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Lampedusa, l’ex sindaca Giusi Nicolini a TPI: “Oggi non è un giorno di memoria perché i migranti muoiono ancora”

Immagine di copertina

A sei anni dal naufragio del 3 ottobre 2013, l'ex prima cittadina parla a TPI del senso di questo anniversario

Strage di Lampedusa, l’ex sindaca Giusi Nicolini racconta a TPI del naufragio

Giusi Nicolini è la sindaca di Lampedusa che ha governato l’isola siciliana negli anni in cui, secondo l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, circa 20mila persone sono morte nel tentativo di attraversare il Mediterraneo per raggiungere l’Europa.

Nicolini era sindaca da un anno quando, il 3 ottobre 2013, 368 migranti persero la vita a ridosso delle coste di Lampedusa, nel naufragio che ha gettato i riflettori su un fenomeno fino a quel momento ignorato, perché non aveva ancora mostrato al mondo le sue vittime: i corpi dei morti rimanevano nei fondali del mare.

Il naufragio del 3 ottobre 2013 fu diverso da quelli precedenti perché tutti i naufraghi furono recuperati, e tutto il mondo poté vederli per la prima volta insieme nell’hangar del porto di Lampedusa, rinchiusi nelle 368 bare di legno in un’immagine che ha segnato l’inizio di una delle peggiori crisi umanitarie che l’Europa abbia mai vissuto.

Giusi Nicolini è tornata da poco dalla marcia alla “Porta d’Europa”, che ha riunito sull’isola alcuni dei 155 superstiti al naufragio del 3 ottobre, insieme alle organizzazioni umanitarie che in questi anni si sono occupate di soccorso e accoglienza, e agli studenti arrivati dalle scuole di tutta Italia per la cerimonia.

“Quella giornata mi ha segnato per sempre”, ricorda Nicolini. “La morte è sempre terribile. Anche nei mesi precedenti, anche quando ne moriva solo uno, l’incontro con la morte era già drammatico. Ma la morte di 368 persone è una cosa che ti sconvolge“, racconta.

“Il recupero dei corpi è durato giorni, i superstiti del naufragio li abbiamo trattenuti per oltre un mese perché dovevano essere presenti come teste, è stata una lunga fase di dolore, di lutto e d’impotenza”.

E spiega perché la strage di Lampedusa rimarrà impressa per sempre nella memoria di tutti.

“Ad oggi il naufragio del 3 ottobre non è ricordato come il più grande, quello di aprile 2015 è stato più tragico, con oltre il doppio dei morti e dispersi, ma la ‘particolarità’ di quell’episodio è stato il fatto di essere avvenuto a poche centinaia di metri dalla costa. È stato possibile recuperare tutti i corpi da mostrare al mondo, con tutte le 368 bare riunite nell’hangar”, spiega l’ex prima cittadina.

La strage ha reso materia i morti che fino a quel momento, nelle stragi precedenti, erano stati coperti dal mare”, continua.

“Sembrava che saremmo giunti a cambiamenti epocali dopo quello scempio, a cambiamenti delle politiche, ma dopo l’iniziale mobilitazione, è arrivato il peggio”, dice.

Nicolini si riferisce alla presa di coscienza che il governo italiano mostrò subito dopo la strage, varando a ottobre dello stesso anno l’operazione Mare Nostrum, che in un anno salvò più di 160mila migranti nel Mediterraneo.

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Nel 2015 fu sostituita da Triton, guidata dall’Unione Europea e condotta dall’agenzia per il controllo delle frontiere, in cui le attività di ricerca e soccorso diventarono marginali a quelle di controllo delle frontiere.

Poi l’aumento dei flussi nel 2015, il graduale rafforzamento delle politiche di chiusura, l’accordo tra Unione Europea e Turchia e quello con la Libia, i respingimenti in mare e l’eliminazione di presidi e testimoni dal Mediterraneo con l’attacco alle Ong. La criminalizzazione della solidarietà.

Eppure Lampedusa non si sposta dal mare“, ricorda Nicolini.

“Io lo so e gli altri lo sanno, anche se non lo dicono, che i flussi migratori non si arresteranno mai, i fenomeni che mettono le persone in fuga si accentueranno, dalla povertà ai disastri climatici. In tutto questo, Lampedusa continuerà a essere la prima isola di salvezza, almeno finché non si arriverà a governare i flussi migratori, a istituire delle vie legali di accesso all’Europa. Non so quanto dovremo aspettare, ma Lampedusa nessuno la sposta dalla carta geografica e dalla sua storia”, afferma.

Lei, nata e cresciuta a Lampedusa, negli anni in cui è stata sindaca ha reso l’isola modello di accoglienza, tanto da essere insignita di diversi riconoscimenti internazionali e del premio Unesco per la pace nel 2017.

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Ma alle ultime elezioni amministrative non è stata rieletta sindaca, quando il clamore delle stragi in mare aveva già perso momentum e i morti sono diventati la normalità. Di cui si parla per un po’ e poi non si parla più.

“Se le persone smettono d’indignarsi e iniziano a dare per scontato che una parte dell’umanità non ha diritto di muoversi e inseguire un progetto futuro, la più grande colpa è della politica”, afferma.

“Non solo la politica dei grandi, ma della politica in generale, che da troppo tempo strumentalizza e non finisce mai di strumentalizzare il fenomeno migratorio, che urla all’invasione quando gli arrivi diminuiscono e le morti aumentano. Quando l’Italia è l’ottavo paese al mondo, secondo l’Ocse, per emigrazione. Nel 2018 285mila italiani tra i 22 e i 40 anni sono andati via, mentre 2mila migranti sono arrivati“, precisa. E continua: “Fra un po’ bisognerà aprire i flussi perché abbiamo bisogno di gente”.

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“Ma c’è una responsabilità politica che mistifica e manipola le coscienze, di cui io stessa sono stata vittima, perché non sono stata rieletta. Nonostante tutto quello che abbiamo fatto, l’isola è terribilmente ripiombata indietro”, racconta, riferendosi ai modelli di sviluppo incompatibili con l’accoglienza che sono tornati a esistere a Lampedusa e in altri luoghi dove chi crede nella giustizia e nella sostenibilità è secondo lei in minoranza.

“Non sono stata rieletta nonostante abbia sempre agito nel segno della legalità e della giustizia, per promuovere un modello di sviluppo sostenibile, per distribuire il turismo. Ma su questi temi evidentemente siamo in minoranza su quest’isola”, dice.

“Qui e altrove prevalgono modelli di sviluppo fondati sul ciclo del cemento, attorno a cui si radicano interessi forti. Ma la sostanza delle cose è un’altra”, conclude.

Da quando non è più in carica, Giusi Nicolini non ha fatto altro che viaggiare per testimoniare la sua esperienza di sindaco di Lampedusa in Europa e nel mondo. Ora non ha piani precisi per il futuro, ma spera che il 3 ottobre del 2013 diventi nel tempo una giornata di memoria, e non di lotta.

“La mia più grande speranza è che questa giornata diventi di memoria, oggi invece è più di lotta che di memoria. Ricordiamo le 368 vittime, ma lottiamo ancora perché le persone non muoiano più. Spero invece che il 3 ottobre diventi solo un giorno per ricordare il passato, perché oggi i morti sono il presente”.

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