Un risarcimento etico-culturale: così la mostra “Donne di altri pianeti e pesci volanti” ridà dignità alle donne
Le opere di Chiara Susanna Crespi saranno esposte al Capitolium Art di via delle Mantellate 14/b, a Roma, a partire dal 6 gennaio
Tutto è partito dalla scoperta di un vecchio baule, un piccolo antro della memoria da cui un giorno è emerso un manuale di medicina del 1958. Pagine affollate di donne con corpi e personalità all’epoca considerati non conformi e che in quanto tali venivano spogliate e classificate – a seconda dei casi – come malate, grasse, rachitiche, mascoline, storpie, isteriche oppure pazze. Esseri umani che a volte piangono, nelle fotografie a loro scattate, o fissano l’obiettivo quasi a sfidarlo, o ancora mostrano in quelle immagini un senso fondo di paura e freddo.
“Loro”, dice l’artista romana Chiara Susanna Crespi, “sono le mie donne. Io sono loro, loro sono me nella lontananza di epoche diverse, Siamo unite e ci guardiamo. Bambine, ragazze, vecchie, tutte donne, sono pezzi di me. Ci teniamo insieme”, aggiunge, e insieme affidano in opere a tecnica mista (collage con colori a olio, acquarello su legno, tela e carta) il loro rifiuto di quello sguardo medico patriarcale e accusatorio a pesci che qui volano silenziosi ma che “se potessero urlare in mare non ci si potrebbe fare il bagno per il frastuono”.
Un risarcimento etico-culturale, in altre parole, a donne ferite che oggi possono recuperare dignità e libertà grazie a un mondo nuovo che fonde acqua e luce, colore e inclusione. Non a caso la mostra in cui tutto questo avviene (dal 6 gennaio nella capitale presso la casa d’aste Capitolium Art di via delle Mantellate 14/b, in passato studio del maestro Mario Schifano) è titolata Donne di altri pianeti e pesci volanti.
In una gimcana di poesia e denuncia, tenerezza e angoscia, Chiara Susanna Crespi porge all’occhio pubblico l’ennesima prova della sensibilità a quei temi sociali e dei diritti già abbracciati ai tempi del movimento studentesco della Pantera, dell’hip hop Novanta e del writing. Una navicella nel cuore dell’underground che stavolta viaggia e ritroso e afferra le crudeltà degli anni Cinquanta per trasformarle in spunti di consapevolezza e rinascita.
“Sono attratta dagli invisibili e dagli esclusi”, dichiara l’artista nelle sue note biografiche. La porta d’accesso a quel deposito di sensibilità collettiva troppo spesso vittima della disattenzione.