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Home » Cultura

Giornata del Rifugiato, il presidente della Fondazione Trame a TPI: “Senza diritti, stiamo spingendo i migranti nelle mani delle mafie”

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Dal 21 al 25 giugno torna a Lamezia Terme il Festival dei libri sulle mafie “Trame”, giunto quest’anno alla sua dodicesima edizione. TPI ha intervistato il presidente della Fondazione Trame, Nuccio Iovene

Cominciamo dal tema del Festival: Mediterraneo, crocevia di mafie, migrazioni e sogni.
«Quando abbiamo pensato a questo tema per il Festival (Qui il programma completo) avevamo ancora vive negli occhi le immagini della tragedia di Cutro, sulle coste dello Ionio. Non pensavamo però che, a distanza di pochi mesi, una tragedia ancora più grande si sarebbe determinata al largo delle coste della Grecia, a testimonianza non solo della drammatica attualità del tema dei migranti ma anche della necessità e dell’urgenza di affrontarlo».

Il centro di tutto è il Mediterraneo.
«Per secoli è stato considerato la culla della nostra civiltà, il mare che ha unito tre continenti, il luogo di scambi fondamentali per lo sviluppo umano. Ma oggi è un cimitero per chi fugge da Paesi in guerra, dagli effetti del cambiamento climatico, dalla crisi economica e da persecuzioni religiose o politiche. È la dimostrazione dell’incapacità dell’Occidente di costruire vie d’accesso legali e trasparenti che non costringano le persone nell’illegalità».

Qual è il legame con le mafie?
«Le mafie nel Mediterraneo hanno costruito solide relazioni, non solo dal punto di vista dello sfruttamento del traffico di esseri umani. Questo mare è ormai un crocevia in cui non si incrociano solo i destini delle persone in fuga, che non siamo capaci di accogliere, ma anche le economie, le strategie e le alleanze tra reti criminali».

Ci fa un esempio?
«Gioia Tauro è un porto importantissimo del Mediterraneo e al tempo stesso uno degli scali dove sempre più spesso vengono intercettati gli esiti di questi traffici criminali. Ma non solo: nel corso del nostro Festival affronteremo le vicende di Malta e soprattutto della Libia».

In principio fu Gheddafi, poi Erdogan: il traffico di esseri umani è sempre più uno strumento politico. Finanziare i Paesi della sponda Sud per “trattenere” le persone è la soluzione?
«Niente affatto, anzi: è parte del problema. Anche per la natura degli interlocutori, si è dimostrata una strategia fallimentare che rischia di sostenere regimi totalitari o vere e proprie bande criminali, come è successo con il disfacimento della Libia dopo la cacciata di Gheddafi. Si finisce solo per concedere loro un’arma di ricatto sempre puntata contro i Paesi d’approdo. Bisogna ripensare profondamente questo approccio».

Come?
«Durante il Festival ne parleremo a lungo e da diverse prospettive attraverso, ad esempio, la presentazione di specifici libri, l’incontro con le ong che operano quotidianamente in mare in operazioni di ricerca e salvataggio dei naufraghi e il dialogo con interlocutori politici e istituzionali, compresi i magistrati che indagano su queste vicende. L’obiettivo è fare un punto della situazione, al di là della propaganda e di visioni semplicistiche, elaborando soluzioni diverse».

Ospiterete anche realtà già attive nel settore dell’accoglienza, proprio in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato.
«Quest’anno, per la prima volta, il Festival si allunga di una giornata ospitando stasera (20 giugno 2023, ndr) un evento dedicato proprio alla Giornata Mondiale del Rifugiato in cui si riuniscono tutte le associazioni del Lametino, laiche e cattoliche, per ragionare sul tema dell’accoglienza».

Un’accoglienza ingiustamente criticata negli anni scorsi, a partire dal caso Riace.
«In questi anni, Lamezia Terme e la Calabria sono stati un esempio positivo di buona accoglienza. Basti pensare proprio all’esperienza di Riace e di tanti altri piccoli Comuni che hanno aperto all’accoglienza i propri borghi abbandonati e le case disabitate. Nel tentativo non solo di dare un alloggio ma di costruire insieme agli immigrati una nuova comunità basata sulla coesistenza con la popolazione locale, su occasioni di lavoro e di relazione. Tutto questo malgrado un pervicace accanimento che ha provato a trasformare queste esperienze in ciò che non erano, raccontandole in maniera diversa, mentre sono esempi virtuosi».

Storie che però coesistono con altre, come quelle del Comune di Campobello di Mazara dove per anni è stato latitante Matteo Messina Denaro e che nell’ultimo mese si è distinto per lo sgombero di due ex fabbriche in cui vivevano – in condizioni degradanti – i lavoratori stagionali immigrati impiegati nei campi circostanti.
«Personalmente ho conosciuto da vicino esperienze analoghe nella Piana di Gioia Tauro, tra Taurianova e Rosarno ad esempio, dove queste persone vivono in condizioni al limite del sopportabile. Tuttavia, ogni volta, sembra che questa sia un’emergenza quando invece sono situazioni che vanno avanti da decenni: è dalla morte di Jerry Masslo (il rifugiato sudafricano ucciso nel Casertano nel 1989 da una banda criminale, ndr) che parliamo sempre delle stesse cose».

Situazioni in cui poi prosperano le organizzazioni criminali.
«È un fatto che l’agricoltura del nostro Paese abbia necessità di manodopera straniera stagionale, a cui ricorre sistematicamente, ed è un fatto che queste persone si muovono periodicamente da una zona all’altra. Sarebbe più logico, umano e opportuno gestire il fenomeno in maniera legale, a tutela dei lavoratori. Tenerli in condizioni tanto precarie li spinge invece sempre di più nelle mani della criminalità, che in un modo o nell’altro li sfrutta: o con il caporalato o attraverso vessazioni di vario genere».

Così rischia di diventare un problema di ordine pubblico.
«Queste persone subiscono vessazioni di ogni tipo ma poi quando reagiscono, come è successo con le rivolte di Rosarno e di Taurianova, scatta un meccanismo pericoloso. Non c’è dubbio che gli Enti locali, le Regioni e il Governo nazionale, che su questo tema ha delle responsabilità precise, dovrebbero tutti fare di più e molto di diverso».

Avremmo dovuto istituire canali di ingresso legale?
«Le scelte prevalenti degli ultimi decenni hanno costretto in una condizione di illegalità migliaia di persone, che se avessero avuto un’altra possibilità sarebbero entrate legalmente nel nostro Paese o avrebbero ottenuto un riconoscimento legale del proprio soggiorno in Italia. Si sono fatte tante ipotesi al riguardo, come ad esempio il permesso di lavoro temporaneo».

Basterebbe questo per contrastare il fenomeno dell’immigrazione clandestina?
«La condizione di clandestinità non è una scelta di chi entra in Italia, ma è imposta da chi non vuole l’ingresso di queste persone e le spinge nell’illegalità. L’importante è non chiudere mai gli occhi».

Il problema delle mafie sembra meno presente nell’opinione pubblica.
«C’è un affievolimento nell’attenzione e nell’azione di contrasto. L’idea che, per fortuna, non scorra più il sangue nelle strade e che non ci siano vittime eccellenti fa percepire le organizzazioni criminali come meno pericolose e presenti e invece oggi sono presentissime e non hanno rinunciato alla violenza. L’hanno accantonata e vi ricorrono tutte le volte che è necessario per i loro affari».

Hanno cambiato pelle rispetto alla stagione stragista?
«Si sono adeguate ai nuovi tempi e così deve fare la collettività nell’azione di contrasto. Nell’edizione 2023 del nostro Festival, in cui ricade il 30esimo anniversario del tentativo di esportare le stragi dalla Sicilia al resto d’Italia e in cui è stato arrestato Matteo Messina Denaro, il più importante latitante rimasto di quella stagione, intendiamo approfondire il lascito di quella strategia, che per fortuna è fallita. Ma questo non ha fermato le organizzazioni mafiose, che puntano ancora ai grandi traffici illeciti, agli appalti pubblici e alle opportunità offerte dal Pnrr. Per questo vogliamo tenere gli occhi bene aperti e continuiamo ostinatamente a mettere il dito nella piaga».

Come?
«Quest’anno abbiamo fatto un passo in avanti, che farà il suo esordio proprio l’ultimo giorno del Festival quando presenteremo una neonata rete di manifestazioni contro le mafie. Abbiamo messo insieme il nostro “Trame – Festival dei libri sulle mafie” a Lamezia Terme con “Restart! – Festival delle creatività antimafia e dei diritti”, che si tiene a Roma; “Noi contro le mafie”, che si svolge prevalentemente nell’area di Reggio Emilia, passando per il lavoro sul territorio di “Avviso Pubblico” a Mantova; e “LegalItria”, in Puglia. È una rete aperta, che abbiamo chiamato “Piazze connection” e per cui abbiamo scelto una lettura comune tratta da un libro di qualche anno fa Giacomo Di Girolamo, intitolato paradossalmente “Contro l’antimafia”. L’idea, provocatoria, è che per rafforzare e rendere più efficace l’antimafia, quest’ultima debba cambiare, adeguarsi alle nuove sfide. E noi siamo impegnati esattamente in quella direzione».

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