Il video del salvataggio della bambina migrante azzera in un nanosecondo anni di propaganda cattivista
Questo video, un minuto e dodici secondi, cambia le proporzioni del racconto, azzera uno o due anni di propaganda cattivista in un nanosecondo, con la forza dirompente delle immagini.
Questo video epico della Guardia Costiera, visto e girato dalla soggettiva di chi salva, è il più potente pugno nello stomaco che abbiamo mai ricevuto in questi mesi, l’apoteosi di una moderna salvazione, un prodigio.
Zero retorica, zero commenti, zero chiacchiere, solo parole concitate e grida, come un tappeto sonoro.
Questo video di un minuto e dodici secondi, moderno, potente, drammatico, è un documento non interpretabile: inizia con i salvagente che volano come piattelli verso i naufraghi che galleggiano in mezzo alle onde, inizia con la gente che grida, con i marinai della Guardia Costiera che sottraggono anime all’abisso, con i bambini che entrano sottocoperta apostrofati in modo rude e brusco: “Go Inside! Go Inside!” (ma per il loro bene).
Questo video di un minuto e dodici secondi inizia in presa diretta come certi film di guerra, come un altro “Salvate il soldato Ryan”, girato per raccontare l’esperienza della guerra in mare, nel mare, contro il mare.
Sarebbe già tanto questo. Ma poi, al secondo sedici – “Give me the baby!” – la prospettiva cambia bruscamente, grazie alla potenza della Go-pro. “Give me the baby”, siamo con quelle braccia che prendono il bambino in consegna dalla madre.
Ci siamo anche noi, da casa, anche dalle nostre comode poltrone, sulla testa di quell’uomo che nuota. Stilisticamente potrebbe persino sembrare la soggettiva di un videogioco, capiamo con raccapriccio che – nella concitazione del momento – i nostri occhi sono piantati sulla cima di una telecamera go-pro, che sta sulla cima di una casco, che sta sulla testa di un uomo, che sta in mezzo all’acqua, che sta salvando un bambino vestito con una giacca viola in mezzo al delirio.
La telecamera, l’uomo e il bambino galleggiano in modo precario sul filo della superficie delle acque gelide, galleggiano sul filo del caos in cui si può morire in un solo secondo di ipotermia. Congelati.
Per un bambino – con una massa corporea ridotta come quella – bastano pochi minuti, un pugno di secondi, basta sfuggire alla presa, basta respirare acqua a testa in giù, per morire annegato.
Questo video di un minuto e dodici secondi è fatto visivamente di immagini mosse, e acusticamente di grida, di rumori di liquido che fluttua, di corpi che galleggiano a stento e – al secondo ventisette – la prospettiva da cui stiamo assistendo a questa piccola apocalisse si sommerge per un secondo in mare, perché il bambino possa essere issato fuori dall’acqua. È un tuffo per mettere in sicurezza, un paio di braccia che spingono verso l’alto per tenere il bimbo con la giacca viola fuori dal mare, sopra quella linea precaria che segna il confine della sopravvivenza, il confine tra l’ipotermia e il soccorso, tra la vita e la morte.
Senti il bambino che piange, senti il soccorritore della Guardia Costiera che grida – “Ahhhh! Ohhh!!!! – perché dal gommone lo notino. Avverti la nota di dramma che distorce la sua voce finché non lo vedono, vedi questo corpo chiuso nella giacchetta viola che si muove perché il soccorritore sta nuotando. Come, se con le mani regge il bimbo? Solo con la forza delle gambe? Quella giacca viola mi ricorda per un momento il cappottino rosso della bambina ebrea, in “Schindler’s list” di Steven Spielberg. Solo che questa volta il bambino si salva. C’è un taglio di montaggio in asse che accorcia questo percorso rispetto al tempo reale.
Ti chiedi, stando sulla cima di questa go-pro, che sta sulla cima di un casco, che sta sulla testa di un uomo, che sta in mezzo al mare, che salva un bambino con la giacca viola: per quanto il soccorritore ha nuotato cona sola forza delle gambe, reggendo quel bambino fuori dall’acqua? Questo video di un minuto e dodici secondi, per la prima volta cambia la prospettiva del racconto sull’immigrazione, la prospettiva di ogni racconto, azzera ogni chiacchiera, demolisce in radice ogni slogan di odio. Per la prima volta, se lo decritti, questo video ci rende tutti potenzialmente soccorritori. Questo video di salvazione -Dio strabenedica sempre la Guardia Costiera e l’ammiraglio Pettorino – non ha bisogno di una didascalia o di un commento perché contiene già tutto nella geometria del suo racconto, nella soggettiva del soccorritore che si fa lingua universale.
Ti spiega da che parte stare, “Fatti non foste a viver come bruti”. Ti fa capire bene che, se sei contro la ferocia del mare che uccide, devi scegliere il campo dell’uomo che salva. Questo video ci dice: non puoi che stare dalla parte della vita, senza se e senza ma. Per questo, dopo un minuto e dodici secondi di racconto, vorrei dire grazie all’unica cosa che non vediamo, anche se è la più importante di tutte: vorrei dire grazie a quest’uomo che ci regala il suo sguardo, la sua passione, i suoi occhi, senza che nessuno di noi possa vedere i suoi.