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Home » Cultura

“M come moda”, Giulia Rossi e il suo alfabeto dello stile: “Dal corsetto di Madonna alla canottiera di Bossi”

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La moda è uno dei grandi vanti del Made in Italy. Eppure c’è chi ancora guarda a questo importante settore con snobismo e superficialità. Ma la moda e il suo lessico hanno da sempre avuto un forte impatto su tutti gli ambiti della società, come in molte pagine di letteratura o del cinema, fino a influenzare oggetti e stili che si sono radicati nell’immaginario collettivo, e modelli che hanno segnato intere generazioni.

La moda dunque si esprime non solo attraverso i vestiti e le sfilate, ma anche nelle connessioni con le arti e la cultura. Un affascinante legame di cui parla Giulia Rossi, giornalista e docente di Comunicazione e Semiotica della moda, nel suo ultimo libro dal titolo “M come moda”, edito da Pendragon. In tutto 132 voci, dalla A alla Z come in un dizionario, per stimolare le connessioni che il mondo del fashion ha con i vari ambiti artistici.

Dalle pubblicità alle serie tv, passando per i film e la musica, tutto è impregnato di quel simbolo che chiamiamo moda. Opere che, in un codificato sistema di segni, hanno tramutato un capo d’abbigliamento o uno stile in fenomeno di un’epoca. C’è così, ad esempio, la B di bikini, un capo inizialmente considerato “peccaminoso” dal Vaticano, e poi lanciato in Italia da star del grande schermo come Sophia Loren e Gina Lollobrigida. O la R di Royal che rimanda all’iconico look di Freddy Mercury nel concerto a Wembley del 1986.

“Verso il mondo della moda c’è sempre stato un forte pregiudizio”, spiega Giulia Rossi a TPI. “Pian piano le cose stanno migliorando, ma essendo un’industria nata con un legame al femminile, è stata associata alla frivolezza. Eppure si tratta di un settore molto consistente nella nostra economia, e uno dei brand più forti che esportiamo all’estero”.

Come è nata l’idea di questo libro e quali sono le sue peculiarità?
“Mi sono accorta che oggi soprattutto i giovani sono bravissimi a cercare un’informazione specifica, ma spesso manca un ragionamento trasversale, che leghi più ambiti e fonti. Questo che ho scritto è un dizionario semiotico, che vuole dare un senso ai segni della moda. Sono parole che fanno parte di questo ambito, dagli oggetti agli stili. Per ogni voce viene fornito un mondo di collegamenti che quell’elemento della moda ha nell’immaginario collettivo delle ultime generazioni. Si tratta di riferimenti cinematografici, libri, articoli di giornali, foto ecc. Una catena di collegamenti che però non è esaustiva: è infatti un libro aperto, come direbbe Umberto Eco”.

Cosa si intende più precisamente?
“Io fornisco una serie di riferimenti in base alle mie esperienze e conoscenze, attraverso un’approfondita ricerca sulle fonti, analizzando come la cultura pop ha rappresentato certe istanze artistico-politiche. I testi quindi sono molto densi con tanti riferimenti trasversali. Non sono però esaustivi: l’obiettivo è che chi legge si possa incuriosire e possa apportare un suo contributo segnalando altri riferimenti da aggiungere”.

Facciamo qualche esempio delle voci che vengono prese in considerazione nel libro.
“Per esempio l’eskimo. Oggi è una giacca mediamente fighetta che non ha particolari connotazioni, ma negli anni Settanta, come cantava Guccini, era un capo associato alla sinistra ribelle. Oppure la canottiera bianca che diventò emblema del primo Bossi, come simbolo dell’uomo del popolo che lavora. L’idea è che la moda mantenga un suo carattere leggero, ma non frivolo.

Un altro esempio è Abito, con il collegamento a Espiazione, film con Keira Knightley, tratto dal best seller di Ian McEwan, in cui in una scena chiave l’attenzione è posta su un abito verde. E ancora il corsetto, che si lega alla moda rinascimentale e delle corti, che richiama a un’altra scena cult di Via col vento. Quel capo che era simbolo di una costrizione a cui erano sottoposte le donne, negli ultimi decenni è stato rivalutato per esempio da Madonna nel Blonde Ambition World Tour, diventando simbolo di emancipazione e seduzione”.

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