Sapienza occupata: “Vogliamo le dimissioni della rettrice”
«Volevamo solo attaccare uno striscione», invece sono arrivate le botte. Marco Savioli fa parte del collettivo Link Sapienza e il 25 ottobre scorso ha assistito alla furia ingiustificata delle forze dell’ordine, che pur di disperdere gli studenti, ha deciso di fare ricorso a scudi e manganelli. Ferendo e traumatizzando persone completamente disarmate.
A due giorni dalle cariche, il 27 ottobre, gli studenti e le studentesse della Sapienza avevano chiamato un’assemblea pubblica per un confrontarsi su come agire per farsi sentire. L’incontro è culminato, poi, con l’occupazione della facoltà in serata e la richiesta immediata di dimissione da parte della rettrice Antonella Polimeni, accusata dagli studenti di essere «collusa con quel mondo di destra, l’ha dimostrato tante volte».
«Noi ancora, a distanza di ormai tre giorni, non sappiamo chi abbia dato l’autorizzazione per intervenire alle forze dell’ordine», prosegue Marco. «Stanotte abbiamo dormito qui, fino alle 5 del mattino eravamo cinquecento persone», racconta.
Anche Alice Poverini, seduta accanto a lui, conferma quanto riferito dal compagno. «Servirebbe un’inchiesta su come funziona questo sistema. In Città universitaria c’è una cabina di regia che non si sa come viene gestita, né da chi. Fino a qualche anno fa c’era un accordo che prevedeva che a dare l’autorizzazione fosse il rettore, ora non si sa nemmeno se questo accordo sia stato rinnovato o meno da Polimeni», dice.
La repressione di pochi giorni fa, però, è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Le problematiche affliggono il sistema universitario sono molteplici e, da anni, passano sottotraccia, nel tentativo di essere normalizzati.
Nel corso dell’assemblea pubblica iniziata nella tarda mattinata di oggi, 28 ottobre, alcune delle storie raccontate al microfono, fanno rabbrividire. Come quella raccontata dalle studentesse del Comitato di Medicina: «una compagna ieri notte è stata stuprata durante il turno di notte durante le ore di tirocinio a pochi chilometri da qui, nel nostro Policlinico (Umberto I, ndr), dove ogni giorno ci apprestiamo a svolgere tirocini non retribuiti e a subire violenze continue». Non hanno voglia di raccontare di più, «è come funziona l’Italia patriarcale», dice una di loro. Peraltro, i giornali dopo l’uscita della notizia, dicono, «hanno scritto cose vergognose», quindi, «non possiamo fare altro che sostenere la nostra compagna senza aggiungere nient’altro».
Da Firenze sono arrivati anche due lavoratori di Gkn: «Occupate e noi convergeremo, insieme!». Il sostegno dei lavoratori della fabbrica di Campi Bisenzio nell’ultimo hanno e mezzo ha fatto dell’incredibile, riempiendo le piazze di precari e lavoratori sfruttati dal sistema. Dopo aver occupato lo stabilimento, dopo aver ricevuto un’algida email che li informava che il sito di produzione dello stabilimento inglese per il quale lavoravano da anni era prossimo alla chiusura. Era il 9 luglio 2021.
Ma c’è anche la rabbia dei ricercatori e assegnisti precari, che a seguito dell’approvazione di una nuova legge di reclutamento universitario, rischiano di essere tagliati fuori. «Una legge che non è ancora entrata in vigore e che speriamo possa essere rinviata, almeno per un altro anno, visto che è stata approvata nel silenzio generale e che cancella questa proprio la figura degli assegnisti con un’altra figura che costa il triplo, espelle più di un terzo degli assegnisti al momento interni all’università», spiega Michele, giovane ricercatore della Sapienza.
Hanno tutti gli occhi stanchi, ma la rabbia che alimenta la speranza di poter cambiare le cose, dà energia anche a chi non dorme da più di ventiquattro ore. Una studentessa di Antropologia parla chiaro: «Questa università fa schifo, perché fa accordi con Leonardo, perché vuole normalizzare i nostri corpi, perché si basa sul merito, quando sono loro (i vertici dell’università) a non meritare il posto che hanno», afferma.
E intanto quegli stessi vertici tacciono. Trincerati dietro un silenzio intermittente, interrotto da comunicati trasmessi dai canali ufficiali dell’università. Parole scritte e tuttavia vuote di significato.
Fra gli occupanti, il preside di Facoltà, Tito Marci, cammina disinvolto, si ferma a parlare con qualcuno, ha un volto rilassato. «Lui alla fine ci ha sostenuto. Ci ha detto che lui non ha autorizzato l’intervento», raccontano gli studenti seduti sul muretto del piazzale antistante l’ingresso di Scienze politiche. Eppure, quando TPI gli ha chiesto una breve dichiarazione, ci ha liquidati in malo modo.
Gli avremmo chiesto spiegazioni in merito alla negazione di un’aula per un evento sul Kurdista, che questo pomeriggio si è tenuto a Piazzale Aldo Moro. Valerio Casali, studente e organizzatore dell’evento, racconta che «la motivazione che ci ha dato è che se avessimo voluto l’aula avremmo dovuto invitare qualcuno dell’ambasciata turca. Ha detto che si trattava di una formalità. Anche da Lettere, altra Facoltà a cui avevamo proposto la conferenza, ci hanno fatto capire che sarebbe stato un evento scomodo», spiega.
La rettrice Polimeni, invece, non c’era. Se si sia fatta negare alla stampa o se sia partita per il ponte alle porte, resta in dubbio almeno quanto chi abbia autorizzato le cariche della polizia il 25 ottobre.