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Strage 2 agosto, il Covid ferma la cerimonia ufficiale ma non i bolognesi: “Andiamo lo stesso in stazione per ricordare”

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Se non siete mai stati a Bologna il 2 di agosto, forse non sapete che esserci comporta uno sforzo eccezionale, sia fisico che morale. Mentre tutta Italia è già in ferie, sotto l’ombrellone, in piazza delle Medaglie d’Oro, alle 10.25, ci sono quaranta gradi d’ordinanza e nemmeno un filo d’ombra. Si sta in piedi per un’ora sotto il solleone dopo aver percorso a piedi il chilometro di via Indipendenza che dal centro conduce alla stazione. Anche se quell’ordigno, quarant’anni fa, non è esploso a bordo di un treno ma in una sala d’aspetto, quella bomba ha un’andata e anche un ritorno.

All’andata, scoppia nel mezzo del principale snodo ferroviario d’Italia, in un periodo di grande traffico vacanziero: è un sabato mattina d’estate e la stazione dei treni di Bologna è gonfia di valigie e di passeggeri, affollata di turisti e lavoratori. Al ritorno, riecheggia invece nel silenzio di questa città che è la sola, in tutta Italia, a non essere in viaggio, o già in spiaggia: al ritorno rimbomba in una generale, e quasi fisiologica, disattenzione. Due volte bastarda, perché i bolognesi, si sa, dopo il 1980 sono gli unici a non andare in vacanza prima del 2 agosto.

Se si considera la fatica, materiale ed emotiva, che comporta chiedere ininterrottamente per otto lustri verità e giustizia per le vittime di un attentato terroristico, sfidando omertà, depistaggi e – perché no – condizioni ambientali proibitive, la decisione di negare a Bologna – “causa Coronavirus” – il corteo che da Piazza Nettuno ha sempre raggiunto la stazione, appare davvero indecifrabile. Soprattutto se si pensa che più o meno nelle stesse ore la riviera romagnola, due passi più in là, si prepara a ospitare una Notte Rosa che proprio nell’estate della pandemia si è fatta settimana. Ma anche se si pensa all’impegno civico collettivo e alla solidarietà, espressa sempre responsabilmente, di chi, per tutto questo tempo, ha dedicato così profonde energie per sollecitare la memoria propria e quella altrui: come dire?, se in questa crisi sanitaria esiste una manifestazione che ha “le carte in regola per sfilare nell’assoluto rispetto delle norme anti-Covid”, si tratta sicuramente del corteo del 2 agosto.

Scrive Gigi Marcucci, a lungo giornalista dell’Unità a Bologna, su Globalist:”Impegno collettivo e solidarietà sono la premessa per affrontare l’emergenza, che essa si presenti sotto forma di bombe o di virus”. Eppure, proprio nel quarantennale, e proprio nell’anno in cui ci si avvicina, come mai prima, ad una verità definitiva sui mandanti della strage, questo 2 agosto rimane come congelato.

È come se su Bologna cadesse la neve d’estate: la coltre è cristallina e pura – nessuno pensa che dietro questa decisione ci siano ragioni “politiche” o una volontà precisa di smobilitare la città da qui in avanti – ma comunque l’effetto è quello di “coprire tutte le cose”, assorbendo o attutendo il rumore di fondo.

Il sindaco Virginio Merola parla di “scelta dolorosa”, ma condivisa da Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei parenti delle vittime. Quest’anno dunque, “all’insegna dell’atteggiamento più prudente possibile” la cerimonia si terrà solo in piazza Maggiore e a numero chiuso (i cittadini potranno prenotare online uno dei pochi ingressi disponibili, utilizzando gli stessi canali attraverso cui ci si accaparra un posto per assistere al Cinema in Piazza).

Tuttavia sabato 1 agosto, lungo via Indipendenza, prenderanno vita le “Stazioni della memoria” organizzate da Cantiere Bologna, le Cucine Popolari e il Movimento delle 6.000 Sardine. Una serie di eventi (con video testimonianze, esposizioni fotografiche e narrazioni itineranti) finanziati attraverso una raccolta fondi dal basso che per il 2020 si sostituiranno al corteo in una commemorazione social, più che civica. Mediaticamente rilevante, ma comunque minore: è più difficile portare nella piazza della stazione di Bologna il silenzio assordante di un intero Paese ferito che raccontare questi ultimi quarant’anni utilizzando come sfondo “la bellezza” ultra inflazionata della memoria.

E infatti qualcosa si muove anche al di là dei confini di questa società civile istituzionalizzata. Da settimane molti cittadini annunciano che ci saranno, anche questo 2 agosto. In stazione. Pacificamente, civilmente, in ordine sparso (ovvero in maniera non organizzata) e nel rispetto delle regole che la situazione sanitaria impone, ma comunque presenti.

Tra i primi a rivolgere un appello al Comune per non spegnere il rito laico del 2 agosto a Bologna, c’erano stati a luglio l’attore teatrale Matteo Belli, Agide Melloni (uno degli autisti dell’autobus 37 che che il giorno della strage trasportò i morti dalla stazione all’obitorio) e l’ex vicepresidente della Regione Emilia-Romagna Simonetta Saliera, ai quali si sono via via aggiunte molte altre persone comuni e diversi giornalisti, primo fra tutti Claudio Visani, che si è molto speso per tenere uniti i fili di questa mobilitazione non autorizzata che sottovoce tenterà di aggirare l’ostacolo Covid.

Il sentimento più diffuso, a leggere alcune discussioni online, è la paura del precedente. Scrive ad esempio Marinella: “Il timore più grande che nutro è che si ‘aproffitti’ di questa situazione per replicare nei prossimi anni alla stessa maniera, adducendo qualsiasi motivazione. Insomma si sta creando un precedente, a mio avviso, pericoloso”. Le fa eco Federica: “Sono interdetta! Abbiamo già cominciato a dimenticare?”.

Si torna insomma al punto di partenza: alla forza che ci vuole a rimanere in città quando ormai tutte le città sono vuote, all’ostinazione che devi coltivare per raggiungere una mattina di agosto una piazza esposta a est che è uno stradone di passaggio, non allestito per una sosta; al vincolo morale che devi nutrire per stare in piedi al caldo, in attesa che un treno fischi, di fronte a quell’orologio che è sempre fermo.

È un attimo, basta un attimo, per dirsi che non ne vale la pena, giustificare l’assenza, sentirsi liberi di essere altrove, per un motivo oppure per un altro. Proprio per questo, perché la strada della memoria è stretta e quella della negligenza troppo più comoda, è ovvio che domani, oggi, ogni 2 agosto, ci saranno sempre dei bolognesi nella piazza della stazione: quella strage non sarebbe stata il più grave massacro di civili compiuto nell’Europa del dopoguerra fino a quel momento, con 85 morti e 215 feriti, se quella bomba non fosse stata fatta scoppiare proprio in quella stazione – tra il Nord, il Centro e il mare – proprio nel mese più caldo di tutti.

Leggi anche: Quel ragazzo solo contro un Muro di Gomma: la storia di Ustica raccontata da chi, 40 anni fa, scoprì la verità. Intervista ad Andrea Purgatori

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