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Dalla rivalità alla fratellanza ritrovata

Immagine di copertina
Famous Ruins of Roman Forum in Rome, Italy during sunset.

Il fratricidio di Romolo è strettamente collegato alla fondazione mitica dell’Urbe. Nei testi antichi cinesi, il rapporto fra Huangdi e Yandi ha subito una caotica trasformazione. I comuni avi dei cinesi sono fratelli rivali, ma anche alleati i collaboratori. L’apparente contraddizione è il risultato del processo della fusione delle etnie cinesi

“Excessere omnes adytis arisque relictis di, quibus imperium hoc steterat” (i nostri dèi, sui quali si fondava questo impero, hanno lasciato i templi e i loro altari), così narrava Virgilio del cruciale momento della caduta di Troia (Eneide, II, 351), sancito ufficialmente dall’abbandono degli dei e numi tutelari del popolo. Gli antenati cinesi avrebbero individuato lo stesso sentimento nei confronti degli templi ancestrali, i quali, oltre alla funzione del luogo di culto, salvaguardano i legami affettivi e il senso di appartenenza a una comunità dal destino condiviso.

Tutte le strade portano a Roma, quella intrapresa dai troiani non fa eccezione. Ma la destinazione del viaggio non è ancora Roma, bensì l’Italia, che deve preesistere e soffrire perché Roma debba affermarsi e diventare una potenza imperiale. Oggi la città eterna è la sineddoche dell’intero Paese, mentre Italia nel secondo verso virgiliano non è altro che una nozione geografica, ossia una terra preparata per la futura gloria romana. Gli oracoli verranno compiuti in Italia, come recita l’inizio del poema, “Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris Italiam fato profugus Laviniaque venit litora” (Le armi e l’uomo canto che per primo dai lidi di Troia per volere del fato venne fuggiasco in Italia e ai litorali di Lavinio). La prima metà del poema parla infatti di ricerca dell’Italia e viaggio verso l’Italia, ma l’eroe che cercò l’Italia, finì per trovare Roma. Così voleva il Fato, ci viene detto. La ruota della Fortuna si fermò per la volontà del Fato. Il poema epico in quanto espressione dell’ossessivo fatalismo del poeta mantovano, si trasforma nel veicolo dell’identità italiana.

La Fortuna è una donna capricciosa e instabile. “Servis regna dabunt, captivis fata triumphum”(il fato darà regni agli schiavi e ai prigionieri un trionfo), i versi di Giovenale ci ricordano gli umori della dispensatrice del bene e del male. La gloria è effimera, “Sic transit gloria mundi”(così passa la gloria del mondo), l’ammonimento dello schiavo che sussurrava all’orecchio del generale trionfante ci ricorda la tradizione degli Specula principum.

Tale parabola inaspettata semina insidie e conflitti fatali persino fra i fratelli. Il rapporto fra i fratelli, di grande affezione ma di profonda conflittualità (materia di romanzo), ebbe quale magnifico esito la creazione di capolavori artistici, teologici e politologici. Nel Periodo delle primavere e degli autunni (722- 481 a.C), il principe dello Stato di Zheng (郑), il primogenito nato da un parto distocico, non era il prediletto dei genitori che nutrivano un maggiore affetto verso il secondogenito Duan. Mentre regnava, il principe doveva subire l’indole tirannica e l’ambizione ribelle del fratello minore che pretendeva il trono. La connivenza del principe risultava essere l’arte della simulazione machiavellica con cui diede un colpo fatale al fratello ribelle. L’episodio documentato nei Discorsi degli Stati (国语 ) avvenne nel 722 a.C., tre decenni prima, il 21 aprile 753 a.C, sulle rive del Tevere, i discendenti di Enea fondarono Roma.

Wolf and Twins [reverse].
Secondo il mito, Roma prese il nome dal suo fondatore, Romolo, uno dei figli gemelli di Rea Silvia, la quale alla sua volta era discendente di Enea, che si unì carnalmente con il dio Marte. Ma chi era il maggiore, Romolo o Remo? Nessun indizio si può individuare nelle fonti mitiche legate alla fondazione dell’Urbe. All’enigma c’è però una risposta immediata su cui tutti concordano: è Romolo il fratello maggiore con il fratricidio che pesa sulle spalle. La risposta potrebbe essere giustificata dall’impossibilità di attribuire il potere di fondare la città secondo la primogenitura, se fosse stato precisato l’ordine fra i gemelli, il conflitto sanguinoso sarebbe stato risparmiato.
È lecito a questo punto chiedersi, quando interpretiamo il racconto mitico come una metamorfosi della realtà: quando la sacerdotessa partorì gli infanti in condizione di clandestinità, chi era lì presente ad assisterla? Come fece a distinguere il maggiore dal minore? E il pastore, quando li trovò allattati dalla lupa, come riuscì a farlo? Non erano gemelli monozigoti, questo sembra ovvio, altrimenti i loro seguaci si sarebbero trovati in tanta confusione. Si tratta delle ipotesi verosimili, destinate a naufragare nella vasta letteratura ambigua.

Mentre l’enigma dei gemelli rimane senza risposta, i padri di Chiesa non esitano ad attribuire le cause dello scoppio delle guerre civili della Repubblica romana al fratricidio nel momento della fondazione. “Roma infatti ebbe origine con un fratricidio”, il verso di Lucano è ripreso da Agostino nel Civitas Dei. La città eterna nasce da un ritorcersi dei ferri contro la propria carne. Alle severe accuse di Agostino, fanno eco da lontano le parole di Ugo Foscolo: “Le nazioni si divorano perché una non potrebbe sussistere senza i cadaveri dell’altra.” Ma la leggenda non si ferma all’assassinio. Ascanio e Senio, figli di Remo riuscirono a fuggire dallo zio e si diressero, con la lupa che aveva nutrito e protetto il loro padre e zio, verso l’Etruria dove decisero di stabilirsi sul colle toscano fondando una nuova città. Questa città “gemellata” con Roma avrebbe preso il nome del maggiore dei due, Senio, ovvero la città di Siena. Il mito della lupa senese appare per la prima volta nel Duecento, ed è un’invenzione degli umanisti della città del Palio. Il messaggio che volevano lasciare a contemporanei e posteri non poteva essere più chiaro: la nostra è una città che vanta lontane origini, al punto da essere riconosciuta di antica nobiltà non inferiore a quella di Roma.

Mentre romani e senesi si riconoscono diretti discendenti dai gemelli, i cinesi si sentono pronipoti di Huangdi (黄帝 , imperatore Giallo) e Yandi ( 炎帝 , imperatore di Fuoco), due sovrani mitici nell’età aurea della storia leggendaria cinese. Il binomio dei comuni avi fece la prima comparsa negli scritti delle Primavere e gli Autunni. Nei Discorsi degli Stati viene riportato un dialogo fra il principe dello Stato di Jin e il suo cancelliere, che cita la leggenda di Huangdi e Yandi, i quali, nati dagli stessi genitori, per le loro diverse virtù presero i diversi cognomi Ji (姬 ) e Jiang (姜 ) e divennero i capostipiti rispettivamente dei principi dello Stato di Jin e quelli dello Stato di Qi. Nella Cronaca di Zuo (左传 ) l’autore ha attribuito maggiore importanza a Huangdi rispetto a Yandi. Correva l’anno 635 a.C., quando il principe dello Stato di Jin chiese all’indovino di interpellare l’oracolo sull’esito dell’intervento a favore del principe dello Stato di Zhou. “Propizio, come l’esito della battaglia di Banquan (阪泉之战 ) combattuta dallo stesso Huangdi”, ovviamente Huangdi vinse la battaglia, e l’identità della parte sconfitta non precisata nel risultato della divinazione non era altro che Yandi. Una nuova guerra scoppiò fra i fratelli, e la loro rivalità altro non era che una rappresentazione metaforica della rivalità esistente fra lo Stato di Jin e quello di Qi, due potenze in competizione per ottenere l’egemonia. Nelle Memorie di uno storico (史记 ), opera monumentale che narra la storia cinese dagli albori (epoca dell’Huangdi, circa 2600 a. C.) fino all’epoca dell’imperatore Wu della dinastia Han (140 -87 a.C.) , il Grande Scriba, Sima Qian (司马迁 ) riprese il racconto mitico della guerra fra Huangdi e Yandi, tacendo però sul rapporto tra i due.

La figura di Yandi rimase tuttavia sempre oggetto di manipolazione storiografica. Ne Il Libro smarrito dei Zhou (逸周书 ), l’anonimo autore capovolse la narrazione con il racconto della storia dell’alleanza fra Yandi e Huangdi contro il comune nemico Chi You (蚩尤 ). La rivalità e l’alleanza nelle diverse fonti mitologiche e storiografiche, malgrado le contradditorie e opposte caratteristiche, rispecchiano il processo della fusione delle etnie, fondendosi nei testi costituitivi della fondazione della comunità immaginata. La consacrazione dei fratelli rivali ha contribuito alla genesi della comunità politica. La Storia (con la S maiuscola) non è il dettato di chi ne esce vincitore, bensì una narrazione congiunta che parte dai conflitti funesti per arrivare all’alleanza per scelta, alla concordia definitiva fra i discendenti. I lettori moderni non si interrogheranno sull’ordine di nascita di Romolo e Remo, neppure sui dati anagrafici di Huangdi e Yandi. La lupa capitolina nell’atto di allattare i gemelli rievoca la dolcezza, la solidarietà e la fratellanza, ed è questo momento immortalato che viene ripreso nell’inno di Goffredo Mameli, Fratelli d’Italia. Ogni storia è storia contemporanea, così afferma Croce, la fratellanza ritrovata, oltre ad essere un modo di raccontare la storia, è pure una visione verso un futuro condiviso.

L’autore è professore associato di letteratura italiana all’Università per l’economia e il commercio internazionale (UIBE) di Pechino

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