“Sulla strage di via D’Amelio troppi depistaggi, non avremo mai la verità”
A TPI parla Piero Melati, il giornalista e scrittore Piero Melati autore di "Per amore della verità", in cui ha dato voce ai figli del magistrato Paolo Borsellino e al loro dolore
Piero Melati, per anni giornalista a La Repubblica e vice-direttore de Il Venerdì di Repubblica, da sempre, sin da quando da giovane cronista de L’Ora seguiva i dibattimenti del Maxi processo, è abituato a trattare di temi siciliani. Lo fa spesso con apparente distacco e a volte con ironia proprio perché anch’egli siciliano, quasi a imporsi un controllo, ma anche con la profonda consapevolezza che la storia siciliana è più di ogni altra una storia italiana e come tale profonda e complessa, là dove il bianco e il nero difficilmente hanno ragione di esistere. Nel suo libro, “Per amore della verità” (Sperling & Kupfer, 240 pagine), ha dato voce ai figli del magistrato Paolo Borsellino e al loro dolore, soltanto di recente “gridato” da Fiammetta che ha voluto porsi, a partire dal 25ennale, come portavoce pubblica della famiglia. Melati ha voluto consegnare a TPI una riflessione su questo anniversario:
«Ce ne ricorderemo di questo trentennale delle stragi. Il primo ad avere sancito (a detta di tutti) che una verità giudiziaria sulla strage di via D’Amelio è ormai impossibile, tanto il depistaggio è riuscito a guastare i processi e tanto è stato il tempo colpevolmente fatto trascorrere. Tocca alla storia, dunque, cercare la verità. L’epoca delle aule giudiziarie come luoghi di un rito catartico, e dei pubblici ministeri quali alti sacerdoti celebranti, è finito per sempre. La verità, se esiste, è altrove e indossa altre vesti.
E ancora, è stato il primo anniversario che ha sottolineato la definitiva distanza tra il dolore dei figli di Borsellino, il senso di ingiustizia da loro provato e le ufficiali cerimonie di Stato che celebrano la figura del padre. Un capolavoro è dunque riuscito: si esalta a perenne memoria un “eroe della patria”, ma in assenza dei suoi diretti discendenti, che chiedono giustizia anziché vuote parole. Con via D’Amelio, nel rapporto tra famiglia della vittima e Stato, è stato bissato il caso Moro.
Infine, per la prima volta a proposito del caso Sicilia si sono provate strade “trasversali” di scrittura: non solo – come da tradizione – carte giudiziarie, documenti, rapporti, ma anche “indagini” sulla sfera privata, talvolta intima, di parenti delle vittime e testimoni. Tentativi non sempre riusciti. Ma che pongono una questione: in palese assenza di verità processuali, non è solo agli storici e ai giornalisti d’inchiesta che passa il testimone. Anche la letteratura dovrebbe giocare la sua parte. Non tanto per asservirsi a supremi valori civili o morali da poi divulgare, ma semplicemente per narrare il proprio tempo. In questo, in Italia, siamo ancora quasi all’anno zero».