Non mancano solo le dosi, ma anche i vaccinatori. La proposta degli infermieri: “Bisogna andare anche nelle case”
Se durante l’era Arcuri la campagna vaccinale aveva subito una brusca battuta di arresto per l’assenza di dosi (ed alcune fiale ad oggi vengono anche sprecate, come vi abbiamo mostrato in questa inchiesta) ora il problema sono i medici vaccinatori. All’appello mancherebbero circa 10mila operatori. “Facciamo fuoco con tutte le polveri o si va tutti a casa”, è l’ordine perentorio del generale Francesco Paolo Figliuolo, nuovo commissario all’emergenza. In realtà, per ovviare al problema della carenza dei vaccinatori basterebbe cambiare una norma.
La proposta degli infermieri
Arriva allora la proposta della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI) che rappresenta i 454mila infermieri presenti in Italia al Governo e alle istituzioni per far presto. Quello che dicono gli infermieri è semplice: bisogna allentare il vincolo dell’esclusività attuale per i dipendenti e immettere quindi, secondo modelli già disegnati, anche sul territorio e/o a domicilio quasi 90mila (se non di più) vaccinatori che oggi possono operare solo negli ospedali.
La spesa ammonterebbe a una cifra tra i 150 e i 400 milioni in tutto. Per un risultato enorme: in tre mesi vaccinare il 75 per cento della popolazione e ottenere così la tanto desiderata immunità di gregge necessaria per allentare vincoli e restrizioni. Questo a partire da aprile/maggio quando ci saranno le dosi, ovviamente.
Il vincolo dell’esclusività oggi costringe gli infermieri dipendenti (quelli visti ai letti dei malati nelle terapie intensive e primi vaccinatori e vaccinati negli ospedali per rendere questi Covid-free) a operare solo nella struttura da cui dipendono, mentre un allentamento della norma gli consentirebbe di operare anche sul territorio e a domicilio e, un domani, di assistere sul territorio chi ne ha bisogno.
E basterebbero per ottenere il risultato due ore di lavoro in più per ogni infermiere, compensato o in base a scelte regionali o con 500 euro al mese in più (per tre mesi) o ancora con una cifra di circa 10 euro a vaccinazione, pari a quella indicata come riferimento per altre categorie professionali.
Ma in questo momento paradossalmente, e per la prima volta, non è la spesa (comunque contenuta) il riferimento: è il risultato. Che si tradurrebbe con la scelta meno dispendiosa per il Servizio sanitario nazionale per ottenere in tre mesi di vaccinazioni intensive (dosi permettendo) la copertura di circa 45 milioni di italiani.
Il piano: palestre e caserme come hub vaccinali
Per quanto riguarda le location, invece, l’idea del generale Figliuolo e di Fabrizio Curcio, capo della Protezione civile, è quella di utilizzare Palasport e caserme dei Vigili del fuoco come hub vaccinali: “Per la logistica non servono grandi cose. – spiega Curcio – In altre Nazioni hanno usato le cabine elettorali”. Non si esclude, inoltre, l’ipotesi del coinvolgimento dei privati (una proposta, in realtà, formulata da alcuni rappresentanti delle Regioni) ma Figliuolo avverte: “Pronto a rimborsare fino all’ultimo euro ma solo dopo che mi avrete dimostrato che sono state utilizzate tutte le strutture pubbliche a disposizione”.
Il generale è perentorio anche su un altro tema, quello dei vaccini: “La seconda dose di AstraZeneca andrà somministrata fra tre mesi. Se per allora non ce ne saranno a sufficienza, allora tanto varrà andarsene tutti a casa. Per ora meglio anche mezza protezione che zera protezione”. Poi rivela: “Il ministro Speranza ci ha detta che ad aprile ci sarà abbondanza di dosi. Non facciamoci trovare impreparati”.
Ecco, per non farsi trovare impreparati, basterebbe ascoltare la proposta dei professionisti della sanità, che ora più che mai si stanno mettendo a disposizione dell’Italia intera.
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