Quando Pennacchi mi disse: “Io non sono di destra, sono i fascisti che stavano a sinistra”
Antonio Pennacchi non era un tipo tanto normale. Intervistarlo per Sette mi pose degli enormi problemi di deontologia. Era uno scrittore operaio. Era marzo del 2002. Allo Stenditoio, in mezzo al fior fiore dell’intellettualità di sinistra, riuscì a dare una scossa al sonnacchioso dibattito. Cominciò presentandosi come “leninista-marxista-stalinista”. Proseguì dicendo: “I giudici so’ ‘na massa de fiji de ‘na mignotta”.
Alle rimostranze di Gianni Vattimo, rispose: “Ah Vattimo, vedi d’annattela a pijà ‘n der culo”. Poi difese D’Alema “perché è er mejo che ci avemo”. E concluse: “Tanto lo so che fate come cazzo ve pare”. Immaginate il parapiglia. E immaginate il mio disagio di fronte all’idea di dover riportare le sue parole su un giornale, allegato al Corriere della Sera, dove “cazzo” veniva scritto “c..zo” e “culo” veniva scritto “c..lo”.
Fratello di Gianni (ex Servire il popolo, giornalista prima de La Stampa e poi de Il Giornale), fratello di Laura (ex sottosegretario al Tesoro con Prodi, diessina così dura da essere considerata la Thatcher Ds), Antonio usava un italiano a dir poco colorito. Che fare? Come potevo tradurre il suo linguaggio senza tradire il mio mestiere ma anche in maniera da eliminare rischi di querele e non disturbare i lettori sensibili?
Innanzitutto lo tradussi quasi tutto in italiano. Poi cassai il 99 per cento delle parolacce sostituendole con Bip, capirete perché. Infine pregai i lettori di sopportare quell’uno per cento che era rimasto. Titolammo, se ricordo bene “Vaffanbip”. E cominciai l’intervista con una sua frase gradevolissima. Mi disse: “Lei lo sa vero che io non sono molto entusiasta che lei sia qui a rompermi i Bip”.
Ero nella sua casetta al centro di quelle che erano state una volta le paludi pontine, in una zona piena ancora di ricordi del ventennio (alla fine dell’intervista mi invitò a pranzo in una osteria piena di busti e di ritratti del Duce). Dissi: Me ne vado? “No. Queste cose servono. Uno scrive libri e non se lo fila nessuno. Poi un giorno manda affanculo Vattimo e te vengono a cercà tutti”.
Pennacchi, si tranquillizzi, mi sembra un po’ agitato.
“Sabelli, che pretende?! Ognuno fa il mestiere suo! Lei fa l’intervistatore e io faccio l’intervistato. Avrò il diritto d’esse un po’ agitato, no?”.
Basta che cominciamo.
“Cominciamo”.
Perché ha lasciato l’editore Donzelli per Mondadori?
“Perché Mondadori mi paga e Donzelli no. Mi sarei aspettato un’altra domanda”.
Pennacchi, ognuno fa il mestiere suo. Io l’intervistatore e lei l’intervistato.
“Mi sarei aspettato che mi chiedesse come mai Berlusconi e non Feltrinelli”.
Bella idea. Come mai Berlusconi?
“Gli altri non m’hanno voluto. Feltrinelli manco mi risponde al telefono. La sinistra non me vò? E Bip! E adesso lei se presenta qua e me chiede perché ho mandato affanBip Vattimo. E uno non se deve Bip?”.
Oggi, sul più permissivo TPI, posso tradurre. “La sinistra non me vò? E chissenefrega! Perché ho mandato affanculo Vattimo? E uno non se deve incazzà?”.
Pennacchi, che non era ancora la star letteraria che sarebbe diventato, mi spiegò anche perché si comportava in quella maniera provocatoria e anche un po’ arrogante. “Quando vado a un convegno, non riesco a star zitto. A un certo punto devo per forza alzarmi e dire il contrario di quello che è stato detto fino a quel momento. Mia madre diceva che parlo a vanvera. Mia moglie che sono un incontinente verbale. Ma allo Stenditoio io ero andato per parlare. Ho 28 anni di lavoro in fabbrica, ho fatto lotte politiche e sindacali. M’hanno espulso dal Msi, dalla Cgil, dal Pci. Sono stato in Servire il popolo con Brandirali, nel Psi, nella Uil. Mi sono iscritto all’università a 40 anni, mentre ero in cassa integrazione. Avrei voluto fare l’esame di letteratura italiana con Asor Rosa. Pensavo: ‘Scrive sull’Unità, bravo compagno’. Poi ho sentito la prima lezione ho detto: ‘Ma vaffanculo!'”.
Io scrissi: VaffanBip. “Asor Rosa aveva l’atteggiamento di quello che sa tutto lui e l’altri non sanno un Bip. Gli assistenti gli annavano dietro co’ le borse e co’ la lingua de fora”.
Torniamo allo Stenditoio. “Facevano parla’ solo quelli famosi. Sono andato incazzato da Fassino e j’ho detto: ‘Ahò, io so’ l’unico scrittore operaio qua dentro. Se non parlo io, chi Bip deve parlà'”. Parlò. “Dissi che se stavano a raccontà le fregnacce. Che Berlusconi aveva vinto perché aveva un’idea di Paese, mentre noi no. Quello aveva detto alla gente: ‘Faccio due autostrade e il ponte de Messina’. Noi dovevamo rispondergli: ‘E noi facciamo pure er ponte de Cagliari’. Davanti a me Vattimo ha cominciato a strillà. E io: ‘Ah Vattimo, e statte zitto’. Quello continuava e allora j’ho detto d’annà affanBip. Anche lui mi ha mandato affanBip e io non ci ho visto più”.
Era un vaffanculo generale. “C’era Miriam Mafai che pareva ‘na matta e urlava a Vattimo: ‘Statte zitto! C’ha ragione lui!’. E poi faceva a me: ‘Vai! Vai!'”. Ma Vattimo era un filosofo stimato. “Ho studiato Heidegger sulla sua introduzione. Il filosofo non si discute. Ma ha fatto l’errore di mettersi sul terreno mio, la rissa. A Bip sono più forte. J’avrei pure menato”.
A Bip sono più forte. Sinceramente, è passato troppo tempo. Non mi ricordo a che cosa corrispondesse quel Bip. Morale della favola? “Alla fine ho detto: ‘Io sono un marxista-leninista-stalinista. Sono per la dittatura del proletariato. Ma voi no: siete per la democrazia. E la democrazia dice che se Berlusconi ha pigliato i voti, voi non dovete rompere le palle. Se Berlusconi domani fa una legge che dice che tutti i suoi reati non sono più reati, quella è la legge. O no? È così o non è così? Che fa? A Vattimo? Non me risponne?'”.
Rimase soddisfatto?
“Mica tanto. All’uscita l’ho incontrato. Volevo chiedergli scusa. Ma non m’ha dato il tempo de parlà. È stato scherzoso e spiritoso. È uno che mi piacerebbe incontrare al bar. Che diventasse amico mio. Non come Asor Rosa. Sa che cosa è Asor Rosa?”.
Temo il peggio, non lo dica.
“Bip, Bip”.
Lo immaginavo.
“Bip, Bip. Come Giovanni Berlinguer. Criminali!!!”.
E poi?
“Poi ho incontrato Miriam Mafai che rideva. E mi ha detto: ‘Tu sei matto'”.
Altre reazioni?
“Minniti: ‘Bravo, hai detto quello che noi tutti pensiamo’. E che ‘tte possino. Dillo anche tu allora!'”.
È stato difficile diventare scrittore?
“Per pubblicare il primo libro ci ho messo otto anni. L’ho mandato a 33 editori, ho avuto 56 rifiuti”.
Non tornano i conti.
“A qualcuno gliel’ho mandato tre volte”.
Quante risposte?
“Una quarantina: ‘Ci piace moltissimo ma non rientra nella linea editoriale'”.
E adesso la Mondadori invece?
“Mi ha dato 25 milioni lordi di anticipo”.
Quanto ha guadagnato con i libri fino adesso?
“’Na miseria! Donzelli dice che Mammut ha venduto mille copie, Palude duemila e Una nuvola rossa 800 copie. Da lui avrò preso 17 milioni lordi”.
Perché ha lasciato la fabbrica?
“Nel giro di un anno ho avuto due ernie al disco, un infarto e una resezione gastrica. Mi sono stufato. E anche loro si sono stufati di me. Mi hanno detto: ‘Te ne vai e te damo 200 milioni’. In questi tre anni ho vissuto con la liquidazione. Ho un anno ancora di autonomia. Ma sono disoccupato secco”.
Scrive su Limes, la rivista di Lucio Caracciolo.
“Limes esce una volta ogni quattro mesi”.
Le origini: papà trattorista, impegnato nella bonifica delle paludi pontine, mamma che fa la fame in Veneto.
“E poi fa sette figli”.
Tra i quali il famoso Gianni e la famosa Laura. Gianni, anche lui a Servire il popolo. Oggi a Il Giornale di Berlusconi. Lei ci andrebbe a lavorare al Giornale?
“Ho chiamato Maurizio Belpietro sei volte. Niente. Io collaborerei volentieri col Giornale. Se fosse chiaro che dico quel Bip che mi pare. Sono disposto a vendere il culo ma non la lingua. Io me so fatto espelle dalla Cgil. A Sergio Cofferati je vojo bene ma un giorno je stavo pe’ menà”.
Dibattito sindacale?
“Cose nostre. Io sono stalinista. L’unica morale della politica è la politica! Al funzionario sindacale che ce rompeva i Bip noi je menavamo”.
Quanti ne ha menati?
“Eh che stamo a ffà i numeri?”.
Insomma l’hanno cacciata dalla Cgil perché menava?
“Ne dicevano tante: che ero d’accordo col padrone, che ero filobrigatista”.
Lei ha detto una volta: “Io sto sempre dalla parte degli oppressi, ma alla rivoluzione non ci credo più”.
“Quello che dico oggi non è lo stesso che dirò domani. Ma ho detto veramente quella frase?”.
Pennacchi, lei è leninista, marxista e stalinista?
“Sì”.
In che cosa?
“Nell’analisi. Il socialismo reale è fallito ma anche il capitalismo puro. Ne è uscito fuori un sistema sincretico fra i due”.
Tornammo a parlare della sua vita, stendendo un velo pietoso sia sull’ideologia politica che sulla pratica sindacale. Parlammo dei suoi fratelli “potenti”. “A me non m’ha aiutato un Bip di nessuno. Tantomeno i miei fratelli. Mio fratello m’ha allungato soldi ma mai una parola con qualche giornale. Anzi, io j’ho raccontato le mie storie e lui me le ha fregate. Lassamo perde”.
Che cosa ricorda da ragazzino?
“Ah Sabbé, se fa tardi”.
Abbiamo tempo.
“Mia zia che muore, le allucinazioni quando avevo la pleurite a tre anni”.
Poi?
“Sono stato in seminario due anni”.
Ci mancava il seminario.
“Quando sono tornato dal seminario il problema era lo spazio. Mio fratello Gianni mi disse: ‘M’hai fregato il cassetto’. Con lui erano scazzottate continue. Ci menavamo ai giardini. La gente ci vedeva passare e urlava: ‘Ahò, ce so’ i Pennacchi che vanno a menasse'”.
Gianni di sinistra, lei di destra.
“Tutti i miei fratelli erano di sinistra. Io ero il ribelle. Mi chiamavano Antoniaccio”.
E adesso? Chi le piace e chi non le piace a sinistra?
“Bertinotti, il capo del proletariato, è uno con la erre moscia? Ma vaffanBip! O no?”.
No.
“Invece sì! Bip! Sta sempre in televisione. Lo invitano perché ci fa perdere voti. Come Agnoletto e Casarini. Ogni volta perdiamo 50mila voti. Ma che stiamo a scherzà?”.
Mi sembra di capire che i no-global non le piacciono.
“Sono fuori dal mondo”.
Ma sono tanti.
“E che mi frega? Sono tanti pure i buddisti come mio fratello”.
E l’ottima Laura Pennacchi?
“È provocatoria la domanda?”.
No.
“Laura sta col Correntone… è un’anti-dalemiana…”.
A lei D’Alema piace invece.
“Avemo de mejo? Sabelli, me lo dica. C’è de mejo?”.
Ma a considerarlo uno statista?
“Statista è una parola grossa. Lei mi dica il nome di uno statista?”.
De Gasperi?
“Ma non dica ‘ste Bippate! Gli unici due statisti di questo secolo sono Mussolini e Togliatti! Statista De Gasperi! Sabelli, deve pensare quando dice ste Bippate! Abbia pazienza!”.
Lei ha chiara la differenza fra destra e sinistra?
“Destra è per l’uomo, sinistra per la collettività”.
Quindi?
“Quindi è ora di finirla di dire che Storace è di destra. Di destra sono Berlusconi e Bossi”.
E Storace è di centro?
“Storace è di sinistra”.
Lei è un adulatore?
“Ma io a chi devo adulà? Ah Sabbé. Lei non ha idea di quante volte mi sono detto: ‘Bono, bono’. Ma poi me scappano i Bip!”.
Che cosa è l’adulazione?
“Ha mai visto Giampiero Mughini? Un Bip totale!”. (Che cosa avrà voluto dire? Non lo ricordo: stronzo? cretino? paraculo?).
Pennacchi, lei non conosce le mezze misure?
“È il più grande adulatore presente sulla scena televisiva in questo momento”.
Sembrerebbe il contrario.
“Incita la massa ad andare dove sta già andando. Come Maurizio Mosca, come Aldo Biscardi. Stessa cosa per Bruno Vespa”.
Sergio Romano sostiene che Vespa non è un adulatore. Perché incalza l’intervistato.
“Mozzicare Mario Pirani è facile. Ricorda Vespa che smozzicava Berlusconi? Ma che ce stiamo a pijà per Bip davero?”.
Che ha fatto nel ’68?
“Servizio d’ordine: casco e bastone”.
Il massimo dell’illegalità?
“Qualche bomba-carta, ma quando ero fascio…”.
Cosa è stato il ’68?
“Una guerra civile! Io non ho commesso reati di sangue. Ma ero disponibile. Mica io solo. Tutti quegli stronzi che adesso dicono ‘Io venivo solo alle manifestazioni, ero contrario alla violenza’ dicono il falso! Quando passavamo noi della Volante Rossa, tutti ‘sti compagni battevano le mani!”.
Lei simpatizzava per le Br?
“Ero contro lo Stato borghese che faceva 10 morti al giorno in infortuni sul lavoro. Ho simpatizzato fino a che non hanno ammazzato Moro. Finché l’hanno rapito mi stava bene. Ucciderlo è stato da giustizieri della notte. Ma io sono cambiato davvero quando è arrivata la crisi in fabbrica. Da allora sono diventato socialdemocratico”.
Ma come socialdemocratico! Stalinista-leninista-marxista?
“Stalinista-leninista-marxista che fa i conti col mercato”.
È vero che sua madre ha bruciato le sue poesie d’amore perché pensava fosse roba compromettente?
“Dopo Piazza Fontana perquisirono casa dei miei. E mia madre ha bruciato tutto, anche le poesie. C’era abituata. Quante mazze ferrate e quante catene aveva buttato”.
Ha simpatia per Berlusconi?
“Io mi sento parte di questo Paese. Posso augurarmi che Berlusconi faccia sempre peggio? No! Mi auguro che faccia meglio. Poi noi prenderemo il suo posto”.
Berlusconi è un avversario?
“Non mi piace la parola avversario. Sono uscito dalla visione antagonista quando ho capito che non era mio diritto uccidere la gente. Ho accettato le regole”.
Come direbbe?
“Competitor”.
Berlusconi è un competitor?
“È uno che ha incrudelito il clima politico. Gli manca la professionalità. Meglio Fini”.
Per chi vota?
“Chi devo votà? Ds!”.
Non lo avrei dato per scontato.
“Mi dicono: ‘Tu hai il cervello a sinistra e il cuore a destra’. Ma il mio cuore non è a destra. Sono i fascisti che stavano a sinistra. Ho avuto un’illuminazione: il fascismo era dittatura del proletariato”.
È un voltagabbana?
“Ah Sabbé, ma sta a scherzà?”.
Fascista, gruppettaro, socialista, comunista, socialdemocratico…
“Un uomo deve fare quello che pensa”.
Quand’è l’ultima volta che ha fatto a botte?
“Nel 1990, all’università. Gli autonomi parlavano male di Lama. Lama non me lo dovete toccà. Mi salvarono i ragazzi della Fgci”.
Lei è un bravo scrittore?
“Certo. L’unico che ha delle cose da raccontare”.
E via con gli scrittori… Baricco.
“Uno che scrive bene ma non dice niente di nuovo. Ricicla”.
Busi.
“Scrive bene Busi”.
Ma gli scrittori sono adulatori. Tutti?
“Tutti”.
De Carlo.
“Un conformista! Dice le cose che pensa che gli altri vogliono sentì!”.
I giornalisti?
“Bocca è una Bip!”.
Santoro?
“Arrogante, fazioso. Sa chi mi piace in televisione? I comici”.
L’ha visto Benigni?
“Mi ha commosso!”.
Lei scrive per i critici?
“Scrivo per chi mi leggerà fra 400 anni”.
Le critiche le legge?
“Certo. E mi inBippo. Angelo Guglielmi ha scritto: ‘Troppe citazioni: come se l’autore volesse far vedere che ha studiato!’. E non ha capito che le citazioni erano false. Era un gioco. Gli ho mandato una lettera: ‘Guardi che le citazioni me le sono inventate'”.
Che cosa si aspetta dalla vita?
“Vincere il Nobel. Ma prima vorrei anche fare i soldi, perché il Nobel lo danno ai vecchi. D’altra parte se non lo danno a me, a chi lo danno? Gli altri rifriggono aria”.
I soldi li ha fatti, la fama l’ha raggiunta. Ma il Nobel no. VaffanBip agli svedesi.
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