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Home » Cultura

L’altra faccia del consumismo: quanto siete disposti a spendere per un abito di lusso?

Immagine di copertina
Credit: AP

Per un jeans di marca si può arrivare a pagare anche settemila euro, con la scusa della qualità. Ma moltiplicare la spesa non aumenta il valore di un capo. Il problema però è dove tracciare il limite perché il legittimo piacere di vestirsi bene non sfoci in atti di egoismo. La vera questione allora è saper scegliere senza esagerare

Chi non ha avuto lo “shock da targhetta” vedendo il prezzo di un paio di denim? Tutti abbiamo acquistato quei jeans fin troppo cari e speso più di quanto potessimo per il vestito dei nostri sogni. Ma cosa porta un capo a costare da 80 a oltre 400 euro?

L’auto-indulgenza sotto forma di consumismo è uno dei tratti caratteristici del periodo delle feste. Rappresentando il 2-3 per cento del Pil globale, le industrie dell’abbigliamento e delle calzature sono essenziali ai valori sgargianti del tardo-capitalismo di acquisizione e ostentazione. E diversi brand di moda italiani esasperano questa tendenza. Per un paio di jeans, da Gucci si può arrivare a pagare 3mila euro, da Bottega Veneta 4.800 e da Dolce & Gabbana ben 6.950 euro.

Alcuni denim possono evocare in noi il colore del mare greco a settembre o di uno zaffiro e la qualità della costruzione di questi prodotti – tessuti morbidi che mantengono una struttura rigida negli anni, la giusta vestibilità, spaziosi sulla gamba senza essere troppo larghi, perfetti in vita – portano naturalmente un consumatore a chiedersi: quanto è giusto spendere per un paio di jeans?Esiste un prezzo troppo alto se ti fanno sentire come Robert Redford? E come si potrebbe giustificare un simile acquisto ai propri figli senza perdere una delle prerogative più piacevoli e consolidate dell’essere genitore, quella di spiegare alla prole il valore del denaro? 

Dove e come produrre
Eppure, quanto tempo passiamo in un paio di jeans? Rispetto a un paio di Levi’s, quanto durano in più i denim del marchio giapponese di alta qualità 45R, imbevuti per due anni in indaco naturale, prezzo al dettaglio 590 euro? Gettonatissimo dalle celebrity, il marchio del designer californiano Mike Amiri è stato capace di sfondare con i jeans nel mondo del lusso, cosa che non succedeva da molto tempo.

I suoi denim vengono sottoposti a un processo assiduo e un singolo paio può impiegare fino a tre mesi per essere prodotto. Prezzo al dettaglio, dai 590 euro in su. Anche lo stilista italiano Maurizio Amadei, con il suo marchio M.a+, amatissimo nel Sol Levante e noto per creare indumenti moderni e minimalisti da un singolo pezzo di materiale, fa “stagionare” i suoi tessuti sottoterra e i suoi capi si aggirano intorno agli stessi prezzi.

Per una nazione che vuole uscire dalla povertà la classica strada è dotarsi di un’industria del tessile. E se un Paese in via di sviluppo oggi cercasse di entrare in questo mondo – fabbricando pantaloni, magliette e capi del genere – dovrebbe necessariamente sottoscrivere un accordo commerciale con gli Stati Uniti.

La differenza principale tra un paio di jeans da 80 euro e uno da 200 dipende da due fattori: dove vengono prodotti e la campagna di marketing alle loro spalle. Secondo il The Wall Street Journal, il costo di produzione di un paio di jeans della True Religion Super T si aggira intorno ai 40 euro e da lì il prezzo dei denim viene rialzato del 260 per cento.

Questi jeans vengono realizzati negli Stati Uniti, dove il salario minimo è di 7,25 dollari l’ora e può arrivare fino a 12 dollari l’ora, mentre il costo orario del lavoro in Paesi come la Cina o Haiti è di 1,67 dollari. Può significare cuciture fatte a mano e rivettature di maggiore qualità. Può significare condizioni di lavoro decenti e un salario dignitoso. Può anche voler dire che i jeans siano più alla moda.

Ma come? Perché il ciclo di produzione di un paio di jeans prodotti negli Stati Uniti è molto più rapido. Il tempo complessivo per produrre un paio di jeans negli Usa dura circa un mese, laddove in Cina si può impiegare fino a sei volte tanto per produrre lo stesso capo. Nel mondo della moda possono cambiare molte cose in sei mesi, per questo motivo i designer di denim che vogliono presentare il paio “hit” della stagione tendono a produrre più localmente. 

Questione di scelta
Per molti, il valore economico e affettivo di questi prodotti non è paragonabile a un paio di jeans da 80 euro acquistati in un grande magazzino. Per altri si tratta di una scelta più eco-sostenibile, poiché chi acquista questo genere di capi ne possiede normalmente tre o quattro, e possono durare decenni. Chi può affermare, categoricamente, quando troppo è troppo? Come dice Warren Buffett, non conta il prezzo di ciò che paghiamo, ma il valore di ciò che otteniamo.

Per qualche ragione, si possono anche spendere mille euro per un vestito elegante o 700 per una giacca invernale – senza batter ciglio. La spesa sembra giustificata. Giacche e scarpe, con la giusta dose d’attenzione, possono durare molto tempo. I vestiti da uomo poi vengono in due pezzi, perciò è ragionevole dividere il prezzo in due. Le “fashion victim” hanno sempre una scusa pronta: “Compra cose di qualità, compra una volta”, dicono. “È un investimento”. Bel tentativo, ma non funziona.

Certo, probabilmente si risparmiano i soldi di una vita quando si passa dal golf di cashmere da 100 euro a quello da 400, facendo acquisti consapevoli e tenendo bene i propri abiti. Al tempo stesso, la differenza tra un vestito da 800 euro di un grande magazzino e quello che si può comprare con 1.600 euro è enorme. Ma moltiplicando per due la fascia di prezzo più alta non si ottiene il doppio della qualità. Neanche lontanamente.

Nessuno ha mai davvero economizzato acquistando solo il meglio. Le persone che parlano dei loro completi sartoriali prodotti 30 anni fa a Savile Row ne hanno un armadio pieno e li indossano a rotazione. Tutto ciò che viene indossato si consuma.

Esistono due ragioni per acquistare vestiti di alta qualità: perché hanno un aspetto fantastico, e per dimostrare la propria condizione di agiatezza, sia a livello economico che culturale. Ovviamente, la seconda ragione (di cui potremmo essere tutti vittime prima o poi) è esecrabile. Ma è sbagliato ridurre il desiderio di vestirsi magnificamente a una dimostrazione del proprio status.

Vestirsi bene è un’arte e un passatempo, e chi critica non è altro che un cretino e uno snob al contrario. Buon cibo, buona musica, buon design, le arti visive, lo sport: tutte queste cose costano denaro, in un modo o nell’altro. Dovremmo condividere di più il nostro superfluo con chi manca del necessario. Ma dividere i nostri piaceri tra il vano e il superficiale da una parte e il profondo e sofisticato dall’altra è, per la maggior parte, un esercizio inutile e sgradevole.

Ciò detto, anche i piaceri legittimi possono trasformarsi in atti di auto-indulgenza ed egoismo. Forse non si possono giustificare 1.000 euro per un paio di jeans o, per dire, una giacca sportiva da 9mila euro di Kiton. Non avere i soldi per farlo rende sicuramente la decisione più facile. Ma pur avendo i mezzi, sarebbe difficile giustificare questi acquisti. Esiste una cosa come il troppo. Il problema è che non sappiamo dove tracciare il limite.

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