Smarriti e schiacciati: per i giovani la felicità è diventata un miraggio
Negata, impedita, tradita, soprattutto per le nuove generazioni. Eppure è indispensabile. Ecco un estratto del libro "Conversazioni sul futuro. L'eredità del più grande sociologo italiano" di Domenico De Masi e Giulio Gambino
Così oggi il lavoro non è altro che una clava senza la quale è impossibile sopravvivere.
La mia generazione, a trentacinque anni, non ha nulla. I ragazzi, ancora più giovani, che sono scesi in piazza a manifestare per l’alternanza scuola-lavoro dopo la morte di Lorenzo Parelli gridavano: «Non protestiamo contro questi prof, protestiamo contro un modello che da scuola ci butta nel tritacarne a fare l’alternanza scuola-lavoro». E poi, magari, accade che uno ci rimane pure. Proprio non funziona.
Ecco perché oggi viene messo in discussione questo modello di sviluppo sociale ed economico. Un modello che sta a pezzi.
«Caro Giulio, vedi, se noi con questo libro riuscissimo a rispondere a queste cose che hai descritto tu adesso e ne facessimo il cuore, insieme all’elaborazione di un modello alternativo che possa guardare al futuro di milioni di nuove generazioni, credo che un sacco di gente sentirebbe il bisogno di leggerlo. Io sono anni che esploro questo quesito.
Partiamo da un fatto: all’epoca tu nascevi in una casa, crescevi in quella casa, i tuoi genitori ti educavano, poi tuo padre era falegname, tu facevi l’apprendista falegname. Poi tuo padre moriva, tu prendevi il suo posto e poi morivi pure tu. Al contrario – pensa a te, intendo proprio te – la situazione tua è che sei nato in una città, sei andato a studiare in un’altra città e hai fatto tante cose. Ora, in cosa consisteva l’estetica di quella società pre-industriale? In una cosa, essenzialmente: fuggire dalla tradizione. Perché ti svegliavi sempre nella stessa casa, lavoravi nella stessa casa, con le stesse persone. Avvertivi il pericolo di percepirti come concluso e definito, senza un’evoluzione.
Al contrario, invece, qual è il tuo problema? È dare un senso agli spezzoni della tua vita. Sono due cose completamente diverse».
«Questo è interessantissimo. Ti spiego perché: il problema che hai posto tu è quello che da centocinquant’anni si pongono tutti i pensatori. Mi spiego meglio. La struttura sociale della società pre-industriale che fa sì che l’uomo percepisca se stesso come concluso e definito, e mai in evoluzione, era sorretta da una cultura, quella che produce “I promessi sposi”. Mentre la struttura post-industriale produce “Il giovane Holden”, che è una cosa completamente diversa».
«Perché alla struttura rurale faceva da pendant la cultura classica, quella che noi chiamiamo classica. Alla struttura industriale, faceva da pendant la cultura moderna. Alla struttura post-industriale, fa da pendant la cultura post-moderna. Quindi noi abbiamo attraversato tre epoche: una rurale, una industriale e una post-industriale. E abbiamo attraversato tre culture: una classica, una moderna e una post-moderna. La condizione dell’epoca rurale, lo abbiamo ricordato, è durata circa cinquemila anni. Quindi si è ultra consolidata. In cinquemila anni non è cambiato nulla. Però, come dicevamo, a un certo punto cambia la struttura e comincia a cambiare velocemente anche la cultura».
«A un certo punto, alla fine del Settecento, nasce l’industria. Che si consolida durante l’Ottocento. E nel Novecento si rafforza ancor di più. Questi due secoli costituiscono una prima accelerazione per cui si passa dal carretto al treno. Poi ci si ferma là per diversi decenni, che sono molti, ma sono pochissimi rispetto ai cinquemila anni di prima. Il secondo passaggio avviene con la Seconda guerra mondiale. E rispetto al tuo discorso, quando è che si cominciano a imbrogliare le acque? Quando è che inizia a diffondersi il germe del quesito che tu hai espresso? La tua domanda – per rendere l’idea – è come se fosse inconsapevolmente una prefazione a un libro di Heidegger. Ecco, tutto Heidegger – ma anche Nietzsche – vuole rispondere a quella cosa che hai detto tu.
Ma no, che dico, di più: non solo loro, tutti vogliono rispondere a questo quesito. Cioè siamo più ricchi, abbiamo più medicine, viviamo più a lungo eccetera, però siamo molto più irrequieti».
«Perché compari le culture. Prendi il romanzo di Manzoni, “I promessi sposi”, e prendi un romanzo di oggi, li poni a confronto e capisci che per quanto drammatica fosse la situazione di Renzo e Lucia, non era frantumata, sfracellata, incomprensibile, schizoide come la condizione attuale. A un certo punto che è successo? Che alcuni hanno cominciato a sentire l’inquietudine e le incertezze di cui tu, Giulio, hai parlato».