Game Over: l’87% dei videogiochi rischia l’estinzione
Uno studio rivela: il 90% dei videogiochi prodotti nella storia funziona solo con console vecchie ormai introvabili. Così rischia di scomparire per sempre. Una perdita che non va sottovalutata: queste forme di intrattenimento sono un’espressione della cultura contemporanea
«Immaginate se l’unico modo per vedere il film Titanic fosse trovare un Vhs usato e mantenere il proprio equipaggiamento vintage per continuare a vederlo». Con questa abile metafora la Video Game History Foundation ha presentato il suo studio condotto insieme al Software Preservation Network da cui è emerso che l’87 per cento dei videogiochi usciti dagli anni Sessanta a oggi negli Stati Uniti sono talmente difficili da reperire, o non sono mai stati adeguati alle moderne piattaforme videoludiche, da essere in pericolo.
Questa percentuale si fa più drammatica soprattutto se si guarda ad alcune console d’epoca prese in esame: solo il 4,5 per cento dei giochi usciti sulla storica Commodore 64 sono oggi reperibili nei formati contemporanei, che tradotto significa che l’unico modo per giocare al rimanente 95,5 per cento sia possedere l’antica console ancora funzionante e una copia originale d’epoca del videogioco.
Agli occhi di molte persone c’è ancora un pregiudizio culturale che vede i videogiochi come un semplice elemento di leggero intrattenimento, ma dopo decenni in cui la loro diffusione è cresciuta alle stelle è bene iniziare ad avere un approccio differente, soprattutto se pensiamo che solo negli Stati Uniti questa industria rappresenti un giro d’affari di 180 miliardi di dollari e che lo sviluppo di un videogioco richiede un lungo lavoro, così come va tenuto conto che dal Tetris a Super Mario, da Fifa a Pro Evolution, passando per Gta e Donkey Kong, queste opere non rappresentano solo delle forme di intrattenimento, ma sono a tutti gli effetti simboli della cultura contemporanea. E, con il loro sviluppo sempre più articolato, hanno ormai trame che possono essere paragonate a quelle di film o romanzi.
In poche parole, parliamo di un frutto dell’ingegno umano intorno a cui è bene costruire maggiore consapevolezza e maggiore studio. E questo passa senz’altro attraverso una conservazione e una costruzione di una memoria a riguardo, permettendone ad appassionati e studiosi la massima fruibilità.
Lo studio della Video Game History Foundation e del Software Preservation Network, di cui non esiste un equivalente riguardo il mercato al di fuori degli Stati Uniti (dove possiamo però immaginare i numeri siano simili), punta a creare consapevolezza intorno al rischio di perdere in maniera definitiva molti videogiochi del passato, e propone di rivedere leggi e regole che talvolta ostacolano l’adeguamento dei vecchi videogiochi alle nuove piattaforme.
Tra gli ostacoli individuati, ci sono aspetti tecnici, di proprietà intellettuale e di licenza, cui si somma la difficilissima reperibilità di originali fisici di molti videogiochi intorno a cui si sviluppa lo studio e che, quindi, renderebbe ad oggi difficile riversarne il contenuto in emulatori o piattaforme contemporanee.
Tale difficile reperibilità ovviamente riguarda anche il mercato di seconda mano, dove tali titoli sono molto rari e spesso si trovano a prezzi particolarmente elevati. E, ovviamente, richiedono spesso una console d’epoca, anch’essa non facilmente reperibile.
Lo studio arriva alla conclusione che sono stati fatti passi per la tutela dei videogiochi d’epoca anche da parte delle case produttrici, ma spesso tali passi sono insufficienti, anche perché ritengono che siano legittimamente altre, e di natura principalmente commerciale, le priorità di queste aziende.
Appassionati e studiosi di videogiochi d’epoca che non dovessero trovare un determinato titolo riprodotto e adeguato possono dunque rivolgersi alle fondazioni che si occupano di tutela e storia del mondo videoludico, o entrare nel dedalo del mercato dei videogiochi usati, col rischio di dover affrontare spese impegnative.
I videogiochi d’epoca liberamente fruibili online, attraverso emulatori che permettono di utilizzarli da un comune Pc, sono comunque un numero limitato e spesso al di fuori della loro licenza commerciale, spesso tramite lo strumento dell’abandonware, ovvero la diffusione di un contenuto formalmente protetto dal diritto d’autore che viene ritenuto però obsoleto o privo di interesse commerciale e che, per questo, nessuno rivendica.
Che questo studio possa ora porre in qualche modo l’attenzione sul rischio di perdere per sempre molti videogiochi d’epoca? Che possa anche mettere in luce come i videogiochi non siano semplice intrattenimento leggero ma siano a tutti gli effetti un prodotto dell’ingegno umano e parte della nostra cultura e meritano per questo una maggiore tutela?
Vedremo se nei prossimi anni le istituzioni, le biblioteche e il mondo della ricerca, non solo negli Stati Uniti, faranno degli ulteriori passi a riguardo.