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L’incredibile storia di Veronica sopravvissuta al terremoto di San Giuliano: “Otto ore sotto le macerie della scuola, ora faccio la maestra”

Immagine di copertina
Veronica D'Ascenzo

Veronica D'Ascenzo è una giovane maestra e insegna a Roma. Esattamente 20 anni fa, però, era tra i bambini travolti dal crollo della scuola Francesco Jovine di San Giuliano di Puglia, dopo il violento terremoto che colpì il Molise. Riuscì a salvarsi, dopo essere rimasta otto ore sotto le macerie. Da qui la decisione di tornare in classe, ma dall'altra parte della cattedra, come racconta a TPI: "Mi impegno per il diritto ad avere scuole sicure. E fare in modo che non ricapitino tragedie come questa"

Vent’anni fa una scossa di magnitudo 6.0 squassò la provincia di Campobasso, causando 30 morti e migliaia di sfollati. La maggior parte delle vittime, 27 bambini e una maestra, si trovavano nella scuola Francesco Jovine di San Giuliano di Puglia. Sono le 11.32 del 31 ottobre 2002. All’interno di quell’edificio c’era anche Veronica D’Ascenzo, all’epoca una bimba di 7 anni, che sopravvisse a quel dramma, rimanendo per otto ore sotto le macerie. Ora Veronica vive a Roma e ha deciso di diventare una maestra, impegnandosi attivamente per promuovere la sicurezza nelle scuole.

Cosa ricorda di quel drammatico giorno di 20 anni fa?
“Doveva essere una bella giornata, perché avremmo festeggiato Halloween. La nostra maestra, Carmela, fu l’unica a preoccuparsi, perché il giorno prima c’erano state delle scosse. Per questo ci portò davanti all’uscita di emergenza, per farci vedere dove saremmo dovuti andare in caso di pericolo, ma la porta era chiusa con delle catene. La maestra chiese allora le chiavi per poterla aprire, ma nessuno sapeva dove fossero. Il suo coraggio è da ammirare, visto che fu l’unica a dirci cosa avremmo dovuto fare. All’epoca, infatti, non si parlava di terremoto, per cui non sapevamo come comportarci in caso di scossa, nonostante San Giuliano fosse una zona ad alto rischio sismico”.

Avete poi dovuto cambiare classe.
“Mancava la docente delle ore successive, per cui noi di seconda elementare siamo stati smistati nelle altre classi. Io e le mie amiche Rachele e Martina siamo capitati in prima. Eravamo alla fine dell’aula dove, casualmente per quel giorno, era stato posizionato un alto tavolo con i piedi di ferro”.

Arriviamo alle 11.32, l’ora della scossa.
“È stata una cosa talmente forte che sembrava la scena di un film. Le finestre si rompevano una dopo l’altra, poi mi sono girata e ho visto parte della parete che crollava e mi stava cadendo addosso. La nostra maestra si era messa le mani sul volto dallo spavento e non ha fatto in tempo a dirci di ripararci sotto al banco. Poi ho perso i sensi e mi sono risvegliata con la testa coperta da quel tavolo. Mi ha salvato la vita”.

Ha trascorso ben otto ore sotto le macerie. Cosa ricorda?
“Per fortuna vicino avevo la mia amica Rachele. Ci siamo messe a parlare in attesa dell’arrivo dei soccorsi, per cercare di mantenerci sveglie, e abbiamo pregato. Avevo il corpo immobilizzato, perdevo sangue, e avevo difficoltà a respirare. Sentire la voce della mia amica è stato fondamentale perché sapevo di non essere sola, anche se non riuscivamo a vederci perché era tutto buio. Dall’altro lato c’era Martina. Sono riuscita a riconoscerla toccandole le mani, così morbide e paffute, ma purtroppo anche se provavo a chiamarla non mi rispondeva. Nella mia ingenuità di bambina, pensavo stesse dormendo. Allora le ho stretto un dito ma sentivo che con il tempo diventava sempre più freddo”.

Riusciva a rendersi conto della gravità di quanto era accaduto?
“La mia fortuna è stata quella di essere una bambina. Capivo fosse una situazione difficile, chiedevo aiuto. Ma non avevo realizzato che la scuola mi era crollata addosso. Un adulto si sarebbe fatto prendere dal panico”.

Poi finalmente arrivarono i soccorsi.
“È stato un momento bellissimo. Ho visto un bagliore di luce, come rinascere a una seconda vita. Poi sono stata portata in ospedale per alcuni interventi d’urgenza e ho dovuto affrontare anni di riabilitazione. Il terremoto mi ha lasciato delle ferite profonde. Quell’episodio ha inevitabilmente cambiato la mia vita: a sette anni ho dovuto fare i conti con la perdita di persone care. Per me la scuola era un posto sicuro, la mia quotidianità, invece è diventata una trappola di morte da cui scappare”.

san giuliano di puglia

La scuola fu l’unico edificio di San Giuliano a crollare.
“Era già piuttosto vetusta, degli anni Quaranta. Inoltre, poco prima del terremoto, si era deciso di aggiungere un piano per costruire la scuola media, senza tenere conto della stabilità dell’edificio. Ricordo infatti che bastava toccare leggermente la parete che l’intonaco si sgretolava, tanto che a fine giornata uscivamo con i grembiuli pieni di polvere bianca”.

Come si fa a ripartire dopo un trauma così forte?
“Per tanto tempo non è stato facile rimettere piede all’interno di una scuola. Mi chiedevo perché fosse capitato proprio a me. Ho lasciato San Giuliano e sono ripartita da zero, a Roma, dove non mi conosceva nessuno. Ero per tutti semplicemente Veronica, una ragazza sorridente, e così cercavo di nascondere le mie ferite. In fondo anche questo dolore ha contribuito a formare la ragazza che sono oggi”.

Cosa significa sopravvivere a una tragedia del genere? 
“Per anni ho avuto questo senso di colpa: non riuscivo ad accettare il fatto che io ero viva mentre molti miei compagni non erano riusciti a salvarsi. Ho perso anche un cugino, Luigi. Sentivo questo peso di essere sopravvissuta. Ora invece cerco sempre di essere una persona felice, mi sveglio con il sorriso”.

Alla fine non solo è tornata a scuola, ma è passata dall’altra parte della cattedra, diventando una maestra.
“Ho deciso di studiare Scienze della Formazione primaria alla Lumsa e mi sono laureata con una tesi sui bambini con danno post traumatico da stress, legata proprio al caso di San Giuliano. È stato un modo per fare pace con il mio passato, ma anche per ricordare e ringraziare tutti i soccorritori, che da subito hanno iniziato a scavare anche a mani nude e senza protezioni per tirarci fuori dalle macerie. La scuola è il posto dove si formano le menti dei cittadini del domani. Ho scelto di insegnare e così sono riuscita a vincere le mie paure”.

d'ascenzo

Che emozioni prova ogni volta che mette piede in una classe?
“Quello della maestra è un mestiere fondamentale, perché riesce a donare un po’ del suo cuore e del suo sapere agli alunni che incontra. A volte basta un piccolo dettaglio o una somiglianza nei miei alunni per farmi tornare alla mente qualcuno di quei 27 compagni che non ci sono più. È come se li sentissi ancora accanto a me”.

Oltre all’insegnamento, il suo è anche un impegno per la sicurezza scolastica. 
“Cerco di sensibilizzare le istituzioni su questo tema, affinché il dramma di San Giuliano sia d’esempio per tutte le scuole e in modo che una tragedia del genere non si ripeta mai più. Il mio impegno per chiedere scuole sicure è anche per onorare quei 27 bambini e mantenere vivo il loro ricordo”.

Qualcosa si è mosso?
“Per fortuna sì. Dopo San Giuliano, c’è stata una modifica di legge per cui gli studenti all’interno della scuola vengono quasi equiparati a dei lavoratori, è stata istituita una settimana di sicurezza, con l’intervento di tecnici esperti per verificare la presenza di criticità, e si svolgono le prove di evacuazione”.

Qual è l’insegnamento più importante che le ha lasciato la sua maestra Carmela, morta anche lei sotto le macerie?
“Quando entro in classe a volte cerco di imitarla. Il suo insegnamento più importante è senz’altro quello di avere coraggio. Anche una semplice segnalazione è fondamentale per la sicurezza dei nostri studenti, come ha fatto lei quando le porte di sicurezza erano bloccate. A volte invece si preferisce fingere di non vedere un problema”.

Cosa ricorda del suo primo giorno da maestra?
“Mi è stata data una seconda elementare, quindi bambini della stessa età che avevo io quel drammatico 31 ottobre. Ho iniziato ad osservarli e mi sono commossa pensando ai miei compagni. Poi però mi sono impegnata per tenere separata la mia vita professionale da quella personale”.

Si è parlato tanto delle responsabilità di quel crollo. Come è possibile morire a scuola?
“La scuola non è crollata per il terremoto, ma mancava il collaudo ed era un luogo non a norma. Dopo un lungo processo, ci sono state delle condanne. A distanza di 20 anni, penso che si debba anche saper perdonare. Il sindaco dell’epoca ha avuto una condanna ben più grave di quella giudiziaria, perché all’interno della Jovine ha perso una figlia. Non mi sento di provare odio, anche se questo evento mi ha tolto gli anni più belli dell’infanzia, perché sono stata a lungo in ospedale per le cure. Bisogna però fare in modo che le scuole siano sicure, visto che accolgono i nostri bambini, a maggior ragione per quelle dell’obbligo”.

Come vive il ricordo del 31 ottobre, specie in un anniversario così importante?
“Quel giorno non torno mai a San Giuliano, pur essendo molto legata alla mia terra d’origine. Di solito sto a Roma, la città che mi ha accolto, e cerco di tenermi impegnata per non pensarci troppo”.

Com’è oggi San Giuliano?
“Sembra una cittadina ancora ferma a quel 31 ottobre. Anche se è stata ricostruita, è di fatto vuota, perché molte persone dopo il terremoto sono andate via”.

Che rapporto ha con gli altri bambini sopravvissuti e con i genitori di chi non c’è più?
“Con i sopravvissuti, soprattutto Rachele, ho un rapporto molto profondo. C’è qualcosa di forte che ci lega per cui basta uno sguardo per capirci. Al tempo stesso però c’è un distacco, come se ritrovarci ci faccia ripensare a quel dramma che abbiamo dovuto superare. Con i genitori delle vittime invece il rapporto è molto difficile, perché non riescono ancora ad accettare che i loro figli non ci siano più e invece qualcuno si sia salvato. Quando ero più piccola non riuscivo a capire, ma gli sono vicina”.

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