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Home » Cultura

“Oggi gli stupidi passano per autentici, e disprezzano gli intelligenti perché li temono”: intervista al filosofo Maurizio Ferraris

Immagine di copertina
Maurizio Ferraris

"I circuiti social hanno dato identità di classe al popolo delle fake news, proprio come le fabbriche avevano dato identità di classe agli operai"

“L’ideologia che anima la post-verità è l’atomismo di milioni di persone convinte di aver ragione non insieme (come credevano, sbagliando, le chiese ideologiche del secolo scorso) ma da sole”.

Non importano più i dati, le analisi approfondite e lo studio, ciò che conta sono soltanto le sensazioni e le convinzioni personali. Sono tanti coloro a cui basta una connessione a internet, per farsi promotori della propria religione personale, divulgata a colpi di click e di notizie prive di qualsiasi fondamento.

Soltanto in un clima dominato dalla post-verità, ad esempio, poteva accadere che durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali statunitensi, la fake news su Papa Francesco sostenitore di Donald Trump potesse avere un numero maggiore di visualizzazioni e di condivisioni rispetto all’inchiesta sugli scandali della Casa Bianca effettuata dal Washington Post.

Quanto possano essere pericolose le bufale sul web lo sa bene il giovane di Parma Alfredo Mascheroni, travolto dalla gogna mediatica a causa di un post in cui veniva indicato come pedofilo. Sorte simile quella toccata al pizzaiolo statunitense James Alefantis, che si è visto trasformare il proprio ristorante in un salone da far west, vittima di un’aggressione con un fucile d’assalto.

Si era diffusa in rete la notizia, rivelatasi falsa, che in quel locale si nascondesse un covo di pedofili. Non mancano all’appello anche le bugie socialmente pericolose per la collettività, quando la scienza viene relegata all’opinione e vengono diffuse notizie come quella che i vaccini procurerebbero l’autismo o che l’HIV sarebbe un’invenzione della case farmaceutiche.

Questi però, sono soltanto piccoli esempi di un fenomeno molto più grande e complesso, che ci viene spiegato oggi da Maurizio Ferraris, uno dei più grandi filosofi italiani viventi.

Nel 2016 l’Oxford Dictionaries ha incoronato la post-verità come parola dell’anno. Da allora, questo termine sembra essere entrato nel gergo comune. Qual è precisamente il concetto di postverità?

Nella definizione oxoniense, la post-verità è una affermazione non provata e che fa affidamento sull’emotività invece che sul raziocinio. Secondo me è una definizione insufficiente, perché in questo caso anche la fede religiosa sarebbe una forma di post- verità, il che non è, perché chi difende una post-verità è convinto di aver ragione, razionalmente e fattualmente ragione, e non di manifestare semplicemente una speranza o una fede.

Nel suo volume Postverità e altri enigmi (Il Mulino, 2017), mette in guardia il lettore da chi sostiene che le bufale siano sempre esistite. La naturale inclinazione dell’umanità verso l’imbecillità, come lei scrive, ha trovato un canale di sfogo e di diffusione grazie al web. Internet non ha quindi soltanto evidenziato un problema, lo ha anche alimentato?

Attenzione! Metto in guardia contro chi dice che (1) le bufale sono sempre esistite, e che (2) dunque la postverità non ha niente di nuovo. Che le bufale siano sempre esistite, mi sembra difficile negarlo: dicerie e stupidaggini saranno circolate anche nelle grotte di Lascaux.

Ma i mezzi di comunicazione di massa, soprattutto grazie all’amplificazione dei social media, dei tweet e dei retweet, produce una massa di testi scritti, dunque permanenti, altrettanto poco biodegradabili che i sacchetti di plastica nel Pacifico. I loro autori sono i più vari: giornalisti, filosofi, dilettanti della scrittura e professionisti della informazione.

Nulla di tutto questo avrebbe potuto aver luogo senza il web, ed è per questo che, contrariamente a coloro che dicono che non c’è niente di nuovo sotto il sole, asserisco che la post-verità è il tratto caratteristico del nostro tempo.

Lei ha scritto che l’elezione di Donald Trump è una grande pagina nella storia dell’imbecillità, una pagina corale, destinata a rimanere nella storia. Le ultime elezioni presidenziali negli Stati Uniti e l’ultimo referendum sulla Brexit, avrebbero potuto dare risultati diversi senza le fake news?

Io non credo che Donald Trump sia stato eletto in base a delle fake news, né che la Brexit sia stata causata da fake news.

Piuttosto, i circuiti social (che ospitano tra l’altro fake news, insieme a foto dei cibi mangiati dalle persone, pettegolezzi sulla vita dei famosi, metodi per smacchiare le camicie) hanno dato identità di classe al popolo delle fake news proprio come le fabbriche avevano dato identità di classe agli operai.

Perciò hanno eletto un presidente gradasso e inconcludente, come probabilmente lo erano loro stessi nella loro vita, o hanno votato contro l’Europa convinti che per loro non sarebbe cambiato niente.

Senza social network probabilmente le cose sarebbero andate diversamente, anche se questo non è un motivo per mettere al bando strumenti utilissimi come i social network: sarebbe come prendersela con la radio che ha svolto un ruolo chiave nella elezione di Hitler.

In Italia, secondo lei, quale partito ne beneficia di più?

Il Partito Democratico e Più Europa… Scherzo: è ovvio che sono i partiti al governo che ne beneficiano maggiormente, il che però crea una situazione nuova. Tradizionalmente, le televisioni erano filogovernative e i giornali antigovernativi.

Adesso le televisioni si guardano poco, i giornali ancor meno, e restano i social, che sono tendenzialmente filogovernativi.

Quasi ogni uomo è convinto che chi la pensa diversamente da lui sia più stupido. Come si può uscire da questo labirinto concettuale?

Non direi. I recenti moti contro le élites, per esempio in Francia, erano sommosse contro quelli che ne sapevano di più ed erano più intelligenti.

E poiché l’intelligenza non è vista come un complimento, nemmeno la stupidità è un insulto: “stupido” sta per “autentico”, “sincero”, “simpatico”. “Intelligente” è il contrario, è Lucifero, è Mefistofele, è il male.

E questo non da oggi, pensi al prologo del Vangelo di Giovanni che Leopardi mette in esergo alla Ginestra, “E gli uomini preferirono le tenebre alla luce…”.

Insomma, non credo proprio che ognuno di noi pensi che il prossimo sia più stupido: teme che sia più intelligente, e proprio per questo lo detesta (pensi all’antisemitismo).

Sempre a proposito di imbecillità, che cosa significa, parafrasando il titolo di un suo pamphlet, che “L’imbecillità è una cosa seria”?

Che molte azioni rovinose, cui spesso si tende a trovare il motivo nello spirito del tempo o in qualche nobilissima istanza, sono semplicemente frutto di imbecillità.

Su questo punto resta insuperato il giudizio di Talleyrand a proposito dell’omicidio del Duca di Enghien: è più che un crimine, è un errore (nel suo meraviglioso cinismo, avrebbe potuto anche dire: è una imbecillità).

Lei si sofferma non solo sugli errori delle masse, ma anche su quelli dei grandi filosofi. Ci può fare un esempio?

È difficile descrivere una imbecillità filosofica in due righe, e senza metterla in contesto. E poi, per quanto grandi siano i colpi di imbecillità dei filosofi, non lo sono mai quanto quelli di personaggi più potenti.

Riesce a immaginare qualcosa di più stupido che dichiarare guerra alla Francia e all’Inghilterra il 10 giugno del 1940? Un gesto corale in cui un imbecille di élite dichiarava una guerra che avrebbe causato rovina e umiliazione all’Italia e al mondo, e che suscitava (le immagini fanno perdere la speranza nel genere umano) un entusiasmo sconfinato, almeno in Piazza Venezia.

Per molti anni si è occupato di Nietzsche, pensatore al quale ha dedicato di recente anche un lavoro monografico (Guanda, 2014). In che senso il filosofo di Röcken ha anticipato le catastrofi del Novecento?

Ha detto che il mondo sarebbe andato verso una collisione tra forze che non aveva precedenti, e davvero le tempeste d’acciaio del Novecento hanno un tono profondamente nietzschiano.

In fondo, Marx non aveva previsto nulla di simile: rivolgimenti, rivoluzioni, ma non stermini e devastazioni. Nietzsche ha colto meglio di Marx il carattere autodistruttivo della modernità.

Il postmoderno ci ha presentato una realtà manipolabile, nella quale la verità non esiste e dove nulla è degno di essere preso sul serio. Con forza, lei si è opposto a questa tendenza rispondendo con il Manifesto del nuovo realismo (Laterza, 2012). Cos’è il nuovo realismo e cosa si propone?

Si propone di fare della filosofia una voce critica, utile e autentica, per un mondo pieno di difficoltà. E non semplicemente l’elogio dell’esistente, come era stato al tempo del postmoderno e come speso è ancora tutt’oggi.

Il messaggio neorealista è stato raccolto in tutto il mondo, segno che il tempo era maturo, e mi ha permesso di impegnarmi con tutte le mie forze anche in modo istituzionale, per esempio creando – in unione con il Politecnico e con l’Università di Torino – Scienza Nuova, un istituto di studi avanzati finalizzato precisamente alla comprensione filosofica del web e delle sue implicazioni politiche e sociali.

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