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Ultras infiltrati dai clan del sottoproletariato mafioso ed elementi di estrema destra: ecco chi ha messo a ferro e fuoco Napoli

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Della povertà è facile approfittarsi. Di Napoli pure. Il mix delle due cose è una storia già vista. Ieri l’ennesimo intervento sceriffico del governatore della Campania Vincenzo De Luca ha scatenato paura, esasperazione e speculazione. Da un lato la gente che teme di perdere quel poco che ha, in un territorio sfiancato (come in tutta Italia) dalle conseguenze del lockdown e della pandemia, vittima della evidente incapacità politica di far fronte alla nuova emergenza e con difficoltà economiche ormai cristallizzate nel tempo, compromesso dalle difficoltà lavorative e dalla mancanza di opportunità, aggredito e spesso ostaggio delle organizzazioni criminali. Dall’altro i gruppi della cosiddetta violenza organizzata che periodicamente interviene, cavalca, strumentalizza, il disagio sociale.

E quindi chi c’era ieri in strada a manifestare? Chi ha incendiato cassonetti, lanciato pietre e bottiglie, inveito sui cronisti che provavano a fare il loro sacrosanto lavoro? Chi ha picchiato i poliziotti, assaltato le volanti? Secondo voi i commercianti, le signore che portano avanti famiglie intere nei rioni matriarcali, i giovani delle partite iva, i lavoratori senza garanzie hanno imbracciato spranghe o appiccato il fuoco? Lo hanno fatto personaggi riconosciuti e riconoscibili: ultras infiltrati dai clan del sottoproletariato mafioso di quartiere ed elementi di estrema destra. Una joint venture che anni fa fu protagonista anche degli scontri a Pianura in piena emergenza rifiuti. Era il 2008 e la gente scese in piazza (giustamente, oggi lo possiamo dire) contro la riapertura di una discarica in un territorio già avvelenato, dove da tutta Europa erano venuti a scaricare rifiuti tossici, dove la gente si ammalava e moriva. Quella protesta diventò territorio di scontro violentissimo perché, come hanno accertato poi le inchieste della Dda e i successivi processi, c’era chi era coinvolto in una speculazione edilizia e temeva che le costruzioni, a volte abusive avrebbero subito un pregiudizio dalla riapertura della discarica e così vennero assoldati ultras vicini alla camorra con la manina di attivisti politici di estrema destra. La piazza esasperata per la crisi dei rifiuti fu “usata” da chi aveva altri scopi e curricula penali non esattamente immacolati. Ecco, ieri abbiamo visto a Napoli lo stesso schema.

Per capire tutto questo bisogna dire che cos’è la camorra oggi sul territorio. Da un lato ci sono i clan forti, quelli che fanno impresa, quelli infiltrati stabilmente nel tessuto economico europeo e che non solo non hanno subito grossi danni da questo lockdown, se non per lo spostamento degli stupefacenti o di altre merci illecite dai porti stranieri, ma già sono ben organizzati per spartirsi la torta dei fondi europei che arriveranno in soccorso dell’economia flagellata dalla crisi. Dall’altro lato c’è un territorio parcellizzato e controllato rione per rione da microclan, il cosiddetto sottoproletariato mafioso, che si occupa prevalentemente dello spaccio locale degli stupefacenti e del racket. Sono quelli che creano allarme sociale, che sparano per poco e niente, che si fanno la guerra per gli spiccioli. Questi microclan storicamente attraversano il mondo ultras e di parte del tifo organizzato. Questi sono quelli che ieri hanno messo a ferro e fuoco le strade. La provenienza? Sicuramente i quartieri più vicini alla sede della Regione a Santa Lucia e cioè Pallonetto e Quartieri Spagnoli, ma anche centro storico, Sanità e in trasferta da Ponticelli.

A tutto questo bisogna aggiungere la chiamata alle armi avvenuta soprattutto tramite i social dei gruppi fascistoidi come Forza Nuova o Casapound, mai veramente forti o influenti a Napoli ma sempre pronti a farsi longa manus dei burattinai populisti. Un’azione così violenta e scientifica, non può essere spontanea o quantomeno non può essere immune dai “professionisti” del settore. Tutto questo avveniva davanti agli occhi atterriti di quasi tutti i cittadini che invece erano a casa e si collegavano a facebook, twitter e instagram per guardare i video degli scontri. Dei giornalisti, molti dei quali precari e partite iva (anche loro con le stesse difficoltà) che provavano a raccontare come potevano, nonostante le aggressioni. E del sindaco, comodamente seduto in poltrona in uno studio televisivo.

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