Il romanzo di Jane Austen che nessuno conosce
Pochi fan della scrittrice britannica hanno letto il suo ultimo e incompleto romanzo, anche se diversi autori hanno provato a proseguirlo nei 200 anni trascorsi dalla morte dell'autrice
“Povero Mr. Hollis! Era impossibile non avvertire come fosse stato trattato duramente; essere costretto a stare in disparte in casa sua e vedere il posto migliore accanto al fuoco occupato costantemente da Sir Harry Denham”.
Sono queste le ultime righe che Jane Austen ha scritto in un libro.
È il 18 marzo 1817. Siamo sicuri della data perché è riportata alla fine del manoscritto a cui Austen ha continuato a lavorare finché le sue condizioni di salute non si sono aggravate, tanto da portare – esattamente quattro mesi dopo – alla sua morte.
La celebre scrittrice britannica, scomparsa a soli 41 anni, non ha fatto in tempo a completare la sua opera né a darle un titolo, ma ha riempito tre quaderni con il suo ultimo manoscritto. A quel testo ci si riferisce ora comunemente con il nome di Sandition, utilizzato in maniera ufficiosa dalla famiglia Austen.
Jane aveva iniziato a lavorare a questo romanzo il 27 gennaio 1817. La storia racconta le vicende di Charlotte Heywood, abitante di un villaggio di campagna, che viene invitata da una coppia di coniugi, Mr. e Mrs. Parker, a trascorrere un periodo di vacanza a Sanditon, una località balneare.
Il signor Parker vuole trasformare il villaggio di Sanditon in una popolare meta di villeggiatura. Per farlo si serve dell’aiuto della benestante Lady Denham, sua vicina di casa.
La storia si sviluppa seguendo le vicende dei vari personaggi che incontra Charlotte, a partire dai fratelli del signor Parker – due donne e un uomo – che sono ipocondriaci. La malattia è uno dei temi centrali della storia e viene affrontata con la tipica ironia che caratterizza Austen.
L’ultima frase del manoscritto si riferisce ai ritratti di due mariti di Lady Denham, due volte vedova. Il primo marito, Mr. Hollis, è relegato in un angolo appartato in una piccola miniatura, mentre il secondo, Sir Harry Denham, fa bella mostra di sé in un grande quadro appeso sopra al camino.
Alla morte di Jane sua sorella Cassandra eredita il manoscritto, che passa poi alla pronipote della Austen, Anna Lefroy. Il primo riferimento pubblico all’opera avviene nella seconda edizione del Memoire Of Jane Austen (1871) di James Edward Austen-Leigh, nipote di Jane Austen, che ne cita alcuni passaggi e la chiama “The Last Work” (“l’ultima opera”).
La prima edizione completa del frammento viene pubblicata nel 1925 da Robert William Chapman, che la intitola Fragment of a Novel.
Dal momento che il manoscritto contiene solamente l’introduzione dei personaggi e l’incipit della storia, negli anni diversi autori hanno cercato di completarlo, imitando lo stile di Jane Austen.
Nel 1895 è la stessa Anna Lefroy a scrivere la sua versione della storia (probabilmente la zia aveva discusso con lei gli sviluppi che intendeva dare alla trama) ma a sua volta questa versione è incompleta e non è mai stata pubblicata.
Imitare lo stile e cercare di prevedere gli sviluppi della narrazione di Jane Austen non è semplice, e tanti scrittori negli anni vi si sono messi alla prova.
I tentativi più recenti sono: A Cure for All Diseases di Reginald Hill, uscito nel 2008 e Welcome to Sanditon, una web serie composta da 27 episodi, che adatta il romanzo in chiave moderna e lo ambienta in California. Ha esordito il 13 maggio 2013.
Ma nonostante tutti i tentativi, quello che sarebbe dovuto essere il vero finale del romanzo resterà per sempre un mistero.
A marzo 2017 il critico cinematografico Anthony Lane ha scritto sul New Yorker che l’ultimo manoscritto di Jane Austen non è solo “un prodigioso ritratto della sciocchezza umana”, ma anche una “fiaba sulla morte”.
“Austen come tutti sapeva che, a lungo andare, gli ipocondriaci non hanno torto”, scrive Lane. “Sono solo in anticipo. Moriremo tutti, anche se probabilmente non dalla cosa che temevamo o che avevamo previsto”. Solo l’ironia di Jane Auster poteva rappresentare questa nuda verità con la leggerezza indispensabile per non restarne schiacciati.