Il rider bullizzato, la ragazza palpeggiata e quella cultura machista che fa ammalare alcuni tifosi
In queste ore, sul web, stanno spuntando come funghi video inconcepibili di alcuni festeggiamenti per la vittoria dell’Italia nella semifinale degli Europei 2020. “Inconcepibili”, perché nessuno può giustificare, oltre alla quasi totale assenza di raziocinio nell’inutilizzo di mascherine e altre misure di sicurezza (qualcuno dirà che si tratta di scene all’aperto, ma data la distanza assente tra le persone sarebbe impossibile non contagiarsi se ci fossero asintomatici), la maleducazione, la strafottenza fino alla violenza.
Gravi incidenti stradali a seguito di stupide acrobazie con le auto, vetture scosse e percosse in mezzo a sciami di tifosi, petardi scoppiati a pochi centimetri dal corpo, gente salita sul tetto degli autobus e poi caduta rovinosamente sull’asfalto, ragazze molestate con palpeggiamenti non richiesti, tamponamenti a motorini quasi mortali.
Fino a, forse il peggiore per umiliazione, quello in cui un rider è costretto a passare col suo scooter in mezzo a una folla che, anziché permettergli di lavorare in pace, facendogli spazio per lasciarlo andare, lo spinge fino a farlo cadere a terra, e poi lo calpesta, gli tira calci addosso e lo picchia sul casco, qualcuno sale addirittura in piedi sul suo mezzo sdraiato, sul cassone del cibo da consegnare, fino a che, non senza fatica, l’uomo si rialza, risolleva il motorino e cerca di ripartire, risalendo lento quella corrente impazzita. L’incivile indecenza che schiaccia completamente la dignità di una persona, di un lavoratore, di un cittadino.
Immagini inguardabili, da Milano a Cerignola. Il fallimento, in pochi secondi, di una generazione sulla quale, per colpa di un branco di irresponsabili scellerati, risulta difficile continuare a scommettere. Perché a rimetterci è sempre un’intera categoria di giovani perbene, a rappresentare un futuro migliore, aperto ai diritti di tutte e tutti, comprensivo ed empatico. Tutto ciò che in certe riprese, però, non possiamo ritrovare e per questo restare ottimisti diventa faticoso.
Ma se generalizzare è sempre sbagliato, e dunque è giusto ribadire come il calcio, di per sé, non sia un ambiente tossico, è altrettanto lecito chiedersi come mai episodi simili siano rari quando si parla di altri sport: pallavolo, basket o rugby, ad esempio. Mi chiedo per questo come si possa continuare a chiudere gli occhi su un problema reale, che non riguarda “semplicemente” gli ultras delle singole squadre ma una certa cultura esagitata dei tifosi che non sanno, di fatto, riconoscere i limiti.
Perché se tutto questo è un problema che tocca da sempre il calcio, e che nessuno osa evidenziare forse per un background di tradizione “machista”, perché la maggior parte dei Comuni si fa trovare tutt’oggi impreparata in queste occasioni? Possibile che per domenica prossima nessuno abbia ancora diffuso misure ufficiali per contenere i danni che, inevitabilmente, ci saranno?
Abbiamo il dovere di indignarci, di prendere posizione, di dire che non è vero che “il pallone”, in Italia, è intoccabile. Lo diventa eccome se, anziché diffondere messaggi positivi di solidarietà, fair play e rispetto, mostra i lati peggiori dell’essere umano. Perché no, io quelle braccia viscide che si allungano verso il corpo di una mia coetanea, sollevandole la maglietta e agguantandole i seni come fossero una coppa da conquistare, non posso e non voglio dimenticarle.
Dobbiamo evitare che tutto questo venga accostato al concetto di “libertà”. Alla scusa che la clausura, lo stress e le difficoltà di questo anno e mezzo, che non possono essere il lasciapassare per inondare piazze, strade e rotonde come se la pandemia fosse stata debellata per sempre. E soprattutto, come se il buon senso e il raziocinio non fossero propri di questo mondo. Del loro mondo. Perché se è vero, come dicono, che inginocchiarsi sul campo non risolve un problema, ora è l’occasione per dimostrare coi fatti da che parte si vuole stare.