Cyclonopedia, l’entropico saggio di Reza Negarestani che racconta un mondo sconvolto
Il mondo sconvolto, arso da un sole di rame – il deserto che avanza inghiottendo la fisionomia timida, scheletrica e intrecciata, come in un dipinto tardo-gotico e biomeccanico di Beksinski; questo è il panorama interiore che sembra emergere dall’entropico, avviluppato e iper-accelerato saggio di Reza Negarestani Cyclonopedia – complicità con materiali anonimi, pubblicato nel Luglio 2021 dalla LUISS University Press.
Ed è un piccolo miracolo editoriale poter stringere tra le mani questo libro dalla lucida copertina nera, con quella incisione schematica, araldica e tribale, capace di promettere un cyber-Bestiario di post-strutturalismo, intimismo biografico, deliqui da aeroporto e da non-luoghi assortiti, orrore, che non è l’orrore conradiano dilatato oltre lo spazio e il tempo ma un orrore insondabile, primitivo, ferale, da ciclo lovecraftiano.
Un miracolo editoriale, dicevo, perché questo libro, come avrebbe segnalato Nietzsche, è per pochissimi. Per pochi e al tempo stesso per nessuno.
Virtualmente non ha e non può avere mercato, incategorizzabile, di difficilissima lettura, con un autore talmente obliquo, fantasmatico, liminale da aver fatto dubitare persino della sua stessa esistenza.
In realtà, Negarestani esiste ed anche lui, come Sadie Plant e Nick Land, di cui la LUISS University Press ha pubblicato le principali opere, è figlio e frutto di quella CCRU che ha impresso nei primi anni novanta un segno indelebile, una cicatrice purpurea e carnicina sulla soglia di ingresso del pensiero contemporaneo che maggiormente chieda di confrontarsi con i linguaggi della società digitale.
Di origini iraniane ma solidamente stabilito negli Stati Uniti, Negarestani è una gemma che riesce a far fiorire, nel ventre ocra di un infinito pianoro battuto dai demoni della tradizione islamica, i Djin, le tradizioni collaterali della filosofia rizomatica dei Deleuze, Guattari, Derrida, ma con un piede saldamente piantato nella tradizione speculativa e nella filosofia di Kant e Hegel.
Considerato padre poco nobile della ‘theory fiction’, una germinazione fluida di filosofia in forma di diario, nutrita da essenze finzionali e meta-letterarie, capaci di assommare Aristotele, Latour, Bataille, Nietzsche, Deleuze, il post-strutturalismo con il cyberpunk e gli orrori di Lovecraft, Negarestani se ne sta là, fermo, immobile, nell’immaginifico e ombroso punto di intersezione che, complice pure l’origine islamica della cultura di riferimento, unisce in chiave biomorfica Abdul Alhazred, l’arabo pazzo autore del lovecraftiano Necronomicon, la ‘Storia universale dell’infamia di J. L. Borges, nelle cui pagine troviamo non casualmente un altro filosofo eretico islamico decisamente flamboyant, Al-Muqanna, secondo il quale la copula, come l’arte e gli specchi, sarebbero stati da ritenersi empi e blasfemi per il loro riprodurre il sembiante del divino.
Il volume si apre con la introduzione, preziosa, di Sebastiano Maffettone; preziosa perché un filosofo accademico ‘classico’ davanti a un libro come ‘Cyclonopedia’ potrebbe esser tentato di sollevare le spalle, inarcare e aggrottare la fronte, pensieroso e pensare di passar oltre, senza perder tempo, e rubricando il tutto a esperimento di pop-filosofia nichilista, esotica e sotto anfetamine.
E invece Maffettone dimostra di voler prendere assai sul serio Negarestani, come d’altronde da qualche anno fanno nel mondo anglo-americano, dove il giovane filosofo iraniano insegna, tiene lezioni, eventi e intesse rapporti intellettuali sempre più entropici, in questo assai simile al suo maestro Nick Land.
L’emersione di una latente filosofia oscura, ctonia, che brulica sotto la superficie istituzionale delle carriere accademiche e delle grandi Università, rende innegabile la necessità di confrontarsi con questo sotto-mondo che va assemblandosi come un formicaio capace di erodere, da dentro, la complessità del reale e la nostra stessa percezione del mondo e dell’esistente.
Maffettone coglie molto acutamente, e bene, il senso complessivo di una ricerca, quale quella di Negarestani, di un corpo mistico, di una metafisica ebbra di contaminazioni e di strutture che simili a layer si sommano, si negano, giocano tra loro in una agglomerazione laocoontica: la crisi della filosofia contemporanea, lo sgretolamento furtivo delle certezze, ha aperto lo spazio cieco e vuoto del presente a forme demoniche, quelle stesse forme demoniche che nel volume di Negarestani troviamo narrate, decostruite e analizzate, le quali si inoculano nei dispositivi di formazione della società e delle nostre relazioni cognitive, affettive, professionali.
Cyclonopedia è un libro a suo modo eretico, e non solo perché alle eresie islamiche e concettuali dedica una intera parte; è un diario psichico, da sonnambulo ritornato alla luce del giorno dopo un letargo lisergico, popolato di incubi, desolazione, viaggi spettrali, simile e diverso al tempo stesso alla speculazione di Eugene Thacker che in Tra le ceneri di questo pianeta (Nero) ha delineato la linea d’orizzonte di un mondo di puro orrore, nettato dall’invasivo, ed esclusivo, punto di vista dell’umano, sostituito da una mistura alchemica e pop di orrore filosofico, la negazione della tradizione filosofica classica sostituita dalla demonologia, e l’orrore letterario che in una scia ellittica congiunge il nichilismo e Stephen King, H. P. Lovecraft, Thomas Ligotti, la cinematografia di Mario Bava.
Il volume si apre come una pagina di diario, scritto da un eteronimo di Negarestani, che in questo diluisce la lezione complessa di Fernando Pessoa: e c’è, in effetti, nella traslucida, visionaria compattezza letteraria di Negarestani qualcosa della sapienza ancestrale e solitaria del grande portoghese, quel senso evoluto di esistenza da far consistere solo nel e per lo spazio di creazione, tra i fiumi dei versi e i fumi della narrazione.
Non c’è qui il destino di un mare immenso e bluastro, cupo nella sua insondabile deriva, davanti cui rendersi spettri erranti, nel destino del popolo portoghese che se ne sta a rimirare la risacca dell’esistente, tra lucori di Fari, depressione, interiorizzazione di passioni fredde e spazi oceanici, ma c’è il vuoto del deserto, il giallo puntuto della sabbia e il nero vorticoso del petrolio, il Medio Oriente di carne e mente che come un robot biomorfico si fa organismo vivente.
L’aderenza e la adesione di Negarestani alle sue parole è totale, esattamente come avviene in Pessoa, per il quale esistono solo due date significative, quella di nascita e quella di morte, ‘tutte le altre sono mie’.
E d’un tratto appare un altro eteronimo dell’autore, Hamid Parsani, rivoluzionario ed eretico filosofo scomparso, probabilmente rapito dalla polizia politica dello Scià, prima della rivoluzione islamica che avrebbe cambiato il volto dell’Iran.
Parsani è una scheggia impazzita che fende il nero della notte. Si muove in un campo celeste e grigino di tumulti digitali, in quegli spazi sotterranei dell’underground culturale, e quando scompare grande è la confusione che prende a regnare tra le sinapsi dei suoi antagonisti e dei suoi seguaci.
E quando poi riappare, dopo un esilio ingolfato di silenzio e astio, lo troviamo impegnato in scavi archeologici e in progettazione architettonica, sorta di Esorcista capace di riportare alla vita le antiche vestigia di civiltà dimenticate e forse mai davvero esistite, con un piglio in questo davvero lovecraftiano.
I “materiali anonimi” cui fa riferimento il sottotitolo del volume non sono però le arcate, le mura erose dal deserto e dal passare dei secoli; si tratta della strutturazione di una categoria speculativa e interpretativa focalizzata sulle tecniche estrattive, sui combustibili fossili, sulla relazione tra industria petrolifera e cultura demonica, una prospettiva che connette estrattivismo, post-colonialismo, lampi rizomatici post-deleuziani e dark-fantasy.
Come ha sottolineato Melanie Doherty, che a Cyclonopedia ha dedicato il saggio Oil and dust ricompreso nel volume collettaneo Oil Culture, curato da Ross Barrett e Daniel Worden, e che è stato pubblicato nel 2014, a Negarestani interessano due prospettive radicali; una è quella della forma macchinica del petrolio come linfa che scorre sotto la superficie del mondo medio-orientale, rendendolo una porta di passaggio tra mondi, tra antichità demonico-sapienziale e modernità tecnica, e dall’altro lato la polvere, la cenere, l’idea di un paesaggio mediorientale inteso come elemento autonomo e vitale.
L’idea delle ceneri, lo abbiamo già visto, ha affascinato anche Thacker che con Negarestani condivide questo approccio nichilista-macchinico capace di infondere il pneuma dell’agency, nel senso proprio di Latour, all’inanimato e al carente di bios: e attraverso Thacker, il messaggio è grondato tra le linee di connessione della cultura televisiva, esondato dalle estetiche di True detective e dei video rap, dove il motto “tra le ceneri del mondo” compare su giubbe e abbigliamento vario.
L’ossessione per la emersione di entità inanimate dotate di potere senziente e di capacità evolutive rendono Cyclonopedia una opera affine, ancorchè del tutto imprevedibile e incatalogabile, alla riflessione teorica della sociologia della scienza francese, di Bruno Latour, Michel Callon e altri, secondo cui la potenza della tecnica, e la sperimentazione capace di coniugare evoluzione scientifica, dibattito pubblico e latenze politiche avrebbero dovuto imprimere una ridefizione capillare e analitica alla forma di rappresentanza politico-decisionale, includendo in essa anche l’inanimato: il Parlamento delle Cose teorizzato da Latour sembra stendersi come un sudario sui veli di sabbia di un Medio Oriente che Negarestani affresca come entità capace di propria, autonoma volizione.
Negarestani è un autore da prendere terribilmente sul serio, come quando decostruisce la guerra al terrore e ci restituisce gli orrori fondanti, abissali, emersi dalle cavità glaciali della storia della jihad e della guerriglia urbana: la iper-mimetizzazione dei sensi e dei corpi, l’afflato distruttivo che deflagra in ogni atomo dell’esistente, la sommatoria caleidoscopica che per spiegare la strutturazione del conflitto tecnico parte dal film di Carpenter La cosa, la limitazione di ogni libertà nel nome di un superiore ordine inesistente, artificiale esattamente come i Grandi Antichi di Lovecraft.
Cyclonopedia è un titanico affresco purpureo di un mondo che si va inabissando tra i granelli di cenere, mentre noi, irrisolti e inquieti, finiamo di sorseggiare un cocktail, pensando a un calembour, a uno scherzo, e trovandoci invece nel cuore bruciato della neghentropia e dei desideri frantumati.