Sale l’allerta per le varianti del Covid: così l’Italia cerca di scongiurare la terza ondata
Se da un lato quasi tutte le regioni italiane stanno cambiando il proprio colore in giallo, dall’altro, in diverse zone del Paese c’è preoccupazione per le varianti del Coronavirus che si diffondono rapidamente. Da lunedì tutta la provincia di Perugia sarà zona rossa proprio per la presenza di varianti. E provvedimenti analoghi sono stati presi per altri Comuni del centro Italia. Senza un controllo di questi focolai infatti il rischio è che tutta l’Italia possa tornare in lockdown, come accaduto nel resto d’Europa.
Al momento sono tre le varianti che vengono attentamente monitorate e che prendono il nome dal luogo dove sono state osservate per la prima volta. Lo scrive nelle Faq dedicate alle varianti del Sars-CoV-2 l’Istituto superiore di sanità. In tutti e tre i casi il virus presenta delle mutazioni sulla cosiddetta proteina spike, che è quella con cui il virus si attacca alla cellula.
La variante inglese è stata isolata per la prima volta nel settembre 2020 in Gran Bretagna, mentre in Europa il primo caso rilevato risale al 9 novembre 2020. È monitorata perché ha una trasmissibilità più elevata, ipotizzata anche una maggiore patogenicità, ma al momento non sono emerse evidenze di un effetto negativo sull’efficacia dei vaccini.
La variante sudafricana è stata isolata per la prima volta nell’ottobre 2020 in Sud Africa, mentre in Europa il primo caso rilevato risale al 28 dicembre 2020. È monitorata perché ha una trasmissibilità più elevata, e perché dai primi studi sembra che possa diminuire l’efficacia del vaccino. Si studia se possa causare un maggior numero di reinfezioni in soggetti già guariti da COVID-19.
La variante brasiliana è stata isolata per la prima volta nel gennaio 2021 in Brasile e Giappone. Alla data del 25 gennaio 2021 è stata segnalata in 8 paesi, compresa l’Italia. È monitorata perché ha una trasmissibilità più elevata e perché dai primi studi sembra che possa diminuire l’efficacia del vaccino. Si studia se possa causare un maggior numero di reinfezioni in soggetti già guariti da Covid-19. In particolare sulle mutazioni, l’Iss evidenzia che i virus, in particolare quelli a Rna come i coronavirus, evolvono costantemente attraverso mutazioni del loro genoma.
I casi certificati nel nostro paese sono 162 per la variante inglese, tre per quella sudafricana, tre per la brasiliana P.1 e uno per la brasiliana P.2. L’Istituto Zooprofilattico di Abruzzo e Molise è quello che finora ne ha trovati di più e sul quale stanno confluendo anche i campioni dell’Umbria, che ha appena decretato il rosso per la provincia di Perugia.
A Pescara il sindaco Carlo Masci – visto il rapido aumento dei contagi – ha firmato un’ordinanza che prevede la sospensione della didattica in presenza in tutte le scuole della città, dall’8 al 16 febbraio. Tutta la provincia di Perugia, ma anche 6 comuni del Ternano, da lunedì sono in zona rossa: in Umbria sono stati individuati 18 casi di variante inglese del virus Sars-Cov-2 e 12 di quella brasiliana, mentre su altri campioni sono in corso le analisi. Anche tre località abruzzesi sono state inserite in zona rossa: San Giovanni Teatino, Atessa (Chieti) e Tocco da Casauria (Pescara). E pure Chiusi, in provincia di Siena, ha visto scattare le restrizioni, così come la provincia autonoma di Bolzano che, nonostante ufficialmente sia “arancione” ha scelto comunque di procedere con un nuovo lockdown. E poi, appunto, il Molise, ultimo ad aggiungersi alla lista di zone rosse con ben 27 comuni in lockdown da lunedì.
L’Istituto superiore di sanità ha confermato la possibilità che le varianti possano compromettere l’efficacia degli anticorpi monoclonali e, in alcuni casi, anche dei vaccini. Ma “diversi studi sono in corso nel mondo”, puntualizza l’Iss. “Al momento i vaccini sembrano essere pienamente efficaci sulla variante inglese – rassicura l’Istituto -, mentre per quella sudafricana e quella brasiliana potrebbe esserci una diminuzione nell’efficacia”. Poi “per quanto riguarda i farmaci in uso e in sperimentazione – prosegue l’Istituto -, non ci sono ancora evidenze definitive in un senso o nell’altro; tuttavia alcuni articoli preliminari indicano che alcuni anticorpi monoclonali attualmente in sviluppo potrebbero perdere efficacia”.
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