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Home » Cronaca

Caos tamponi Asl Roma 3: “Bloccati in casa da 15 giorni senza esito del test, rischiamo il lavoro e perdiamo lo stipendio”

Immagine di copertina
Credits: ANSA/Alessandro Di Meo

Ritardi nell’esito dei tamponi alla Asl Roma 3

Centinaia di persone attendono l’esito del tampone effettuato ai Drive In di Casal Bernocchi e di Fiumicino intorno ai primi di novembre. Da allora la Asl Roma 3, che gestisce le strutture, non ha ancora comunicato il risultato del test molecolare, o ci ha impiegato almeno due settimane, senza che ci fosse possibilità di interagire per ricevere informazioni nel frattempo. La sensazione è che manchi il personale per occuparsi delle comunicazioni, considerando che ai Drive In si sono recate migliaia di persone tra Roma e provincia e che alcuni referti arrivati in ritardo sono stati preparati almeno una settimana prima di essere trasmessi al destinatario.

Intanto le difficoltà di chi attende sono psicologiche, logistiche e soprattutto economiche: chi ha atteso il referto in una quarantena prolungata (senza manifestare sintomi, per poi scoprire di essere negativo) ha visto lo stipendio decurtato o non pagato. Per non parlare delle disfunzioni create allo stesso personale sanitario, con infermieri che per giorni non sono venuti a conoscenza dell’esito del tampone nonostante alcuni colleghi fossero risultati positivi al Covid, e un decreto regionale che impone di recarsi comunque in ospedale, se asintomatici.

A. ha fatto il tampone molecolare insieme a sua moglie il 2 novembre e fino a lunedì 16 novembre non ha ricevuto nessuna risposta. Vive da 14 giorni in quarantena con una figlia di 7 anni che non può andare a scuola fin quando i genitori non ricevono l’esito. Intanto il titolare lo chiama diverse volte al giorno per sapere quando tornerà: “La nostra azienda è piccola quindi assentandomi a lungo ho messo tutti in difficoltà. Con il blocco licenziamenti fino a marzo, non posso essere mandato via, ma c’è da perdere la testa”, racconta a TPI. A. è risultato positivo al tampone rapido che aveva fatto in una clinica privata a fine ottobre, e per questo ha dovuto confermare l’esito con il test molecolare. Casal Bernocchi era il primo Drive In disponibile, ma non si sarebbe mai aspettato di restare bloccato a casa per giorni.

Ho mandato all’incirca 20 mail e non mi hanno mai risposto”, ha spiegato. “L’Ufficio Stampa mi ha detto che avrebbe inoltrato una mail alla direzione generale, ma da quel momento non è successo niente. Ho provato a chiamare il numero di cellulare che mi avevano dato, ma è sempre occupato dalla mattina alle 8 fino al pomeriggio alle 6: qualsiasi numero che chiami non risponde perché danno informazioni solo tramite mail. Non possono dare referti né dire se è in lavorazione”. Intanto il suo datore di lavoro insiste per farlo rientrare chiedendo informazioni che però A. non riesce a prendere. “È questa la mia situazione dal 2 novembre. Né positivo, né negativo, e neanche una risposta. A livello psicologico mi sento sotto pressione da 15 giorni. E anche mia figlia, costretta a stare a casa mentre i compagni sono a scuola, rimette sulla sua pelle questo ritardo”.

Quello di A. è solo uno dei tanti di casi di persone che vivono in casa da giorni senza avere sintomi a causa delle disfunzioni della Asl Roma Tre, che copre il comune di Fiumicino e altri tre municipi di Roma ma che ha dovuto far fronte alle persone arrivate ai Drive in anche se residenti dal lato opposto della capitale, perché non c’era bisogno di prenotazione: sono circa 1250 al giorno, secondo quanto ha dichiarato a Roma Today il direttore della Asl Roma 3, Giuseppe Quintavalle, che adesso ha promesso una indagine interna e di allestire un ufficio ad hoc per gestire le disfunzioni. In effetti nelle ultime ore sembra che la situazione si stia sbloccando, ma intanto in troppi hanno già pagato le conseguenze dei ritardi.

Come G., che ha effettuato il tampone al Drive In di Fiumicino martedì 3 novembre perché non era necessario prenotarsi, pur vivendo in un municipio gestito da un’altra Asl a nord della capitale. G è una dipendente amministrativa e assentarsi per 10 giorni al lavoro ha significato una riduzione della busta paga di almeno 300 euro. Anche nel suo caso ha dovuto eseguire il tampone molecolare perché risultata positiva al test rapido, ma con una carica molto bassa. “15 giorni a casa sono ingiustificabili, se non sei in grado di gestire un volume così alto di gente, non lo fai e basta”, dice rivolgendosi alla Asl. L’esito le è arrivato domenica sera, ma la data che appare sul referto è quella del 7 novembre. Significa che il suo tampone è stato processato sette giorni prima, quelli in cui sarebbe potuta andare a lavorare senza prendere altre ore di malattia e perdere parte dello stipendio. “Ho mandato 50 mail di sollecito, pec, ma nessuno mi ha mai risposto in merito. Domenica finalmente mi è arrivata la risposta, ma per mail, perché sul link che mi avevano dato per controllarlo non ho mai trovato scritto niente”, spiega.

N., che come G. ha effettuato il tampone a Fiumicino i primi di novembre, è ancora a casa. “Mi avevano detto che ci volevano tra i cinque e i 7 giorni, ma ne sono passati 15”. Si occupa della vendita di auto, e oltre a percepire uno stipendio fisso viene pagata a provvigioni. “Se vendo meno guadagno meno, per di più sono in malattia, quindi mi immagino di perdere anche dalla busta paga intorno ai 300 euro”, spiega. “Vivo con un’altra persona: all’inizio stavamo distanziati, anche se non ho mai avuto sintomi, né febbre ne perdita di olfatto. Dopo 10 giorni in cui ho dormito sul divano, al 12esimo mi sono rifiutata e sono tornata a letto”, racconta. “Quello che più mi fa male è l’impotenza di non poter fare niente. Purtroppo non riesci a parlare con nessuno: scrivi mille mail, esistono vari numeri ma nessuno risponde. Ho scritto anche al direttore generale della Asl ma è tutto inutile visto che siamo al 16 novembre e ancora non ho il referto”, dice. Adesso ha perso le speranze e ha deciso di effettuare un nuovo tampone presso un laboratorio privato di analisi cliniche sperando di ricevere un referto in tempo e tornare a lavoro.

Dopo giorni di silenzio, lunedì 16 novembre la direzione della Asl ha deciso di “scusarsi” comunicando di aver “avviato un’azione per un immediato riallineamento dei dati tale da consentire un sollecito ripristino della normalità nei tempi e nei modi di consegna dei documenti in questione”. La direzione aziendale avrebbe costituito una commissione per gestire questa situazione di emergenza, aprendo anche una procedura di indagine interna per appurare i motivi dei problemi riservandosi di prendere i “provvedimenti del caso”. Eppure resta la rabbia di chi, anche avendo ricevuto l’esito, ha trascorso due settimane in quarantena con disfunzioni psicologiche e lavorative. Così alcuni si sono mossi per chiedere un risarcimento. Come Codici, un’associazione di consumatori. “Stiamo predisponendo una diffida nei confronti della Regione Lazio”, ha annunciato Ivano Giacomelli, il Segretario Nazionale. “Siamo pronti a partire con le azioni legali per tutelare i cittadini”.

Si ringrazia Barbara Cerusico per aver denunciato i primi casi e aver creato il gruppo Facebook Esito Tamponi COVID19 – Lazio. È possibile rivolgersi a Codici e al gruppo Facebook per segnalare ritardi nell’esito dei tamponi.

Leggi anche: 1. Esclusivo TPI. La notte dei tamponi che imbarazza la sanità campana  2. A Milano mancano i vaccini, e a guadagnare è la sanità privata: “I pazienti in preda all’ansia pagano 60 euro per una dose in clinica” 3. Covid, l’annuncio di Pfizer: “Vaccino efficace al 90%, 15-20 milioni di dosi in arrivo entro l’anno” / 4. Liguria, Umbria, Abruzzo, Toscana e Basilicata passano alla zona arancione

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