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Home » Economia

Il nuovo business degli Agnelli: un miliardo sulla Sanità

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John Elkann. Credit: AP

John Elkann detta la linea: “Il mondo invecchia, investire nel settore conviene”. In Italia la Exor fa affari con l’ex a.d. del Gruppo San Donato, in Francia si allea con la dinastia Mérieux, leader nella diagnostica

Scarpe da donna col tacco, oggetti di design, giornali, autobus condivisi. E ora anche ospedali, cliniche, laboratori di analisi e di ricerca. Sì, certo, ci sono anche le automobili attorno a cui è stato costruito l’impero di famiglia, ma quelle ormai sono solo un business fra i tanti, nella galassia degli investimenti targati Agnelli-Elkann.

Il mantra adesso è diversificare. E monetizzare il più possibile. L’ultima manovra è il recente sbarco nel settore sanitario: nei mesi scorsi Exor, la holding controllata dagli eredi della dinastia, ha investito complessivamente quasi un miliardo di euro nel gruppo francese Institut Mérieux e nell’italiano Lifenet Healtcare: il primo si occupa di ricerca farmaceutica, diagnostica clinica e sicurezza alimentare; il secondo gestisce ospedali e ambulatori.

«Questo settore continuerà a espandersi nei prossimi decenni dovendo soddisfare le esigenze di popolazioni che invecchiano in tutto il mondo» e ciò «sta creando interessanti opportunità per impiegare capitali», ha scritto la scorsa settimana nella sua annuale lettera agli azionisti di Exor l’amministratore delegato John Elkann.

A supporto delle sue affermazioni, il nipote dell’Avvocato ricorda che negli Stati Uniti le persone di età pari o superiore a 85 anni spendono in servizi sanitari in media otto volte di più degli under 44. «Negli ultimi vent’anni – sottolinea – tutti i sottosettori sanitari hanno sovraperformato l’indice Msci World (che misura l’andamento dei mercati globali, ndr) in termini di rendimenti totali annualizzati». Investire nell’industria della sanità insomma conviene, garantisce Elkann.

La prima operazione risale a un anno fa: alla fine di aprile 2022 Exor rileva il 44,7% di Lifenet Healtcare attraverso un aumento di capitale riservato da 67 milioni di euro. «Quella di oggi è come una stretta di mano tra gentiluomini che intraprendono un percorso insieme», commenta l’amministratore delegato del gruppo sanitario, Nicola Bedin. 

Trevigiano, 45 anni, formatosi tra la  Bocconi e Berkeley, Bedin è uno dei manager più quotati d’Italia. Proprio nelle settimane in cui conclude l’accordo con Elkann, sta terminando il suo mandato da presidente del colosso semipubblico dei metanodotti Snam.

Ma il suo settore di riferimento è la sanità: per dodici anni, dal 2005 al 2017, è stato alla guida del Gruppo ospedaliero San Donato, il gigante leader della sanità privata italiana, il cui gioiello è l’ospedale San Raffaele di Milano.

Nel 2018 Bedin si dimette da amministratore delegato del San Donato per fondare Lifenet Healthcare: la holding oggi conta 1.500 dipendenti e gestisce una decina di strutture, tra ospedali e grandi ambulatori, in Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Lazio. Ad affiancare Bedin nell’affare con gli Agnelli è stata Mediobanca, dove proprio il manager veneto aveva lavorato come giovane analista all’inizio degli anni Duemila.

Dall’ultimo bilancio di Exor si ricava che nella seconda metà del 2022 Lifenet ha registrato una perdita di 6 milioni di euro. Peraltro, nella sua lettera agli azionisti, John Elkann intravede «maggiori opportunità, entro il prossimo decennio, per impiegare capitale e sostenere la crescita dell’azienda» prevedendo che essa diventerà «nota nel suo settore per innovare e migliorare sia i servizi sanitari che il percorso del paziente, abbinando questo a buoni risultati finanziari».

L’intesa prevede che Bedin resti amministratore delegato, mentre a Exor spetterà la presidenza, oltre a «un’adeguata rappresentanza nella governance della società».

Circa due mesi dopo l’ingresso in Lifenet, il primo luglio 2022 la holding degli Agnelli ha annunciato di aver siglato una partnership «di lungo termine» con l’Institut Mérieux di Lione: in base all’accordo, Exor acquisirà il 10% del gruppo francese attraverso un aumento di capitale riservato da 833 milioni di euro.

L’operazione sancisce un’alleanza non solo tra due soggetti economici, ma anche fra due famiglie imprenditoriali di tradizione ultrasecolare. L’Institut Biologique Mérieux fu fondato nel 1897 (due anni prima della Fiat) dal capostipite della dinastia: Marcel Mérieux, allievo di Louis Pasteur, considerato il padre della microbiologia moderna.

Per decenni – in particolare sotto la guida di Charles, figlio di Marcel – il gruppo lionese è stato tra i leader mondiali della vaccinazione per umani e animali, divisione che a partire dalla metà degli anni Novanta è stata progressivamente ceduta e oggi fa capo alla multinazionale Sanofi.

Nel frattempo siamo arrivati alla quarta generazione Mérieux: alla guida della holding adesso ci sono il presidente Alain, figlio di Charles, e il vicepresidente Alexandre, figlio di Alain. 

L’Institut attualmente conta 22mila dipendenti in 45 Paesi del mondo per un fatturato che nel 2021 ha toccato i 4 miliardi di euro. Il gruppo è articolato in cinque società, ciascuna specializzata in un ramo specifico: diagnostica in vitro , sicurezza alimentare, immunoterapia, biotecnologie e investimenti in campo sanitario.

Il fiore all’occhiello è BioMérieux, quotata in borsa e leader mondiale nella diagnostica clinica per le malattie infettive: nel marzo 2020 mise in produzione un test in grado di diagnosticare il Covid-19 entro 45 minuti, tempistica notevolmente bassa per quella primissima fase della pandemia.

Tuttavia nella storia della famiglia ci sono anche ombre: all’inizio degli anni Novanta l’Institut Mérieux ammise di aver venduto in Iraq alcuni lotti di emoderivati infetti che fecero ammalare di Aids circa un centinaio di persone.

«Ammiriamo da tempo la cultura imprenditoriale di successo dell’Institut Mérieux e della famiglia Mérieux unita alla loro passione per risolvere le sfide mediche più critiche», ha sottolineato John Elkann al momento della firma della partnership. E nella recente lettera agli azionisti di Exor, l’amministratore delegato ha sottolineato: «Non vediamo l’ora sia di sostenere lo sviluppo delle loro cinque società sia di beneficiare della loro profonda conoscenza ed esperienza nella nostra ricerca di future opportunità sanitarie».

L’intesa prevede anche l’ingresso del cda francese dello stesso Elkann e del suo fidato manager Benoît Ribadeau Dumas (lo stesso che ha sostituito il dimissionario Andrea Agnelli nel board di Stellantis).

Ma le manovre di Exor nel settore della salute non finiscono qui. Attraverso il suo fondo di venture capital Exor Ventures, la holding sta investendo in startup sanitarie tra cui una – il cui nome non è stato svelato – che sta sperimentando i vaccini a mRna nelle terapie contro le malattie rare e i tumori e un’altra che sta sviluppando sistemi robotici per la produzione di massa di terapie specifiche per il paziente.

«Riteniamo che le aziende emergenti all’intersezione tra biologia e tecnologia creeranno un valore significativo affrontando le principali inefficienze nel settore sanitario attraverso una maggiore personalizzazione, una migliore produzione e un maggiore decentramento dell’assistenza sanitaria», ha osservato Elkann rivolgendosi ai suoi azionisti e rimarcando come «l’assistenza sanitaria» sia «sempre più una priorità» per Exor.

A favorire i nuovi investimenti della famiglia Agnelli ha concorso, nel 2022, la vendita ai francesi di Covea della compagnia assicurativa PartnerRe, che ha fruttato alla holding la bellezza di 8,6 miliardi di euro, di cui ben 2,4 di plusvalenza.

La cessione ha fatto leggermente scendere il valore degli asset detenuti (da 31 a 28 miliardi di euro), ma ha anche consentito di ridurre l’indebitamento e di quasi triplicare l’utile della holding a quota 4,2 miliardi (rispetto agli 1,7 del 2021). In vista dell’assemblea dei soci, fissata per il 31 maggio, il consiglio d’amministrazione di Exor ha deliberato una proposta di dividendo da 100 milioni, pari a circa 0,44 euro per azione.

Nel portafogli del gruppo la partecipazione economicamente più preziosa resta il pacchetto del 24% in Ferrari, che vale poco meno di 8,9 miliardi di euro, seguita dal 14% di Stellantis, valutato 5,9 miliardi, e dal 27% di Cnh Industrial, leggermente inferiore ai 5,5 miliardi.

La fresca alleanza con l’Institut Mérieux si piazza al quarto posto, con un valore iscritto a bilancio di 848 milioni di euro al 31 dicembre scorso. La quota di controllo della Juventus (63%) corrisponde a 510 milioni, mentre in campo editoriale il 43% del magazine britannico The Economist vale da solo più del doppio dell’89% dell’intera galassia Gedi (370 milioni contro 167).

Da segnalare anche l’investimento in Via Transportation, app newyorkese di mobilità condivisa che tramite un algoritmo fa incontrare in tempo reale più passeggeri che vanno nella stessa direzione, creando un servizio di autobus molto economico.

Fra gli asset di Exor spicca poi la quota posseduta dal 2021 nella casa di moda francese Christian Louboutin, famosa in tutto il mondo per le scarpe da donna con tacco alto e suola rossa: il 24% in mano agli Agnelli vale 700 milioni di euro.

Proprio il fashion, o meglio il lusso, sta diventando l’architrave degli affari della dinastia. Alla partecipazione nella maison Louboutin va sommato il pacchetto di controllo del brand di design cinese Shang Xia, che pure dopo la pandemia non attraversa un momento facile (l’82% della società vale appena 67 milioni).

Ma soprattutto in questo discorso è centrale il ruolo della Ferrari, che ormai da qualche anno non è più considerata solo un marchio automobilistico, bensì una griffe del settore luxury a 360 gradi, che firma anche orologi, penne, capi d’abbigliamento. È in quest’ottica che il Cavallino rampante è stato quotato sette anni fa a Piazza Affari e Wall Street.

A proposito di listini, il 2022 è stato l’anno in cui Exor ha reciso anche l’ultimo legame formale che aveva con l’Italia: ad agosto la holding ha abbandonato la Borsa di Milano per trasferirsi su quella di Amsterdam, città dove già erano state traslocate – per risparmiare sulle tasse – la sede legale e quella fiscale del gruppo.

Sono lontani come non mai gli anni della Fiat, della Ifil e della finanziaria Ifi, quando il business degli Agnelli – Gianni e Umberto – era solo l’automotive, e con radici ben piantate a Torino. Oggi la cassaforte di famiglia, Exor, è una holding straniera che contiene di tutto e di più. Nel 2003, alla morte dell’Avvocato, gli asset gestiti valevano complessivamente 1,2 miliardi di euro; vent’anni dopo il totale fa 28 miliardi. Miracoli dell’alta finanza globale.

Quanto alla Fiat, l’azienda da cui tutto iniziò è ormai ridotta a essere solo un ramo, peraltro di certo uno dei meno redditizi, di una multinazionale – Stellantis – in cui a comandare sono i francesi di Peugeot. C’è una cosa, però, che in questi vent’anni non è mai cambiata: nelle fabbriche si va sempre avanti con la cassa integrazione. I tempi cambiano, ma certe vecchie abitudini restano.

LEGGI ANCHE: Stellantis piange miseria ma stacca un assegno da 600 milioni per Elkann

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