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Home » Cultura

Interviste impossibili ai padri della patria: quando il saggio si fonde con la creatività storica

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In Interviste impossibili ai padri della patria Renzo Parodi combina, con competenza, garbo e ironia, l’analisi meticolosa degli eventi che portarono all’unità nazionale con uno sguardo, volutamente pessimista, sull’Italia di oggi. I quattro moschettieri del Risorgimento vengono setacciati ai raggi X per analizzare episodi celebri la cui interpretazione non sempre trova coincidenza nei singoli punti di vista.

Il primo personaggio a essere analizzato è Vittorio Emanuele II. L’autore non fa mistero della sua scarsa stima nei confronti del re galantuomo, unanimemente riconosciuto come il miglior sovrano, o forse sarebbe più appropriato dire il meno peggiore, prodotto da Casa Savoia. Il sovrano viene descritto come un goffo e un rozzo opportunista, privo di qualunque decenza morale. D’altronde, i forti dubbi sul fatto che egli non fosse il figlio di Carlo Alberto, probabilmente perito in un incidente domestico in culla, bensì d’un rozzo macellaio fiorentino, sembrano trovare conferma nei continui comportamenti inadeguati d’un personaggio mediocre a 360° gradi.

Si passa, poi, a Giuseppe Mazzini, l’apostolo dell’unità italiana. L’autore lo predilige agli altri tre in quanto, proprio come lui, Mazzini ha sempre rifiutato i compromessi. Da buon cronista, però, Renzo scinde cuore e cervello non facendo al figlio di Maria Drago sconti sulla folle utopia delle sue ultime imprese, quelle che, come nei casi di Carlo Pisacane e Felice Orsini, sembrarono finalizzate più a impedire l’espansione territoriale del Regno di Sardegna che a favorire il processo unitario. A Mazzini viene riconosciuto il monopolio storico d’aver visto lontano. Oggi l’Italia, pur tra mille travagli è una nazione indipendente, libera e repubblicana. Solo lui l’aveva creduto possibile. Di questo piccolo dettaglio, Parodi fa bene a ricordarcelo, gli va reso merito eterno.

Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi, è un uomo che è impossibile non amare. Originariamente autentico braccio armato del pensiero mazziniano, al ritorno dal Sud America nel 1848 si converte a una linea più pragmatica accettando l’idea di un’Italia monarchica e sopportando anche la perdita della sua Nizza sull’altare del bene supremo. Parodi, nolente, è più indulgente con Garibaldi che con gli altri moschettieri in quanto il nizzardo ha sempre agito in buona fede, a volte ben oltre il limite dell’ingenuità, finendo per questo spesso raggirato.

Il gran finale, inevitabilmente, è dedicato al Grande Tessitore. Personalmente, ritengo che le azioni del Conte di Cavour abbiamo anticipato di mezzo secolo la nascita dell’Italia. Poco avrebbero fatto senza di lui gli altri tre padri della patria. In tal senso, dubito che il connubio Vittorio Emanuele – Garibaldi avrebbe prodotto alcunché senza la sapiente regia di Cavour. A Parodi Cavour personalmente non piace, ma ne riconosce le qualità eccelse. Ci racconta di come un giovane cadetto, scapestrato e ludo patico, diventa l’autentico padre della nazione. La capacità del Conte, nei suoi due ultimi anni di vita, di giocare su più tavoli, simultaneamente e in modo spregiudicato, viene resa inequivocabile, facendo anche comprendere come questo porti alla sua prematura e repentina scomparsa.

Gradevole e rapidamente assimilabile, Interviste impossibili ai padri della patria è un libro rigoroso che si rivolge ai giovani, simile a un corposo Bignami del Risorgimento. Parodi esige nel lettore una discreta conoscenza degli eventi, a cominciare dall’accordo di Plombieres, snodo fondamentale del processo d’unificazione dell’Italia. Parodi ci fa capire come Cavour ne aveva ben compreso l’assoluta necessità formale, ben sapendo che l’inerzia degli eventi ne avrebbe resa impossibile l’applicazione: una scommessa ardita ma vincente che generò l’effetto domino che, in 18 mesi, trasformò il Regno di Sardegna in quello d’Italia.

Interviste impossibili ai padri della patria (Il canneto editore) – € 18.00 – disponibile in libreria e su Amazon

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