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Home » Cronaca

Quel ragazzo solo contro un Muro di Gomma: la storia di Ustica raccontata da chi, 40 anni fa, scoprì la verità

Immagine di copertina
Illustrazione di Emanuele Fucecchi

Intervista ad Andrea Purgatori, conduttore di Atlantide (La7), che in quei giorni di fine giugno del 1980 - da cronista del Corriere della Sera - indagò sulla strage: "Altro che bomba, ci fu una battaglia nei cieli. Di Ustica sappiamo tutto, ma da 40 anni la verità è negata"

Andrea, tu dici che quarant’anni di bugie sono tanti, troppi.
Sono così tanti che ormai su Ustica sappiamo tutto: non c’è stata nessuna bomba a bordo, c’è stata una battaglia nei cieli, la verità è stata insabbiata in ogni modo, ma adesso torna a galla.

Andrea Purgatori era un ragazzo, al Corriere della Sera, quel giorno in cui una voce al telefono lo mise per la prima volta sulla pista della Strage. Oggi, dopo anni di inchieste e di denunce, ha condotto una intera puntata del suo Atlantide (in onda su La7) dedicata a quella che definisce “la più incredibile vicenda di depistaggio mai realizzata nel nostro paese”.

Quando è che Andrea Purgatori ha sentito nominare per la prima volta Ustica?
Un’ora dopo che l’aereo era sparito.
Come?
Un controllore di volo mi chiamò al telefono e mi disse: “È sparito dai radar un aereo partito da Bologna”. Era agitato. E mi disse subito: “Non ti far fregare, diranno qualsiasi cosa. Ma sappi che è stato abbattuto”.
Chi era quella fonte?
Un uomo che quella sera stava nella sala del controllo radar di Fiumicino. Aveva assistito a quella drammatica sequenza, alle discussioni, alle urla.

Chi era?
Uno dei controllori di volo del traffico aereo. Era indignato, capì subito che si sarebbe provato a negare in ogni modo.
E poi cosa accadde?
La mattina dopo iniziai a fare telefonate e trovai subito i miei primi riscontri.
Fu difficile?
No. Tutti avevano la stessa idea, la stessa certezza, la stessa consapevolezza.
Come mai?
In quegli anni le manovre militari da guerra degli americani avvenivano senza nemmeno una informazione preventiva. I piloti civili se li vedevano sbucare davanti nei cieli, in ogni momento, con i rischi che sappiamo.

Se c’era questa consapevolezza collettiva, come ha potuto essere conservato il segreto?
Perché quella sera si è attivata una macchina di intelligenze ottusa e implacabile. La parola d’ordine era negare, insabbiare, cancellare.
Così la prima verità scomparsa è stato lo scenario di guerra.
Loro hanno continuato a raccontare per quarant’anni che questo aereo civile volava in un cielo deserto, e che il timer di una bomba ticchettava nella toilette. Una favola, ovviamente, ma ripetuta all’infinito nella speranza che diventasse realtà.

E questa polemica continua ancora oggi. Mi dici tre dati che secondo te confutano in maniera ineluttabile le teorie “negazioniste”?
Nel 1998, sotto la pressione del governo Prodi, il comando centrale della Nato – non un giornalista dietrologico – arrivò a fornire un elenco di quindici aerei in volo quella sera con il trasponder acceso e di altri cinque che volavano con il trasponder spento.
Il trasponder è l’equivalente di una targa, il codice identificativo di ogni aereo.
Esatto. Chi lo teneva spento era un pilota che non aveva nessuna intenzione di farsi identificare.
Altro?
Una portaerei francese, sicuramente in mezzo al mare. Un’altra, americana, in rada a Napoli. Non era andata a pesca.

Testimoni?
Tantissimi, ma ne voglio ricordare due. Agli atti dell’inchiesta risultano le parole di un pilota e di una hostess di un aereo, sempre Itavia, che volava in rotta inversa.
E cosa videro?
Aerei militari in volo, che andavano in direzione opposta, verso sud.
Quale era la portaerei americana?
Forse la Saratoga. La cosa certa è che ai magistrati i comandi americani diedero questa versione contraddittoria. Prima dissero: “Noi siamo usciti la sera prima”. Poi di non essere usciti.
Non è una differenza da poco.
Dai radiofari ai registri di bordo, ovunque ci sono ritrattazioni e cancellazioni, pagine strappate o abrase. Una costante di questa storia.

Altre testimonianze contraddittorie?
Il capostazione della CIA disse che era andato quattro giorni prima della scoperta a vedere i resti del pilota libico caduto sulla Sila. Poi ovviamente ritrattò anche lui.
Si cercò di sostenere che quel pilota non era caduto la sera della strage.
Ovviamente. Era la prova della battaglia, e allora quella vittima andava retrodatata e camuffata.
Come?
Gli erano stati asportati le mani e il pene. Che ovviamente sono scomparsi.
Come mai questa mutilazione la selettiva?
Le mani erano necessarie per le impronte digitali e l’identificazione personale. Il pene per sapere se il pilota era circonciso. Sparì tutto, insieme ai rapporti, e rimase solo una cadavere divorato dai vermi, con una data di morte postdatata.

La Clemenceau, come ha provato anche l’inchiesta di un giornalista francese di quattro anni fa, era nel Tirreno e veniva dalla Corsica.
Tuttavia per 35 lunghi anni, gli Stati maggiori francesi sostennero che – al limite dell’inverosimiglianza, quella base aveva chiuso alle 17.00.
Come uno spaccio estivo.
Solo cinque anni fa ammisero che invece la base era attiva.
Infine i radiofari.
Quelli italiani sul Tirreno registrarono tutto il traffico di aerei di quella notte. Ma i registri subirono lo stesso sbiancamento. Due degli ufficiali in servizio quella notte, fra l’altro, risultano essere curiosamente suicidi.
Le cosiddette morti collaterali.
Tra cui spiccano due piloti italiani che quella sera erano in volo, videro e raccontarono di aver visto, e che morirono scontrandosi l’un l’altro, durante l’esercitazione delle frecce tricolori a Ramstein.

Non vorrai dire che era un incedente sospetto?
Mi limito a dire che per questo motivo non poterono testimoniare, e già questo è un grave vulnus.
Cos’altro sappiamo, di certo, che viene negato?
Sappiamo che c’è stata un’azione di guerra.
Ci sono le prove?
Oltre ai tracciati e alle decine di testimonianze? Lo disse un ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga.
Non un pacifista fricchettone, ma un uomo di fedeltà atlantica.
Che in realtà ci disse molto di più.
Spiegò quello che in un delitto viene definito “il movente”.
Esatto.

Cossiga disse che il bersaglio era Gheddafi, il colonnello che fu leader incontrastato della Libia.
Che il bersaglio fosse Gheddafi è fuori di dubbio.
Secondo Cossiga, Gheddafi era stato “avvisato” dal generale Santovito, capo dei servizi, che correva un rischio mortale, e non fu coinvolto in quella battaglia.
Salvò la pelle volando altrove, con un’altra rotta. Ma i rapporti tra l’Italia e il suo regime erano molto stretti.
Ad esempio perché?
Per la linea filo-araba del nostro governo. Per la simpatia verso la causa palestinese di comunisti, socialisti e sinistra democristiana.
E poi?
Per il fatto che la Libia, dopo lo shock petrolifero era diventata azionista della Fiat.

Ci sono altre tracce di questa relazione non convenzionale?
I nostri servizi arrivarono a segnalare ai libici i nomi degli oppositori del regime presenti in Italia.
E cosa se ne facevano di quelle segnalazioni?
In molti casi per far eseguire da dei sicari degli omicidi mirati.
Incredibile.
Ma vero. Ci fu addirittura un caso clamoroso in cui a Milano i libici uccisero uno di questi soggetti, che i nostri avevano identificato, senza sapere che era anche un informatore della CIA.
Un bel problema.
Gli americani furibondi ci misero sotto accusa. Eravamo accusati dagli atlantisti di fare il “doppio gioco”, e questa politica autonoma, dal loro punto di vista, era un tradimento inaccettabile.

Quale era il modo?
Uno dei problemi più spinosi era proprio quello dei voli fantasma.
Cioè?
Gli italiani erano accusati di chiudere un occhio, e poi anche l’altro, quando gli aerei libici traversavano il Mediterraneo per tornare a casa.
Perché?
Gli alleati sostenevano che questi voli erano ricognizioni che permettevano ai libici di acquisire informazioni sui nostri sistemi di difesa e di passarle ai russi.

Ed era vero.
Non si capisce questa storia senza capire il suo contesto: c’era la guerra fredda, c’era la minaccia di una guerra nucleare, c’era la cosiddetta deterrenza. Ogni informazione era vitale per entrambi gli schieramenti.
I comandi italiani dicono che questa era fanta-politica.
Una negazione ridicola. Che fosse questa la linea del governo è fuori di dubbio, basta rileggersi le parole di Cossiga, di Craxi, di Andreotti.

I militari dicono che quella sera Gheddafi non era in volo.
Se lo fosse o no era irrilevante. Se era in volo con un aereo che era scortato da un mig, o se era già in salvo e fossero rimasti solo i mig era irrilevante sula ricostruzione delle motivazioni. Anche questo tentativo di negazione è inutile.
Perché?
Perché qualunque aereo libico era considerato una nemico. Il fatto che attraversasse lo spazio aereo italiano non poteva non accadere senza una nostra consapevolezza, dicevano i paesi della NATO.
E questo era indubbio.
Assolutamente sì. Ho detto dei due piloti militari italiani che incrociano a vista il Dc9 e poi lanciano l’allarme perché vedono un altro aereo libico. Solo la loro morte a Ramstein ci ha impedito di avere la loro versione.

Altri testimoni diretti?
I radaristi, che non solo vedono l’intruso, ma vedono anche sparire il Dc9 Italia dai tracciati.
Cioè lo vedono abbattuto.
Esatto. Ci sono poi testimoni oculari che in Calabria hanno visto i due caccia della NATO inseguire un mig libico in fuga.
Per questo, per smontare questo tassello…
Occorre retrodatare la morte di quel pilota. Insieme al suo dito indice e al pene, documenti, foto, polaroid.
E per lo stesso motivo scompaiono le testimonianze dei militari della NATO e gli altri soggetti della battaglia sul Tirreno.
Se non hai nulla da nascondere, perché racconti che la base aveva chiuso? Questo vale sia per i francesi che per gli americani.

Il comandante della Saratoga racconta che avevano il radar spento.
Curioso, come minimo. Il comandante di una portaerei che comanda la sesta flotta che racconta di aver avuto il radar spento è una cosa surreale, non si può neanche sentire. È roba da corte marziale.
Ma ci sono altre inchieste.
La Procura di Roma sta indagando sulla base di Grazzanise.
Perché?
C’è il sospetto che due caccia si siano alzati da lì.
Esiste un movente che può motivare una azione di guerra così feroce, oltre a Gheddafi?
Nelle carte del nostro centro Sismi c’è addirittura un avvertimento degli americani: “Basta con questi mig sul Mediterraneo”.

Si poteva arrivare a coinvolgere un aereo civile?
Non come bersaglio diretto di una rappresaglia. Ma se si trovava in mezzo ad un teatro di guerra, come è accaduto, sì.
Però l’ostilità verso la politica filo-araba spiega la durezza e la non raccontabilità di quella vicenda.
Dire che un aereo civile era stato abbattuto dalla NATO era un colpo mortale per la NATO e le sue basi italiane.
La contestazione era dura.
Avevamo una moglie, la NATO, e un’amante, cioè la Libia. Una era di troppo.

Qualcuno potrebbe parlare tra i militari che sapevano?
Quelli che sono vivi temono le responsabilità – anche penali – che qualsiasi ammissione comporterebbe.
Loro sostengono ancora la tesi della bomba.
Una teoria che non può stare in piedi per un piccolo ma determinante dettaglio.
Quale?
Il Dc9 Itavia quella sera partì con due ore di ritardo. Attese sulla pista con l’equipaggio a bordo per via di un temporale.
Il volo durava un’ora, e solo l’attesa avrebbe fatto saltare qualsiasi timing.
Esatto. Sarebbe stato impossibile anche prevedere, non solo il temporale, ma quale ritardo avrebbe indotto.

L’attentatore doveva chiudersi nella toilette.
Assurdo. Se la bomba fosse stata nel contenitore del portasalviette come avremmo potuto ritrovare il portasalviette intatto?
E poi?
Non ci sono tracce di esplosivo.
Tuttavia il perito della difesa dei militari, Frank Taylor, sostiene che fosse una bomba nella toilette.
Lui risponde alle domande dei magistrati così: “Anche se avessi visto un missile colpire l’aereo direi che è una bomba”. Il che mi fa venire qualche sospetto sulla sua credibilità.

Davvero si può provare a mantenere un segreto per quarant’anni?
Sì. Soprattutto se per mantenere questo segreto hanno collaborato tutti i servizi del mondo.
E allora serve anche la domanda opposta: si potrà mai arrivare ad una verità ufficiale che posso infrangere quel segreto?
Se non c’è uno Stato che sostenga l‘ultimo miglio, no. Persino l’autorità dei magistrati si deve fermare davanti alla forza di un segreto di Stato. Negli ultimi quarant’anni è accaduto questo.

Leggi anche: Strage di Ustica, la ricostruzione dei fatti

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