Così il lockdown sta cambiando il settore dell’editoria
Smart working e case editrici: come la cultura si adatta al lockdown
Un collegamento da remoto, uno al server, un portatile e il gioco è fatto. Una realtà ormai nota ai più, al tempo del Coronavirus: alcuni lo chiamano smart working, altri remote working, il succo in questa circostanza è che sei chiamato a lavorare, gestire Skype call, adempiere a lavori o coordinare persone da casa. Un conto è lavorare in autonomia, altro è entrare in sinergia con una squadra di lavoro che, in molti casi, ha scoperto soltanto in questa pandemia cosa significhi lavorare lontano dalla sede lavorativa.
Si affollano webinar, video corsi, guide su come gestire il lavoro in smart working, ma la verità è che ogni settore, ogni campo, ha una sua specificità e delle regole che non valgono per tutti gli altri. Le case editrici e il mondo della cultura risentono in maniera sostanziale degli effetti del Covid e, tra poco, dovranno fare i conti con la Fase 2, in larga misura somigliante a quella attuale.
Secondo l’Istat, lo stop agli eventi letterari interessa 2mila imprese. Il significato profondo di quanto accade prescinde da quanti o quali libri si acquistano in questo momento, con una crescita evidente del libro in formato digitale, ma da quanto sarà possibile, fattualmente, promuoverli e farli conoscere per mezzo delle principali fiere locali e nazionali che, in queste ore, stanno chiaramente annullando ogni iniziativa.
L’esposizione mediante le fiere, per tutti gli editori e in particolare per l’editoria indipendente, spesso si traduce in un incremento sostanziale del fatturato, perché implica visibilità, visite agli stand, workshop, presentazioni e firmacopie. Tutto questo è stato cancellato e chi, come chi scrive, lavora quotidianamente nel settore, deve reinventare piani editoriali e nuovi modi per coinvolgere il pubblico direttamente dal salotto di casa propria. Sparisce un’ulteriore parte di fatturato, di fatto, non quantificabile, ma non spariamo di certo noi e chi continua a sostenere la cultura.
La realtà per cui lavoro come responsabile della comunicazione online è una casa editrice storica nata negli anni ’80, la Dario Flaccovio Editore, con sede a Palermo. Ho sempre lavorato da remoto e in questa fase anche i miei colleghi, come tutti, sono chiamati a svolgere il proprio ruolo in quarantena. Significa impossibilità di incontro, facilmente superabile da telefonate su Skype, ma per tutti coloro che fanno parte della filiera, significa anche e soprattutto una mobilitazione attiva -da fermi- con gruppi di lettura, live, webinar, video corsi, fiere online.
La produzione letteraria non può e non deve fermarsi in attesa del ritorno di un equilibrio che probabilmente non verrà ripristinato. Certamente non a breve. Alcune timide riaperture delle librerie lasciano ben sperare, ma non è questo il punto. Il punto è che dal 21 febbraio 2020 tutto il settore ha modificato, di fatto, la propria natura. L’impossibilità di dare luogo all’incontro letterario non può e non deve frenare la cultura. La cultura è appannaggio di chi non può farne a meno, indipendentemente dai modi per accedervi.
La presa di coscienza dell’editoria non deve essere quella di uno sterile temporeggiamento in attesa che la situazione globale migliori, ma piuttosto quella di un cambiamento di approccio, di metodo, di realizzazione di ciò che è concretizzabile con ciò che si può fare davvero, qui ed ora. Investire nella cura degli e-commerce e nel content marketing è essenziale, oggi più che mai, non soltanto per gli operatori della comunicazione online e digital, ma per tutti coloro che lavorano a contatto con il pubblico o che sono chiamati a svolgere il proprio lavoro contando sulla proposta di prodotti e servizi.
Fermarsi adesso e rinunciare a questa grande opportunità sarebbe devastante. Le chiavi di casa le possiede il padrone, non l’ospite. Certamente non possiamo ancora aprire la porta, ma possiamo fare moltissimo anche dentro casa. Il Covid e internet probabilmente hanno questo in comune, ci danno l’insegnamento più grande, umanamente e fattualmente: i confini non esistono. E adesso lo sappiamo.
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