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Morta Ilaria Occhini, la nonna di Mine Vaganti

 

È morta Ilaria Occhini. L’attrice fiorentina si è spenta nel pomeriggio di sabato 20 luglio all’età di 85 anni.

Ha attraversato il cinema italiano, lavorando con Luchino Visconti ieri e sul set di Ozpetek più recentemente. Ilaria Occhini si è mossa davanti alla telecamera con un’eleganza rara, facendosi ricordare proprio per la delicatezza con cui interpretava i ruoli che le venivano affidati.

Ilaria nacque e crebbe in una famiglia di artisti. Il padre era lo scrittore Barna Occhini, il nonno era il poeta Giovanni Papini. Dal 1966 era sposata con lo scrittore Raffaele La Capria.

Sul primo set Ilaria arriva nel 1954, quando ha appena 19 anni, il film è Terza liceo di Luciano Hemmer.

L’attrice fiorentina arriva in televisione negli sceneggiati L’Alfiere e Jane Eyere e a teatro qualche anno dopo in L’impresario delle Smirne di Carlo Goldoni, diretto da Luchino Visconti. Sempre co il grande regista, Ilaria Occhini lavora sul set di Uno sguardo dal ponte e Figli d’arte.

Sul piccolo schermo l’attrice fiorentina è ricordata soprattutto per gli sceneggiati del 1973 Puccini e L’Anreana, del 1982. Nel 1992 vinse il Nastro d’argento come miglior attrice non protagonista per l’interpretazione in Benvenuti in casa Gori.

Dal 2005 la troviamo sul set della fiction Rai Provaci ancora prof! e nel 2008 è protagonista del film Mar Nero, diretto da Federico Bondi, con cui viene candidata ai David di Donatello. Per il ruolo interpretato in quel film vince Pardo d’Oro alla miglior attrice al Festival internazionale del film di Locarno.

Il David di Donatello arriva nel 2010 come miglior attrice non protagonista di Mine Vaganti, diretto da Ferzan Özpetek. Sempre per quell’interpretazione vince il premio Alida Valli per la migliore attrice non protagonista al Bif&st 2011.

Celebre il monologo della nonna, che Ilaria Occhini interpretava in Mine Vaganti.

“Chi lo sa se questi luoghi avranno memoria di me. Se le statue, le facciate delle chiese, si ricorderanno il mio nome. Voglio camminare un’ultima volta per queste strade che mi hanno accolto tanti anni fa quando tutti mi chiamavano “la toscana”. Voglio vedere le pietre gialle, tutta quella luce che ti toglie il respiro. Se le strade conserveranno il rumore dei miei passi.

La mia città, la città di Lecce, la devo salutare prima di partire. Ai miei nipoti Antonio, Elena e Tommaso lascio tutto quello che ho, ma le terre che erano di Nicola quelle voglio che sia Antonio ad averle. Devi tornare qui Antonio, perché è qui che appartieni, avrai la terra, la forza che vive quando noi moriamo. Tu Luciana avrai tutto quello che ti serve ma devi farti un po’ di coraggio, i ladri non devono passare per forza dalla finestra. Quella è pure casa tua. Voi, Vincenzo e Stefania, non c’è niente che potete fare per non amare Antonio.

La terra non può volere male all’albero. Tommaso, scrivi di noi, la nostra storia, la nostra terra, la nostra famiglia, quello che abbiamo fatto di buono e soprattutto quello che abbiamo sbagliato, quello che non siamo riusciti a fare perché eravamo troppo piccoli per la vita che è così grande. La mina vagante se ne è andata. Così mi chiamavate pensando che non vi sentissi. Ma le mine vaganti servono a portare il disordine, a prendere le cose e a metterle in posti dove nessuno voleva farcele stare, a scombinare tutto, a cambiare i piani”.

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