In Umbria non è più possibile ricorrere all’aborto farmacologico in day hospital
Umbria, abrogato l’aborto farmacologico in day hospital: polemiche
In Umbria non sarà più possibile ricorrere all’aborto farmacologico in day hospital e poi a domicilio: lo ha stabilito la giunta regionale guidata dalla leghista Donatella Tesei (qui l’intervista di Selvaggia Lucarelli alla governatrice) con una delibera approvata giovedì 11 giugno 2020. Il provvedimento, proposto dall’assessore alla Sanità Luca Coletto, in sostanza cancella il testo precedente, voluto nel dicembre 2018 dal centrosinistra, e ripristina all’interno della Regione la legge nazionale che prevede che le donne che vogliono fare ricorso all’aborto farmacologico devono obbligatoriamente essere ricoverate per tre giorni. Non sono mancate, ovviamente, accese polemiche da parte delle associazioni femministe. Ma anche un certo fastidio della Società italiana di ginecologia e ostetricia, che aveva chiesto anzi di favorire il ricorso alla pillola abortiva per tutelare la salute della donna e decongestionare gli ospedali durante l’emergenza Coronavirus.
La Regione Umbria, tuttavia, è voluta andare in un’altra direzione rispetto a quella richiesta dalla Società italiana di ginecologia e ostetricia. Con la nuova delibera, si torna dunque ad applicare la legge italiana che però nel 2009 aveva dato alle Regioni la facoltà di disciplinare la materia con percorsi più idonei. Ecco perché diverse Regioni hanno previsto, negli anni, la possibilità di ricorrere all’aborto farmacologico a domicilio o comunque in day hospital. La notizia arrivata dall’Umbria è stata accolta subito con entusiasmo da Simone Pillon, senatore leghista diventato un simbolo della causa pro-life, nonché autore del contestatissimo disegno di legge sull’affido condiviso: “La sinistra antepone l’ideologia alla salute delle donne”, ha detto in relazione alle polemiche sorte sul tema.
Fortemente critiche, invece, le associazioni femministe: “Secondo i leghisti della Regione Umbria si raggiunge il paradiso rendendo difficile la vita delle donne, la loro libertà, la loro autodeterminazione”, si legge nel testo firmato da Non una di meno Perugia e Gubbio, Udi nazionale, Udi Perugia, La città delle donne-Aps Gubbio, Rav Perugia, Democratiche umbre, Cav di Orvieto-L’albero di Antonia, Il filo di Eloisa-Orvieto, associazione Terni donne, associazione nazionale Vitadidonna. “La maggioranza di destra del Consiglio regionale umbro – continua il comunicato – ha abrogato la delibera regionale faticosamente ottenuta nel dicembre 2018, dopo 8 anni di insistenza e di lotte anche contro la recalcitrante giunta Marini. Si dava così indicazione agli ospedali umbri di organizzare con day hospital il servizio per la interruzione volontaria della gravidanza farmacologica, dando la possibilità alle donne che decidevano di interrompere la gravidanza, di poter scegliere, il metodo meno invasivo per loro, che meglio si adatta alle loro esigenze e farlo in modo accessibile. Invece, in Umbria non sarà più così”.
Secondo i dati diffusi dalle stesse associazioni delle donne, in Italia il ricorso all’aborto farmacologico è molto basso, intorno al 18 per cento. Percentuale che si abbassa, in Umbria, al 5. “In Francia viene scelta dal 66 per cento delle donne, in Svezia dal 95 – denunciano le associazioni -, perché? Perché una IVG medica per una donna, da noi è una corsa ad ostacoli: contro il tempo, la disinformazione e la mancanza di Servizi”.