abbia osservato livelli di rigore fiscale inferiori a quelli del Belgio.
In particolare, nonostante nel corso degli anni ’90 entrambi i Paesi avessero avviato (pur con differenti livelli di efficacia) un percorso di miglioramento del saldo strutturale di finanza pubblica, con l’arrivo degli anni 2000 i due Paesi hanno preso scelte decisamente divergenti. Infatti, mentre il Belgio chiudeva tutti gli esercizi tra il 2000 ed il 2007 in sostanziale pareggio di bilancio strutturale, l’Italia si concedeva ben 8 anni di prodigalità, registrando livelli di indebitamento strutturale sempre superiori al 3% (con punte del 4,5% nel triennio 2003-2005). Quindi, tiriamo una prima conclusione: nel periodo 1992-2007 il Belgio ha praticato un’austerità fiscale superiore a quella italiana, come si evince dalla dinamica dell’indebitamento strutturale e del livello del debito pubblico dei due Paesi.
Ma quali sono stati gli effetti di tale austerità? Il Belgio ha smantellato il proprio Welfare State? La Figura 4 contiene la (forse sorprendente) risposta. Nel periodo 1992-2007, mentre stabilizzava il proprio debito, il Belgio conservava comunque livelli di spesa per Protezione Sociale (cioè il complesso dei trasferimenti a poveri, disabili, famiglie, disoccupati, anziani, ecc.) in proporzione al Pil costantemente più elevati di quelli italiani.
Questo ci porta ad una seconda conclusione: non è vero che un percorso di consolidamento fiscale implichi necessariamente lo smantellamento delle tutele sociali; al contrario, il livello di Spesa Sociale belga ha attraversato indenne i 15 anni di assestamento fiscale, espandendosi poi ulteriormente in risposta alla recessione del 2009. Ma quindi, è completamente infondata la percezione italiana di uno Stato Sociale che ha abbandonato il cittadino? Sì e no, a seconda di quale gruppo sociale viene considerato.
La composizione della Spesa Sociale e le scelte politiche
Se è vero che l’Unione europea ha richiesto degli aggiustamenti strutturali ad Italia e Belgio, è però altrettanto vero che i due Paesi hanno conservato la loro sovranità fiscale. In altri termini, l’Europa non impone vincoli sulla composizione della politica fiscale – ovverosia il livello di pressione fiscale, il livello e la composizione della spesa pubblica, ecc. – degli Stati Membri. Ed è qui che entrano in gioco le scelte politiche dei due Paesi.
La Figura 5 ci mostra come il Belgio abbia, negli ultimi 15 anni, sempre destinato rispetto all’Italia una quota superiore del proprio Pil alla Spesa Sanitaria, con un differenziale che è andato allargandosi negli ultimi 10 anni e che valeva l’1,5% del reddito nazionale nel 2018. Analogamente, la Figura 6 ci mostra l’evoluzione della Spesa Assistenziale (a beneficio di disoccupati, disabili e famiglie) nei due Paesi, dipingendo anche qui un quadro di scelte politiche profondamente diverse. Infatti, mentre il Belgio nel periodo 1990-2015 ha sempre speso tra il 7% e il 9% del Pil in assistenza, l’Italia ha oscillato tra il 2,7% ed il 4,8%. Al 2015 – ultimi dati disponibili – la differenza tra i due Paesi era pari al 3,9% (4,8% in Italia, 8,7% in Belgio).
Come è possibile – ci si chiederà – che il Belgio abbia mantenuto livelli di Spesa Sanitaria e Assistenziale di gran lunga superiori a quelli italiani, riuscendo nel contempo ad ottenere delle performance di finanza pubblica di gran lunga migliori di quelle del Bel Paese? Per rispondere a tale domanda è sufficiente osservare la Figura 7. Tra il 1992 ed il 2007, mentre il Belgio faceva i “compiti a casa” (senza intaccare la quota di Pil destinata alla Spesa Sanitaria e Assistenziale), manteneva la Spesa Pensionistica intorno al 9% del Pil. Negli stessi anni, al contrario, la spesa pensionistica italiana aumentava dal 12,5% del 1992 al 13,8% del Pil. Questo trend si è confermato poi anche negli anni più recenti, consegnandoci per il 2015 una Spesa Pensionistica italiana superiore del 5,5% a quella belga (16,2% contro 10,7%).
Quindi, tornando al quesito che ha aperto questa sezione: lo Stato Sociale è stato smantellato dall’austerità? In termini complessivi, la risposta è contenuta nella Figura 4 (esposta in precedenza) ed è un chiaro ed inequivocabile “no”. Infatti, nel periodo 2008-2018 – i cosiddetti “anni di austerità e rigore” – entrambi Paesi hanno aumentato la propria Spesa Sociale; inoltre, a ben guardare, l’Italia l’ha aumentata leggermente di più del Belgio (2,8% l’incremento italiano, 2,6% quello belga). Ma allora, perché si ha la percezione che l’austerità abbia smantellato il Welfare State? Perché la Spesa Sociale è sì aumentata, ma non per tutti. Una sola categoria, durante questo decennio, è stata privilegiata e salvaguardata: i pensionati.
Come mostra l’eloquente grafico di Figura 8, infatti, dal 2008 in avanti (ma, a ben guardare, addirittura dal 2000), quel che l’Italia ha speso in più del Belgio per i propri pensionati – in percentuale – il Belgio l’ha speso in più dell’Italia per il proprio sistema sanitario ed assistenziale. L’Italia, come il Belgio, ha scelto dove spendere le proprie risorse, e ha scelto di privilegiare le pensioni contro tutte le altre voci di Spesa Sociale. L’ha scelto democraticamente e liberamente: per questo non ha altri che sé stessa da incolpare se ora il risultato non sembra soddisfacente.
Austerity Ue e Italia: conclusioni
L’autocommiserazione, unita ad una sorta di mania di persecuzione (“solo a noi…”), ha pervaso il dibattito politico italiano degli ultimi anni, e riemerge oggi – con maggiore virulenza – all’aggravarsi del cronico stato di crisi a cui pare che il Paese si sia rassegnato. Sembra, in poche parole, che gli italiani siano incapaci di comprendere ed accettare i propri errori e preferiscano negarli o, peggio, imputarli a cause al di là del loro controllo. I dati che abbiamo esposto ci mostrano chiaramente (almeno) due evidenze.
La prima: un’altra Italia sarebbe stata possibile se, negli ultimi 30 anni, l’elettorato avesse avuto il coraggio di correggere l’evidente sbilanciamento a favore delle pensioni nel nostro Welfare State, riconoscendo che, senza una radicale revisione della normativa pensionistica, il sistema non avrebbe potuto reggere – rendendo necessario sacrificare altre voci di Spesa Sociale.
La seconda: l’Europa non si è accanita sull’Italia in modo particolare – dacché il medesimo rientro dal debito eccessivo è stato richiesto al Belgio, e da questo parzialmente completato – né ha imposto alcuna forma di smantellamento dello Stato Sociale. Il Belgio, infatti, pur facendo i “compiti a casa”, ha ugualmente conservato un sistema di protezione sociale addirittura più vasto dell’Italia – la cui Spesa Sociale, vale la pena ricordarlo, è comunque aumentata (e non diminuita) negli ultimi 30 anni. L’Europa, semplicemente, aveva chiesto che, pur nelle sovrane scelte di politica fiscale, la dinamica del debito fosse sostenibile nel tempo. Se poi un Paese (l’Italia) ha deliberatamente e sovranamente scelto di “macellare” il proprio Stato Sociale per garantire sempre più ampie risorse ad una clientela elettorale (i pensionati e i pensionandi), quel Paese non ha che da biasimare sé stesso.
[1] I dati di fonte IMF sono tratti da International Monetary Fund, World Economic Outlook Database, October 2019, mentre i dati di fonte OCSE sono tratti da https://data.oecd.org/e sono sempre i più recenti a disposizione.
[2] Per un’analisi alternativa e focalizzata su elementi diversi, si veda High public debt in euro-area countries: comparing Belgium and Italydi Andrè Sapir, Bruegel, Policy Contributions, 2018.
Leggi anche: 1. La guerra italiana fra garantiti e non garantiti ai tempi del Covid (di L. Telese) /2. Cottarelli a TPI: “Governo lento. Mes? Ok ma all’Italia non può bastare. Quest’anno deficit al 10%” /3. Esclusivo TPI: Così i big dell’alta moda scaricano i loro problemi di liquidità finanziaria sui fornitori