BASE Milano lancia We Will Design e Performing Architecture: “Così ci interroghiamo sui conflitti e le criticità che muovono la città”

A TPI parla Linda Di Pietro, direttrice artistica di BASE, per presentare i nuovi progetti che si svolgeranno durante la design week: "Se Milano vuole essere all'avanguardia, dovrà trovare un equilibrio tra sperimentazione e sostenibilità, accessibilità e innovazione, evitando il rischio di una città vetrina che non dialoga con le sue complessità sociali"
Durante l’imperdibile appuntamento della Design Week milanese, BASE Milano lancia due importanti produzioni, per promuovere il design emergente, l’architettura effimera e le azioni performative, e favorire così un dialogo costruttivo con il tessuto urbano locale, valorizzando anche alcuni quartieri periferici della città. Da non perdere in particolare due iniziative, la quinta edizione del laboratorio sperimentale We Will Design, dal 7 al 13 aprile, e la prima edizione del festival Performing Architecture, in programma dal 3 al 13 aprile. Ne abbiamo parlato con Linda Di Pietro, direttrice artistica di BASE.
“Milano è oggi un laboratorio a cielo aperto per l’incontro tra design emergente e architettura, ma questo dialogo non è privo di conflitti e criticità. Le trasformazioni dell’ultimo decennio hanno segnato una discontinuità enorme rispetto al passato, creando distanze con il resto del Paese e generando prese di posizione spesso ideologiche all’interno della stessa città di Milano. La nascita di nuove forme di governance, il fiume di risorse mobilitato da Expo 2015 e la proliferazione di grandi interventi di architettura iconica hanno prodotto un’immagine a volte troppo levigata e omogenea della città, nascondendo le contraddizioni, le ambiguità e i disallineamenti che invece ne definiscono il tessuto urbano.
Esistono alcune tensioni su cui Milano si muove in questi anni e su cui anche noi ci interroghiamo col nostro programma. La prima è quella tra nuove pratiche di uso temporaneo dello spazio e la nascita di spazi culturali a difesa dalla speculazione immobiliare. A Milano più che in altri luoghi prolifera l’inserimento di progetti sperimentali temporanei nello spazio pubblico. Questo ha portato negli anni alla crescita di collettivi emergenti che si occupano di pratiche spaziali, quell’insieme di pratiche sociali, culturali ed economiche che modellano, occupano e trasformano lo spazio urbano. Queste pratiche non si limitano all’architettura formale o alla pianificazione urbana, ma includono anche usi informali, temporanei e sperimentali degli spazi, spesso in risposta a necessità sociali o dinamiche economiche, vicini a pratiche artistiche relazionali.
In questo contesto, è emersa una domanda diffusa e urgente di spazi accessibili per la produzione culturale e Milano negli ultimi dieci anni si è trovata di fronte a un’opportunità concreta di “salvare spazio dismesso” dalla speculazione edilizia, lasciandolo trasformare in palcoscenici, laboratori, spazi espositivi, atelier e co-working gestiti da organizzazioni del terzo settore, fondazioni ed enti. Tuttavia, le dinamiche di mercato, la spinta immobiliare e i costi elevati di affitto rischiano di rallentare questo processo di trasformazione.
Un ruolo fondamentale in questa resistenza alla gentrificazione lo giocano le reti di spazi ibridi, che si configurano come luoghi di sperimentazione culturale e sociale. Questi spazi com BASE, TERZO PAESAGGIO, DOPO?, BARRIO’S e molti altri, non solo offrono un’alternativa alla privatizzazione e mercificazione del territorio urbano, ma attivano vere e proprie pratiche di “hackeraggio” dello spazio, reinterpretandolo e restituendolo alla collettività. Con interventi di “agopuntura urbana”, questi luoghi lavorano su micro-rigenerazioni che, sommate, contribuiscono a formare cittadini più resistenti alle dinamiche di estrattivismo immobiliare e a costruire una città più inclusiva e accessibile.
La Seconda è quella tra mercato e trasformazione sociale. Milano ha fatto del design e dell’architettura un asset economico e identitario. Questo, però, porta con sé il rischio che il design emergente venga inglobato in una logica di vetrinizzazione, dove la sperimentazione è tollerata solo se diventa un’operazione di marketing per brand, eventi o investitori immobiliari. Il rischio è che il design perda il suo potenziale critico e trasformativo, diventando un accessorio estetico che “abbellisce” la città senza incidere realmente sulle sue dinamiche urbane.
In parallelo, il mondo dei nuovi centri culturali è in fermento. Questi luoghi ibridi e difficili da definire sono stati fondamentali per la vita culturale milanese recente, ma ora chiedono nuove forme di supporto e riconoscimento. Al contempo, c’è tensione sul futuro di molti centri sociali storici, che costituiscono un’ossatura culturale importante ma la cui sopravvivenza è sempre più incerta. Trovare soluzioni di sistema innovative per entrambe queste realtà sarà cruciale per il futuro della città.
La terza è la vecchia tensione tra forma e contenuto, tra chi disegna e chi abita la città. Se il design emergente lavora con processi agili e iterativi, l’architettura ha tempistiche e dinamiche molto più lente. Questo porta a una difficoltà di collaborazione effettiva tra i due mondi: il design rischia di rimanere relegato a eventi temporanei e installazioni effimere, mentre l’architettura fatica a incorporare realmente la freschezza e l’agilità del design emergente nei suoi processi di pianificazione.
Ma questa tensione tra forma e contenuto va oltre, riguarda anche il confronto tra chi disegna la città e chi la abita, alcuni in condizioni di precarietà estrema. Quali spazi si stanno progettando per chi è escluso dalle dinamiche del mercato immobiliare? Le trasformazioni urbane stanno realmente rispondendo ai bisogni di chi vive la città nei suoi margini, o stanno rafforzando un’estetizzazione che lascia fuori le questioni sociali più urgenti?
Siamo nel mezzo di una riformulazione su scala globale degli usi dello spazio nelle metropoli. Se Milano vuole essere all’avanguardia, dovrà trovare un equilibrio tra sperimentazione e sostenibilità, accessibilità e innovazione, evitando il rischio di una città vetrina che non dialoga con le sue complessità sociali.
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La domanda centrale è: chi sta realmente beneficiando della trasformazione urbana e dell’incontro tra design emergente e architettura? I progetti di rigenerazione sono spesso percepiti come strumenti per aumentare il valore immobiliare di certe zone, piuttosto che come opportunità per una città più inclusiva.
Il nostro lavoro è quello di creare antidoto al sistema, cambiando formati, allargando lo spazio alle relazioni tra umano, non umano e più che umano, a tutto quello che altri chiamerebbero “anticittà”, quello che è sottorappresentato e isolato prende voce nei nostri spazi attraverso il design e l’arte”.

“We Will Design e Performing Architecture rappresentano due modi diversi ma complementari di affrontare il tema del design emergente e del rapporto tra creatività, comunità e trasformazione urbana. We Will Design si configura come una piattaforma stabile e continuativa, che mette al centro l’idea di laboratorio urbano, la formazione continua, le residenze e la sperimentazione dello spazio di BASE come fucina creativa. Il suo punto di forza sta proprio nella capacità di costruire un ecosistema in cui i designer emergenti possano sviluppare i loro progetti nel tempo, trovando un luogo di riferimento in cui crescere e affinare la propria ricerca.
Performing Architecture, invece, adotta la forma di un festival e lavora sulla dimensione dell’intervento effimero, sull’azione temporanea e sulla relazione diretta con le comunità al di fuori di BASE. Se We Will Design costruisce nel tempo, Performing Architecture si muove per scosse improvvise, attivando spazi e contesti specifici con azioni rapide e site-specific. Entrambi i progetti condividono un approccio che mette al centro il design emergente e le spatial practices, ponendo particolare attenzione alla dimensione performativa e di uso dello spazio, al legame tra creatività e trasformazione sociale e al ruolo delle comunità nel ridisegnare le città.
L’interazione tra queste due prospettive permette di evitare che il design si riduca a una mera operazione estetica o a una vetrina per il mercato, restituendogli invece una funzione più ampia, come strumento di speculazione e allo stesso tempo di trasformazione dello spazio urbano. Da un lato, la continuità e la solidità di We Will Design creano le condizioni per un’innovazione duratura; dall’altro, la dimensione performativa e temporanea di Performing Architecture permette di sperimentare nuove modalità di interazione con il territorio e con chi lo abita. Insieme, offrono una visione articolata e dinamica su come il design possa incidere realmente sulla città e sulla vita delle persone”.

Partecipano gli artisti/designer Anaz Chao Homes Away From Home – esplora il senso di appartenenza attraverso i ristoranti e gli spazi alimentari, trasformando il consumo in un atto di memoria e identità. Attraverso le storie di ristoranti che evocano la sensazione di casa, l’artista condivide il suo viaggio attraverso identità mutevoli, comunità temporanee e nuovi legami creati intorno a un pasto
Domaine de Boisbuchet e Studio Aléa, Process and Fungi: The Garden Lab – un’installazione in continua evoluzione in cui uomini e funghi coesistono e co-creano. In parte giardino, in parte laboratorio, invita i visitatori a esplorare un dialogo interspecie e a confrontarsi con i materiali in modo giocoso.
Federico Rizzo & Salicornia Studio, Multispecies Dinner – Un banchetto immaginario per tessere nuove alleanze culinarie tra umani e non umani, un rituale gastronomico che intreccia saperi e sapori in un’ecologia multispecifica.
Kairos Futura, The Ministry of Biosymphony un’installazione immersiva e partecipativa che trasforma BASE Milano in un avamposto di un’agenzia governativa multinazionale alternativa.
Mitre and Mondays, Stone as a Living Archive -un’installazione interattiva che studia la pratica di Spolia, in cui la pietra viene prelevata da una vecchia struttura e riutilizzata per una nuova costruzione. Questa pratica, rilevante dal punto di vista contestuale, traccia un parallelo tra l’industria e l’architettura britannica e quella del Nord Italia.
Gli strumenti scultorei nati dalla collaborazione tra l* architett* di Studiolatte e i musicisti di Babau dialogano con l’architettura industriale di Barona, i suoni che producono si mischiano al ritmo della quotidianità del quartiere e alle sonorità delle comunità che lo abitano. Quello che ne risulta è un progetto di improvvisazione sonora che ricalca l’idea di città come “palcoscenico del quotidiano”. Il titolo “VANDALI” si rifà metaforicamente all’idea di vandalismo negli spazi pubblici, dove gesti come l’attacchinaggio e il graffitismo diventano strumenti capaci di scardinare i silenzi di luoghi abbandonati e sottoutilizzati.
A Chiaravalle: un container per la panificazione e uno che esplora le alchimie della cucina fermentata. E un tavolo da pic-nic, che è stato costruito e trasportato da otto invitat*, pensato per ospitare Festini partecipati e cene comunitarie. Macchine da Festa è il progetto del duo di architetti Lemonot e dell’artista Luca Boffi pensato insieme a chi ogni giorno abita il Padiglione Chiaravalle (Terzo Paesaggio).
Le “macchine da festa” agiscono come spazi di incontro ma pure di scambio e connessione, in cui tempo libero e tempo di apprendimento si fondono. La cucina qui diventa linguaggio universale, la convivialità una forma di resistenza gentile. L’oggetto espositivo diviene incontro, opportunità di confronto tra le molteplici realtà che abitano e attraversano il quartiere di Chiaravalle.
A BASE: nella Ground Hall di BASE Milano si sviluppa una dimensione di sospensione, di ricerca di benessere: Another Week, l’installazione di Matilde Cassani Studio. Tappeti lunghissimi srotolati, quasi in attesa di qualche rituale. Sei strisce di materassini infiniti di color azzurro brillante ricreano le corsie di una piscina, ambiente dove in tant* abbiamo trascorso tempo. Un luogo che cambia sembianze grazie ai movimenti dei corpi che lo attraversano, uno spazio morbido, che rallenta, in una città che accelera di continuo.
Un luogo che si accende il 6 aprile con With all my strength, la performance site-specific dell’artista Martina Rota: tre bodybuilders — Massimo Palmieri, Massimiliano Palmese, Arold Triberti — mettono in scena una coreografia di forza, ossessione e vulnerabilità, ridefinendo i confini della mascolinità”.
Di seguito in dettaglio tutte le informazioni sulle due nuove produzioni di BASE Milano.
We Will Design
Si tratta di una grande piattaforma dedicata ai nuovi talenti del design, tra installazioni speculative e pratiche collaborative. Dal 7 al 13 aprile 2025 progetti di designer, performer, scuole, università e istituzioni internazionali offriranno una visione innovativa sul tema Making Kin: un concetto ispirato al pensiero di Donna Haraway che esplora nuove forme di parentela oltre i confini specisti e antropocentrici.
We Will Design 2025 vuole, infatti, superare la concezione tradizionale dei legami familiari per esplorare nuove forme di connessione e cura tra esseri umani, non umani e più che umani. Un invito a costruire alleanze basate su scelte consapevoli, affinità, interessi e sensibilità comuni, trasformando la parentela in un atto di resistenza creativa.
Con We Will Design – Making Kin BASE si riconferma un hub unico di sperimentazione e ricerca, che porta al Fuorisalone il meglio dell’innovazione nel campo dell’architettura e del design, grazie alla collaborazione con università e accademie nazionali e internazionali. Sono 9 gli atenei con cui BASE ha collaborato per questa edizione.
HEAD – Genève, Geneva University of Art and Design, presenta DO YOU SPEAK FLOWER?, una mostra che presenta vasi illuminati progettati da studenti-designer. A prima vista, ogni vaso sembra incorniciare una suggestiva fotografia floreale, ma all’interno di queste composizioni apparentemente delicate si nascondono messaggi politici, femministi e queer; EINA, porta a BASE una mostra curata da Manuel Cirauqui, Ecosystem Sampler, che intreccia design speculativo attraverso collaborazioni inaspettate con materiali non convenzionali; Domus Academy, ospita UNFOLD, un lavoro che riunisce studenti di 12 università internazionali per riflettere sul ruolo del design attraverso il tema Reaffirm Design.
E ancora, il progetto del Royal College of Arts, mette in evidenza i legami tra diverse discipline universitarie, intercettando genealogie e traiettorie su più livelli, dalla dimensione individuale del corpo a quella più collettiva del pianeta. Oppure il percorso intrapreso dagli studenti del RUFA, che pone l’accento sulla durata dei prodotti di design che, se da un lato sono il risultato dell’utilizzo di materiali sempre più sostenibili, dall’altro sottolineano la necessità di ridurre al minimo le lavorazioni.
Si prosegue con il Tecnológico de Monterrey che promuove invece un progetto accademico sul design locale, coinvolgendo studenti di quattro campus messicani e sfidandoli a superare i paradigmi occidentali per sviluppare soluzioni autentiche e culturalmente radicate; Technical University of Zvolen, fonde biomimetica e innovazione per creare ambienti di lavoro più sani e rigenerativi, ispirandosi alla struttura degli alberi e sviluppando un nuovo equilibrio tra uomo, tecnologia e ambiente; Xi’an Jiaotong – Liverpool University sfida le visioni eurocentriche e celebra la località come un processo dinamico e in continua evoluzione, tra VR, narrazione interattiva e tecnologia indossabile, promuovendo il concetto di kinship oltre i confini culturali ed ecologici; infine, la Western University of Timișoara, che presenta un’esplorazione sulle connessioni interdisciplinari tra arti decorative, design della moda, grafica, product design, game art e ceramica.
Accanto alle istituzioni, BASE apre le porte della sua area EXHIBIT a oltre 38 tra artisti e designer, con progetti che reinterpretano il concetto di parentela attraverso materiali, tecnologia e performance. Dagli indumenti di Ahmet Selcuk Dis, ispirati ai comportamenti degli animali anfibi, che cambiano forma e colore per mimetizzarsi e sfuggire alla sorveglianza nelle città, al lavoro di Anna Favaretto che, attraverso un film verticale e un’installazione, esplora l’assenza delle balene nel Mediterraneo come forma di resistenza, invitando a guardare oltre la visibilità e riconoscendo il diritto di esistere senza essere visti, fino ai cicli generativi (come le parentele) del calcare secondo Alessio Pinton; il joystick di Ana Souto Neves – uno strumento di design che si propone di aiutare a gestire l’ansia – e il confessionale di Cristobal Olmedo, che invita ad ascoltare Madre Natura per riportare alla memoria le nostre connessioni ancestrali. E ancora i gioielli di Carolina Pérez-Moreno che, al posto di nascondere, valorizzano ed esaltano ferite e imperfezioni del nostro corpo; la seduta di Jade Fritsch composta di argilla, fibre e calce in grado di creare microclimi, e il lavoro di Giovanni Amerio che esplora come l’architettura e l’urbanistica moderne abbiano assorbito i valori neoliberali, spesso a scapito della cultura e delle comunità locali, creando mattoni “glitchati” che simboleggiano la diversità e la complessità della sfera pubblica. E poi, l’orto di Suzanne Craviari, in cui erbe medicinali su terreni contaminati creano nuove connessioni e l’opera di Delia Rößer, realizzata in collaborazione con il Goethe Institut, che mette in evidenza il legame tra la produzione tessile e lo sviluppo della tecnologia informatica, sottolineando attraverso una contro-mappatura femminista il ruolo spesso nascosto del lavoro manuale delle donne.
Le stanze di casaBASE accoglieranno inoltre il progetto Temporary Home, con cinque residenze dedicate ai designer internazionali Dom
Dopo la partecipazione a We Will Design 2024, Anas Chao torna con Homes Away From Home, un’indagine sulla relazione tra memoria, cibo e appartenenza. Attraverso il racconto di ristoranti che evocano un senso di domesticità, l’artista esplora le connessioni tra comunità e identità in transizione e nuovi legami costruiti attorno al cibo. Federico Rizzo & Salicornia Studio presenta, invece, in partnership con Felicia (Andriani S.p.A.), Multispecies Dinner, un rituale gastronomico che intreccia saperi e sapori multispecie e che esplora nuove alleanze culinarie tra umani e non-umani, combinando ricette tradizionali del Mediterraneo con la prospettiva animale. Processo e Funghi – The Garden Lab è l’installazione sperimentale del rinomato Studio di design parigino Aléa Work, e Domaine de Boisbuchet, realizzata con il supporto dell’Institut français, che esplora la coesistenza e la co-creazione tra esseri umani e funghi. Metà giardino e metà laboratorio, il progetto invita i visitatori a prendere parte a un’esperienza immersiva di dialogo interspecie, dove miceli e umani si incontrano, si trasformano e si influenzano in un ciclo continuo di crescita e decadimento.
Selezionati e premiati, invece, tramite la call realizzata in collaborazione con il British Council, altri due progetti: Kairos Futura con The Ministry of Biosymphon, che invita il pubblico a riflettere su forme alternative di cittadinanza ispirate al non-umano. Un’esperienza che permette ai visitatori di identificarsi con un’entità non-umana e assumerne la cittadinanza, partecipando ad assemblee in diversi punti della città. Il secondo progetto è Archivio Vivente della Pietra di Mitre & Mondays, un lavoro che sfida la concezione tradizionale della pietra come entità inanimata, proponendola come un archivio vivente, testimone di esistenze passate e superficie portatrice di tracce di vita microscopiche.

Performing Architecture
Performing Architecture è il festival diffuso nato dalla collaborazione tra BASE e DOPO? che metterà in dialogo cinque quartieri della periferia Sud di Milano – Corvetto, Chiaravalle, Stadera, Barona e Tortona – creando un percorso simbolico tra centri culturali.
In programma dal 3 al 13 aprile 2025, il festival si presenta come un vero e proprio laboratorio di sperimentazione, che propone nuovi esercizi di pensiero collettivo e favorisce il dialogo e la partecipazione attiva delle comunità locali. Vincitore del Festival Architettura, programma promosso dal Ministero della Cultura per valorizzare e diffondere l’architettura contemporanea italiana, Performing Architecture ripensa il ruolo degli spazi urbani ed esplora le diverse forme della relazione tra corpo e spazio creando un legame inedito tra generazioni di architetti e performer e un ponte immaginario tra le week milanesi, superando i confini prestabiliti tra arte e design.
Il festival inaugura giovedì 3 aprile, in piena Art Week milanese, con la performance di Annamaria Ajmone che attiva l’installazione Arena Stadera di Fantastudio e Sara Ricciardi Studio presso il Giardino Gianfranco Bianchi a Stadera. Realizzata con tubi innocenti e tessuti, materiali semplici e versatili, l’installazione si presenta come una struttura leggera, aperta e accogliente, ideata per diventare un punto di riferimento per la comunità. In questo contesto, la performance di Ajmone, pensata in dialogo con lo spazio, vuole coinvolgere il pubblico in una danza che esplora la relazione tra corpo, paesaggio e architettura attraverso gesti di riappropriazione dello spazio pubblico, tra partecipazione e appartenenza.
Venerdì 4 aprile è la volta del Concertino in giardino a cura di Scomodo ospitato da Little Fun Palace – una roulotte itinerante ideata da OHT [Office for a Human Theatre] – che sosterà negli spazi di DOPO? a Corvetto.
Questo dispositivo mobile attraversa nei giorni successivi i diversi distretti del Festival, attivando spazi pubblici con momenti di socialità e azioni partecipative. Sabato 5 aprile Little Fun Palace si sposta per Un giretto nel quartiere, tra le strade di Corvetto e Chiaravalle, invitando i cittadini a un percorso collettivo di riscoperta dello spazio urbano.
Sempre sabato 5 aprile comincia anche il workshop fotografico Luci su Milano Sud, a cura di Scenario, tra Barona e Corvetto, un percorso con itinerari diffusi nei quartieri alla ricerca di nuovi luoghi che si conclude con un talk. Nella stessa giornata, a Barona viene attivata l’installazione VANDALI – progettata da Studiolatte – con una performance sonora live di Babau nell’iconica piazza di Barrio’s, uno dei cinque presidi culturali di Performing Architecture: un dialogo con l’architettura industriale di Barona, i suoni del quartiere e le voci delle sue comunità. Il progetto si ispira, nel nome e nello spirito, al gesto del “vandalismo creativo”: come graffiti e manifesti popolano e trasformano lo spazio urbano, così il suono diventa uno strumento di riappropriazione e riscrittura della città, capace di rompere il silenzio e animare luoghi dimenticati.
La prima settimana si conclude domenica 6 aprile con l’opening della piattaforma Macchine da Festa, progettata per Terzo Paesaggio da Luca Boffi e dal duo Lemonot nel distretto di Chiaravalle. Un lavoro che propone una serie di dispositivi mobili dedicati alla convivialità, alla panificazione e alle pratiche di cucina fermentata, intesi come strumenti per favorire momenti di incontro e condivisione.
La giornata prosegue nella Grand Hall di BASE nel quartiere Tortona, con With All My Strength di Martina Rota, una performance che coinvolge body builder professionisti in un’esplorazione performativa sul tema dell’immagine e del corpo. L’azione è pensata per “accendere” Another Week, l’installazione di Matilde Cassani Studio costruita per proporre una nuova modalità di attraversamento del Fuorisalone, una diversa prospettiva spaziale sulla Design Week, costruendo un ambiente dove stimoli ed eventi si riducono, fino a che a rimanere nello spazio non sono che i corpi e le loro relazioni. Il progetto di Matilde Cassani Studio rimarrà poi visitabile per tutte le giornate del festival. Chiuderà la giornata la battle di freestyle Ya Know The Name a cura di Babau al Barrio’s e un Secret Concert con Little Fun Palace.
Performing Architecture riprende le attività anche la settimana successiva, durante la Design Week. Martedì 8 aprile Little Fun Palace fa visita a The Glitch Camp – powered by IED, andando a creare uno spazio di condivisione per le comunità del design e non solo, per riflettere sul concetto di tempo attraverso un’intensa programmazione di attività.
Il 9 aprile, a Corvetto, il presidio DOPO? propone un talk sul progetto di ricerca ALTROVE, con l’obiettivo di esplorare nuovi modelli di vita per abitare al di fuori dei contesti urbani, ponendo particolare attenzione alle aree rurali lombarde. Alla sera, a partire dalle ore 21, è la volta invece di Instabilità Atmosferica, la performance di Caterina Gobbi curata da Campo Base, che attiva l’installazione Fuga dalla città? del collettivo di architetti Sbagliato. Accanto all’installazione immersiva, pensata come rifugio temporaneo dalla frenesia della città, la performance vuole creare un paesaggio sonoro dominato dal vento, inteso come linguaggio universale, anche simbolico, tra specie ed ecosistemi, offrendo una pausa inedita e sensoriale dal caos della città. Little Fun Palace approda infine giovedì 10 aprile al Giardino Gianfranco Bianchi trasformandosi nella scenografia di Azzeccala, Azzeccala, il gioco-spettacolo che mescola musichiere, sarabanda e incursioni dalla settimana enigmistica. Una festa a cura di Quasi Quasi, pensata per divertirsi e stare insieme.