Utopie sociali, ambientalismo, pulsioni spirituali e capitalismo snob: così è caduto il mito delle città ideali
Sostenibilità ecologica, ritmi di vita più lenti e spazi a misura d’uomo. Dall’Europa all’Asia all’America sono sorti nuovi modelli urbani. Ma dal Dopoguerra a oggi l’architettura è sempre più legata a precise funzioni più che a visioni sociali alternative
Perseguire l’idea di perfezione nelle città è qualcosa che accompagna l’uomo da millenni. Questo slancio ha attraversato le diverse epoche seguendo schemi e filosofie diversi e rappresentativi del loro tempo, toccando forse il vertice nel Rinascimento. Se nel Quinto secolo avanti Cristo Ippodamo di Mileto, nel progettare la ricostruzione della sua città distrutta dai Persiani, riprese attraverso le geometrie schematiche le idee della scuola pitagorica attiva al suo tempo, nei secoli questa tensione è arrivata a guardare all’utopia, andando oltre generici fini politico-filosofici.
La vetta del concetto di “città ideali” arriva probabilmente con l’Umanesimo e la visione di un agire dell’uomo centrale tale da ideare e realizzare intorno a sé città con molteplici funzioni armonizzate in un contesto estetico, regalandoci nel Rinascimento esempi precisi che vanno da Pienza a Palmanova a molti altri talvolta lasciati più o meno volutamente solo su carta, nei secoli successivi il concetto di città ideali va via via adombrandosi. Restarono le finalità politico-urbanistiche, magari coniugate a necessità di urbanizzazione, a sperimentazioni architettoniche, a bonifiche, creazione di nuove centralità amministrative o semplicemente di propaganda, ma gradualmente si è andata perdendo la visione utopistica principalmente rinascimentale.
Contro il consumismo
Non è un caso che, dal secondo dopoguerra a oggi, togliendo la fondazione o l’adeguamento di nuovi centri amministrativi, le città ideali in senso stretto a venir costruite hanno avuto un ruolo marginale. Nel 1968 è nata in India la piccola Auroville, città ispirata alla filosofia di Sri Aurobindo, e due anni dopo nel deserto dell’Arizona iniziava la costruzione di Arcosanti, prototipo di città anti-consumista e in armonia con l’ambiente naturale divenuta il vero e proprio laboratorio del suo ideatore Paolo Soleri. Due città ideali, due principi paragonabili a quelli rinascimentali, ma due marginalità in un mondo, quello dell’antropocene, in cui lo spazio libero dal costruito è sempre meno e in cui l’architettura è sempre più legata a precise funzioni più che a visioni utopistiche.
Oggi, però, viviamo in un’epoca in cui, pur messe in secondo piano le grandi ideologie, prendono piede movimenti sociali talvolta carichi di idealismo che potrebbero trasformarsi in basi per la realizzazione di città ideali. Dai temi della sostenibilità ambientale, ai ritmi e gli spazi che possono essere pensati per una vita ecologicamente a misura d’uomo ai modelli alternativi alla società consumistica fino alla sperimentazione tecnologica, solo per citare qualche esempio, qualche modello potrebbe essere pensato e trovare spazio. Ma, a quanto pare, non sembra essere così semplice.
Sogni capitalisti
Negli Stati Uniti, nella California patria del pensiero liberal americano e terra che ospita i giganti delle Big Tech nella Silicon Valley, qualcuno ha provato a gettare il cuore oltre l’ostacolo e immaginare una città ideale del Ventunesimo secolo, ma ha dovuto affrontare non pochi problemi e il progetto, per ora, è soltanto tale. È così che la Flannery Associates ha iniziato ad acquisire terreni nella contea di Solano, a poche decine di chilometri da San Francisco, con l’ambizione di costruire “California Forever“, una città fondata sulla sostenibilità, di cui ancora poco è emerso proprio perché i terreni sono ancora in fase di acquisizione e gli ideatori del progetto vogliono evitare speculazioni legate all’operazione in corso. Ma pur a fronte delle basi visionarie su cui si fonda il tutto, si sono sollevate molte voci scettiche legate agli impatti che una simile realizzazione avrebbe su una contea già abitata da 430mila persone, dai trasporti ai servizi in un’area già densamente abitata.
In attesa di comprendere cosa preveda di preciso il progetto e se, come e quando verrà realizzato, per quanto i suoi ideatori abbiano chiaramente parlato di servizi anche per la middle class della contea (tra cui non mancano gli scettici), si prospetta come una città esclusiva, con case e costo della vita non alla portata di tutti. E questo in qualche modo apre un’altra questione che si aggiunge a quelle legate al consumo del suolo nell’era dell’antropocene in cui di suolo libero per quartieri, città e quant’altro ce ne è sempre meno.
Cattedrali nel deserto?
Si tratta appunto dei margini di rischio da parte dei costruttori, con tutti i timori che senza i dovuti servizi opere ambiziose si trasformino in cattedrali nel deserto o al fatto che gli alti costi che andrebbero a caratterizzare un’operazione utopistica rischierebbero da un lato di minarne la realizzazione insieme ai rischi di ritardi e di lungaggini che possono colpire opere faraoniche, dall’altro, invece, in caso di riuscita rischiano di divenire qualcosa da rendere operativo a caro prezzo e che rischia di trasformarsi nell’ennesimo parco divertimenti per ricchi in un mondo in cui le disuguaglianze sono sempre di più e il concetto di sogno rischia di rimanere appannaggio solo dei più abbienti.
Eppure, la storia delle città ideali così come i nuovi concetti di abitare è nata anche all’insegna dell’emancipazione di chi ha di meno, dalle città giardino (si guardi un quartiere popolare come la Garbatella a Roma, per quanto non possa essere messo nella categoria delle città ideali) e le company town come Crespi d’Adda, gioiello italiano elencato tra i patrimoni Unesco.
Oggi, quindi, di temi che potrebbero essere alla base di una “città ideale” ne esistono a bizzeffe, ma più difficile è trovare il modo di trasformarli almeno teoricamente in geometrie ed architetture come fece nel Quattrocento Leon Battista Alberti: questo però sta al lavoro degli architetti e dei pensatori di oggi. Più difficile è immaginare luoghi utopistici in maniera sostenibile alla luce delle questioni attuali che vanno dal consumo del suolo alla burocrazia, dai finanziamenti difficili per opere rischiose e visionarie fino alle difficoltà strutturali di inserirle in contesti già consolidati. Dunque, il concetto di “città ideale” sembra qualcosa di distante nel tempo e difficile da replicare oggi, il cui slancio ideale è spesso arginato dal pragmatismo o, peggio, dal pessimismo di un tempo in cui rischiare è difficile e, tante volte, si ha anche paura di sognare.