La violenza sulle donne ai raggi X: le radiografie shock in mostra a Milano
Da pugnali conficcati nell'addome a ossa rotte: la violenza sulle donne appare senza filtri nelle radiografie in mostra a Milano
Contro la violenza sulle donne una mostra di radiografie
La forza delle immagini contro la violenza sulle donne: una raccolta di foto e radiografie anonime raffigurano la parte più profonda delle vittime di violenza, quella che è stata ferita. Sono le immagini esposte nel rispetto dell’anonimato per scuotere le coscienze sul fenomeno in una mostra che verrà allestita nell’ospedale San Carlo di Milano, da giovedì 21 novembre a domenica 8 dicembre.
Una mostra estrema e tragica, organizzata per la Giornata contro al violenza sulle donne del 25 novembre, insieme alla Fondazione Pangea, che sarà inaugurata oggi nell’atrio dell’ospedale San Carlo.
L’ideatrice della mostra di sensibilizzazione è la chirurga Maria Grazie Vantadori: “Le donne, spesso, non hanno la forza di raccontare. Ma i corpi e le lesioni parlano per loro, rivelano vertigini di orrore quotidiano. Per questo ho deciso di mostrare la violenza domestica come la vediamo noi al pronto soccorso: ossa rotte, nasi spaccati, occhi pesti, mani fratturate, polsi slogati, gambe rotte, coltellate, bruciature, morsi, segni di strangolamento, ferite da torture con pezzi di vetro. O addirittura un pugnale nella schiena. Lo scenario di una guerra nascosta nelle mura di casa che i numeri non riescono a raccontare”.
L’idea nasce dall’esperienza del Casd — il Centro ascolto soccorso donna dell’ospedale San Carlo — e dall’arte della fotografa Marzia Bianchi, collaboratrice di Pangea-Reama, che proprio ispirandosi alle parole delle donne accolte dallo Sportello antiviolenza online di Reama ha trasformato la narrazione in immagini.
I corpi martoriati rivelano la brutalità delle azioni nei confronti delle donne. Fino all’estremo di una donna arrivata al San Carlo con un pugnale conficcato nella schiena. “Sì, quella donna è sopravvissuta, anzi una sopravvissuta. Perché la sfida del nostro centro – dice la chirurga che ha deciso di esporre le radiografie – è non solo soccorrere, ma anche aiutare le pazienti a uscire da quella schiavitù. Chi le accoglie deve saper decodificare i loro silenzi, comprendere quelle le lesioni incompatibili con quanto le donne narrano”.
Una mostra dura ma emblematica.. Perché è soltanto trovando una rete che si può uscire da prigioni come quelle che raccontano (o troppo spesso non raccontano) le donne che arrivano nei pronto soccorso.