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Norcia tre anni dopo dorme ancora sotto le macerie: viaggio nella città distrutta dal sisma del 30 ottobre 2016

Siamo tornati a Norcia a tre anni dal sisma: la ricostruzione procede a rilento, colpa della burocrazia e di una politica non sempre attenta ai bisogni del cittadino. E così la comunità si sgretola e resta in attesa della rinascita

 

Terremoto a Norcia, il reportage in occasione del terzo anniversario

Sono ancora le 7.40 del 30 ottobre del 2016, a Norcia. Lo sguardo di San Benedetto, immobile, assiste al tempo che non passa, cristallizzato a quel giorno di fine ottobre, quando la terra tremava e Norcia moriva un po’. Le vetrine dei negozi ancora impolverate, al di là del vetro tutto è rimasto come allora. Intanto intorno la città si muove in un contrasto che colpisce: se qualche attività commerciale ha cercato di rimettersi in piedi, le abitazioni restano vuote, chiuse, sigillate nella loro solitudine. Le lancette sono ferme a quell’ora, come quasi tutto quello intorno.

Le immagini della facciata della cattedrale di San Benedetto in piedi, mentre tutto il resto crollava hanno fatto il giro del mondo. La statua di San Benedetto, miracolosamente indenne nonostante le scosse che hanno flagellato per mesi l’Umbria, diventava il simbolo della resistenza di una città che non ci stava a morire, già vittima di un terremoto che, qualche decennio prima, aveva tentato di deturparla. Da lì Norcia era ripartita più forte e pronta a tutto. Anche a quel 30 ottobre di tre anni fa.

Credit: Cristiana Mastronicola

La voglia di riscatto della città, però, è messa a dura prova dalla burocrazia e della politica che, feroci, respingono indietro ogni tentativo di rivalsa. Come quella di chi è stato buttato fuori casa dalla scossa di magnitudo 6.5 del 30 ottobre e che oggi in quella stessa casa non può tornare perché ancora inagibile. Sono tanti, troppi i nursini che hanno incollato addosso ancora lo status di sfollati: molti vivono nelle famose “casette” (Sae, sistemazioni abitative d’emergenza) messe a disposizione dallo Stato all’indomani del sisma, altri sono dislocati ancora in alberghi lontani da Norcia, molti fanno ricorso al Cas (contributo di autonoma sistemazione) per pagarsi un affitto nelle poche abitazioni agibili e qualche decina di nuclei familiari ancora resiste dentro ai container che sorgono subito fuori dalle mura cittadine. Per molti nursini è impossibile ritornare nelle loro case, sbriciolate dalla sferzata del 30 ottobre, ma per tanti altri, invece, la questione è ben diversa.

La ricostruzione riparte, ma a rilento. Giuliano Boccanera, vicesindaco dell’amministrazione di centrodestra guidata da Nicola Alemanno, riconfermata la scorsa primavera giocandosi tutto sulla continuità della ricostruzione, punta il dito contro l’Ufficio speciale per la ricostruzione dell’Umbria: “Nelle altre regioni vanno più veloci, mentre qui sono poche le pratiche che sono partite. L’ufficio potrebbe essere istruito in modo diverso e questo agevolerebbe tutto”.

L’Usr Umbria, però, ha le sue motivazioni. Alfio Moretti, coordinatore dell’Ufficio, denuncia la mancanza di organico: “Siamo pochi, troppo pochi per poter fronteggiare questa situazione. Siamo mille spalmati su quattro regioni, per un terremoto di un’entità vastissima. E pensare che in Emilia Romagna, dove la scossa aveva provocato molto meno danni, erano state stanziate 600 persone. Abbiamo chiesto che ci vengano mandate almeno altre 500 persone: a gennaio ne arriveranno 200 e speriamo che la situazione migliori”.

L’amministrazione nursina attacca l’Usr per la presunta inefficienza dell’ufficio, ne riconosce però i limiti legati all’organico, che riguardano anche lo stesso Comune di Norcia. Il vicesindaco condanna apertamente il sistema secondo cui chi lavora alla ricostruzione, arrivato a Norcia all’indomani del sisma, a gennaio andrà a casa. I dipendenti sono stati assunti per tre anni e il loro contratto scadrà proprio il prossimo gennaio. “Con un giorno in più di lavoro, dovrebbero essere assunti a tempo indeterminato, ma è impossibile per il Comune di Norcia coprire altri venti stipendi”. Non è solo un problema economico, perché l’arrivo di nuovo personale comporta un periodo di formazione dello stesso e quindi l’ulteriore rallentamento nel processo di ricostruzione.

La speranza di velocizzare tutto – sia per l’Ufficio per la ricostruzione che per l’amministrazione – è riposta tutta nel Decreto terremoto – in Gazzetta ufficiale dal 24 ottobre scorso – che punta, tra le altre cose, a snellire le procedure e ad accelerare pratiche e ricostruzione. Con il decreto sarà introdotta l’autocertificazione economica per i professionisti, che ora lavorano già con l’autocertificazione, ma solo da un punto di vista tecnico. Si salterà il passaggio dall’Ufficio speciale per la ricostruzione, insomma.

Credit: Cristiana Mastronicola

Ma qualcosa si sarebbe potuta fare anche prima. Se come denunciano i cittadini, la questione delle case classificate come E (quindi completamente ridotte in macerie) è la più complessa, sono anche le aedes B a soffrire una situazione al limite del sopportabile. Parliamo degli edifici con danni lievi, che hanno riportato lesioni di poche decine di migliaia di euro. Queste case sarebbero potute tornare ad accogliere i loro inquilini già da prestissimo, se il processo di ricostruzione fosse partito subito. E, invece, non si è concesso il contributo immediato e si è passati, anche qui, per la trafila lunghissima delle pratiche. Nel frattempo i cittadini vengono ospitati negli alberghi o nei container, alcuni usufruiscono del cas pagando un affitto altrove. A rimetterci, però, è lo Stato che ha sborsato (e sborsa) una media di 160mila euro a cittadino a fronte delle poche migliaia di euro che sarebbero bastate per rimettere in sesto le abitazioni. Il vicesindaco Boccanera punta il dito contro l’ex commissario straordinario per la ricostruzione Vasco Errani: “Pensano che siano tutti ladri e per questo non hanno concesso subito i contributi. Questo sistema ci ha castrato”.

E intanto gli abitanti restano fuori dalle loro case. “Ogni tanto entro nel garage di casa mia. Lo so che non potrei farlo, ma mi prende un po’ di nostalgia e allora ci torno, anche se so che dovrò aspettare tanto prima che la situazione si sblocchi e io possa tornare in quella casa”. Gli occhi di Vincenzo brillano quando parla della sua vecchia casa. Oggi vive a qualche centinaio di metri da lì, in una delle quasi ottocento casette che nascono lontano dalle mura della città.

Prima di avere una Sae, lui e la famiglia hanno aspettato un anno e mezzo. Prima ha vissuto nei container. Questa manciata di metri di “casa” è diventata tutto, per loro. “Abbiamo ritrovato un po’ di intimità. Prima non ci sentivamo liberi nemmeno di invitare un amico per un caffè. Anche se i problemi restano, la nostra vita è ricominciata”.

Credit: Cristiana Mastronicola

Vincenzo, col suo accento ancora orgogliosamente del sud, sorride mentre spiega che proprio in queste ore sarà costretto a smontare i mobili della casetta per permettere agli operai di entrare in casa e sistemare il pavimento gonfio dall’umidità. “Hanno sbagliato materiale e adesso questa specie di legno è tutto deformato”, spiega Vincenzo con la saggezza di chi questo mestiere lo fa da una vita.

Ma il peso più grande che grava sulle loro vite è quello di vedere sempre più lontana la possibilità di rimettere piede dentro casa loro: “Abbiamo fatto tanti sacrifici per comprarla, i nostri figli sono cresciuti lì”. Ma i fondi ci sono per tutti, assicura l’amministrazione, e i cittadini di Norcia faranno ritorno nelle loro case. Quando, però, resta l’interrogativo più grande, quello che spossa e logora i nursini.

Al chioschetto subito fuori Porta Romana – che d’estate è il punto di ritrovo dei tanti che tornano al paese d’origine dopo aver trascorso il resto dell’anno fuori – uno sparuto gruppo di giovani e meno giovani gioca a carte davanti a una birra. È l’immagine di un paese sospeso, fermo, che attende paziente e stanco. Per la terza volta le macerie grigie di Norcia si colorano dei colori caldi dell’autunno, in un contrasto che fa male agli occhi e all’anima. Rassegnazione è la parola d’ordine in una Norcia abbandonata, vittima del terremoto prima e del sistema poi. “Dormire, sognare, ricostruire… forse”, si legge su uno striscione affisso fuori dalle mura della città, sulla strada che affaccia sulla vallata bruna che accoglie chi arriva a Norcia. Quel “forse” per i nursini, a tre anni dal terremoto che ha cambiato le loro vite e le loro anime, pesa più delle macerie.

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