Violet Gibson: la donna che sparò a Mussolini, nuova eroina d’Irlanda
Nel corso del ventennio fascista, sono state diverse le persone che hanno tentato di anticipare la fine del regime di Benito Mussolini attentando direttamente alla vita del Duce. Chi ci andò più vicino fu una donna, l’irlandese Violet Gibson, l’unica a finire i suoi giorni nel sostanziale anonimato. La sua figura, a lungo ridotta a oggetto di curiosità della storia fra le due guerre, viene oggi rivalutata in Irlanda, dove negli ultimi anni è stata riproposta sotto una nuova luce in opere televisive e letterarie.
Nata nel 1876 da una famiglia nobile con forti legami alla corona britannica, a 18 anni Gibson debuttò alla corte della regina Vittoria. Negli anni successivi la figlia del lord cancelliere d’Irlanda, massima carica giudiziaria prima dell’indipendenza, prese sempre più le distanze dall’establishment britannico arrivando a convertirsi al cattolicesimo a 26 anni e poi a trasferirsi nel 1913 a Parigi, dove lavorò per movimenti pacifisti. Nel 1922, anno della marcia su Roma, fu ricoverata in un istituto psichiatrico a seguito della morte improvvisa del fratello Victor, a cui era particolarmente legata. Trasferitasi a Roma nel 1924, tentò l’anno successivo di togliersi la vita con una pistola.
Dopo essersene procurata un’altra, il 7 aprile del 1926 uscì portandosi anche un sasso e un pezzo di carta su cui era appuntato l’indirizzo della sede del partito fascista. Scelse invece di colpire il suo obiettivo di fronte al palazzo dei Conservatori, in piazza del Campidoglio, dove Mussolini aveva inaugurato il Congresso internazionale di chirurgia. Aprì il fuoco una prima volta da distanza ravvicinata, ferendolo sul naso, mentre il secondo colpo rimase bloccato in canna. La polizia la allontanò subito dalla folla che tentava di linciarla per portarla al carcere femminile delle Mantellate di via della Lungara.
Secondo la biografa Frances Stonor Saunders, che con il suo “The Woman who Shot Mussolini” (2010) ha riacceso l’interesse nel suo caso, nei giorni successivi la stampa mise in risalto i problemi mentali avuti da Gibson trascurando le motivazioni politiche che la muovevano.
All’attentato seguirono messaggi di solidarietà a Mussolini da parte dei principali governi dell’epoca e anche quello irlandese mentre la stessa famiglia di Gibson prese le distanze dal gesto. La sorella Constance disse che le sue azioni erano dovute alla conversione al cattolicesimo e ai lutti in famiglia, mentre la cognata affermò che le sue condizioni mentali erano state peggiorate dalle tensioni che avevano portato all’indipendenza in Irlanda.
Anche per evitare un processo in Italia, Gibson fu deportata in Inghilterra, dove trascorse il resto dei suoi giorni in un istituto psichiatrico di Northampton. Negli anni successivi scrisse lettere a Winston Churchill e alla regina chiedendo di essere rilasciata, che non furono tuttavia mai spedite. Per 29 anni chiese frequentemente una rivalutazione della sua situazione e di essere sottoposta a controlli per problemi al cuore, venendo perlopiù ignorata. Quando morì nel 1956 all’età di 79 anni, la stampa non riportò la notizia e nessun membro della sua famiglia prese parte ai funerali. Fu sepolta sotto una lapide che si limitava a riportarne il nome, la data di nascita e di morte, ignorando anche la sua volontà di essere portata in un cimitero cattolico.
Recentemente il libro di Stonor Saunders e un documentario radiofonico trasmesso dall’emittente pubblica Rte hanno riacceso l’interesse in questa storia, che sarà nuovamente raccontata in un film tratto da “The Irish Woman Who Shot Mussolini”, che sarà trasmesso quest’anno dalla televisione irlandese.
A febbraio il consiglio comunale di Dublino ha approvato una mozione per affiggere in città una targa a lei dedicata. La mozione la definisce una “antifascista impegnata” a cui spetta “un posto legittimo nella storia delle donne irlandesi e nella ricca storia della nazione irlandese e del suo popolo”.