Silvia Romano, cosa sappiamo finora sul rapimento in Kenya della cooperante italiana
Le diverse piste, gli ultimi messaggi, i tasselli della procura di Roma: i punti fondamentali del misterioso rapimento di Silvia Romano avvenuto il 20 novembre 2018
Silvia Romano: la ricostruzione del rapimento in Kenya
Si chiama Silvia Costanza Romano la cooperante italiana di 24 anni rapita nella notte tra il 20 e il 21 novembre 2018 nel sud est del Kenya, a Chakama. A un anno di distanza ancora non è stata fatta chiarezza sul caso.
“Silvia Romano è viva”: le ultime notizie
Alla polizia di Nairobi, vengono formulate tre ipotesi sul rapimento: sequestro per ottenere un riscatto; sequestro per tapparle la bocca su accuse di pedofilia di cui sarebbe stata testimone a Likoni; sequestro per mettere a tacere un caso di molestie a Chakama, un villaggio nell’entroterra di Malindi.
I tasselli dell’indagine dei carabinieri del Ros, coordinati dal sostituto procuratore Sergio Colaiocco, sono legati all’analisi dei documenti messi a disposizione dei nostri inquirenti dalle autorità keniote nell’agosto scorso (con un certo ritardo), in particolare verbali e tabulati telefonici: la ragazza – questa ormai è la certezza dei magistrati italiani – si trova in Somalia nelle mani di un gruppo legato ai terroristi di Al Shebab.
A provarlo sarebbero anche i contatti telefonici captati tra gli autori materiali del rapimento, un commando di almeno 7 persone (sotto processo in 3), e loro contatti in Somalia, nei giorni subito successivi al 20 novembre, giorno del sequestro.
TPI ha intervistato il fondatore Onlus: “Avvertimmo Silvia che dopo un mese in Africa nessuno è tuo amico, ma non è un’irresponsabile”
SILVIA ROMANO: LA RICOSTRUZIONE
Ma facciamo un passo indietro, cercando di ricostruire la storia.
Silvia ha studiato presso la Unimed CIELS di Milano e ha lavorato come istruttrice di ginnastica artistica presso la S.G. Pro Patria, sempre a Milano. In Africa aveva fatto la volontaria nell’orfanotrofio della ORPHANS’s Dreams Onlus e lavorava per Africa Milele Onlus, con sede a Fano, nelle Marche: l’associazione si occupa di progetti di sostegno all’infanzia nel paese africano.
Silvia sceglie il Kenya perché a primavera del 2018 conosce a una cena di beneficenza Davide Ciarrapica, fondatore di Orphan’s Dreams Onlus, che le propone di andare a fare volontariato con i bambini.
Il 31enne di Seregno gestisce un centro per bambini a Likoni, un villaggio vicino a Mombasa. Silvia intravede la possibilità di fare qualcosa a favore dei più deboli. Così, il 22 luglio 2018 si imbarca per Mombasa con lui.”Resta all’Hopes Dreams Rescue Sponsorship Centre di Davide per un mesetto, poi va a Chakama.
“All’inizio Davide sembrava un’ottima persona e Silvia non è certo una ragazza che si lascia incantare dalle apparenze. Di solito, è sempre stata la più pragmatica tra noi, diretta, con i piedi per terra. Ho incontrato Silvia a settembre 2018, quando è rientrata a Milano: i suoi occhi sfavillavano dalla felicità”, racconta una persona molto vicino a Silvia Romano a TPI.
Il rientro in Kenya la seconda volta
In Africa la cooperante aveva trovato il suo posto del cuore e le avevano chiesto di tornare, l’avevano confermata. Il 5 novembre Silvia rientra in Kenya. All’aeroporto di Mombasa, la attende Ciarrapica. Insieme vanno a Likoni, lei ci resterà poche ore: a fine giornata torna a Mombasa e si ferma a dormire al Marigold (come testimoniavano i registri della guest-house, poi spariti).
La mattina dopo corre a Chakama, insieme a due nuovi volontari appena arrivati ad Africa Milele, la onlus per cui lavorerà. Ormai su Davide stava cambiando opinione. Ad un certo punto si è dovuta fare una piccola operazione per togliere un’infezione sotto l’ascella e Davide non le aveva neanche chiesto notizie sul suo stato di salute.
“Ci sentivamo spessissimo in quei giorni, ogni tanto adesso rileggo i WhatsApp o ascolto le note vocali per non dimenticare. Magari ci rispondevamo dopo ore, o il giorno dopo perché eravamo tutte e due molto impegnate, ma ci scrivevamo sempre”, spiega una fonte a TPI. Poi ricorda un episodio: “L’11 novembre Silvia mi racconta la storia del prete pedofilo per cui stava andando a testimoniare in commissariato. Quest’uomo aveva toccato decine di bambine a Likoni e Silvia non voleva stare zitta”.
Silvia Romano aveva visto atti di pedofilia su bambini di tre, cinque, dieci anni… Un pastore anglicano che in quei giorni si trovava a Chakama in qualità di prete e di commissario d’esame per la scuola, e veniva chiamato da tutti “Father”.
Silvia Romano, il rapimento
Nella notte tra il 20 e il 21 novembre 2018 la giovane volontaria italiana di 23 anni Silvia Costanza Romano è stata rapita a Chakama, nel sud est del Kenya. (Qui il suo profilo)
“Sto bene”. L’ultimo messaggio di Silvia Romano a una delle migliori amiche, il 18 novembre. “Mi chiedeva – spiega l’amica a TPI – se mi avessero ammessa al master a Roma. Poi più nulla. Preoccupata, le ho scitto il 20 e il 21. Il 21 ho scritto anche a Davide Ciarrapica, per chiedergli se sapesse qualcosa. “Si, ho saputo, ma non so niente”, questa la sua risposta”.
Alcuni uomini armati hanno fatto irruzione nel villaggio in cui la ragazza viveva aprendo il fuoco contro i residenti.
Cinque persone, tra cui due bambini di 10 e 12 anni, sono rimaste ferite nell’attacco terminato con il sequestro della volontaria italiana.
Secondo quanto riferito ai media internazionali da alcuni residenti, gli uomini che hanno attaccato il villaggio di Chakama erano pesantemente armati e parlavano tra di loro in somalo.
Per far luce sul rapimento, la procura di Roma ha aperto un fascicolo per sequestro di persona a scopo di terrorismo ed è in contatto con il governo del Kenya per ritrovare la volontaria italiana.
Silvia Romano, gli arrestati in Kenya per il rapimento
Sono stati gli stessi tre presunti rapitori a processo (Ibrahim Adhan Omar, libero su cauzione, scappato e ora irreperibile; Moses Lwali Chembe, a piede libero per aver pagato la garanzia; Abdullah Gababa Wario, in carcere) a confessare com’è nata la vicenda.
Reclutati da Said Adhan, l’uomo che avrebbe pianificato il sequestro, con lui hanno pattuito un compenso di 100 mila scellini (più o meno 890 euro). Said Adhan è stato per ben tre volte a Chakama e ha dormito nella guest house Togo, di fronte a quella dove abitava Silvia, affittata dalla sua organizzazione Africa Milele. Said Adhan, keniota di etnia somala orma, è attivamente ricercato dallo scorso gennaio, ma risulta scomparso.
Una delle sue mogli, Rukia, abita in un villaggio poco a nord di Malindi, Gersen, verso il confine con la Somalia: dice che il marito non si fa vedere da più di un anno. Proprio a Garsen hanno soggiornato in gennaio, cioè dopo il rapimento due volontari italiani colleghi di Silvia.
Gli imputati hanno poi confermato che a prelevare la volontaria italiana sarebbero stati in sette. Said Adhan, il capo, avrebbe caricato la ragazza in spalla e tutti assieme hanno guadato a piedi il fiume Galana, al di là del quale avevano lasciato due motociclette.
Quattro sono saliti in sella assieme a Silvia e si sono allontanati, dando appuntamento agli altri tre per l’indomani, e assicurando che avrebbero pagato il pattuito. Invece sono scomparsi, lasciando i tre complici a bocca asciutta.
Il presunto rapitore
Il 22 novembre polizia del Kenya ha identificato il presunto rapitore di Silvia Costanza Romano: secondo quanto riferito dal quotidiano keniota Daily Nation, che cita a sua volta fonti locali, si tratterebbe di Said Abdi Adan.
Malik Said Gasambi, un abitante del villaggio di Chakama in cui viveva Silvia Romano, ha raccontato ai giornalisti che Adan ha preso in affitto una casa nel villaggio insieme ad altre due persone qualche giorno prima del rapimento.
“Ho dato loro due stanze in cui hanno passato le notti a masticare Qat (pianta classificata come droga, nrd)”, ha raccontato l’uomo.
“Se ne sono andati a tutti, a sorpresa, dopo l’attacco, senza avvertire nessuno e senza fare rumore”, ha aggiunto.
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Gli audio
Novità sul caso Silvia Romano arrivano dal quotidiano online Africa Express, in un’inchiesta ripresa anche dal Fatto Quotidiano realizzata da Massimo Alberizzi, secondo il quale, dietro la scomparsa della 23enne in Kenya, ci sarebbero gravi carenze nelle indagini sulla cooperante italiana rapita a Chakama nel novembre 2018.
Ripercorrendo i mesi trascorsi in Kenya da Silvia, l’inchiesta mette in luce nuovi aspetti sulla permanenza della ragazza nel paese africano. Sulle ragioni alla base del sequestro ci sono tre ipotesi: ottenere un riscatto; tapparle la bocca su casi di pedofilia a Likoni; mettere a tacere un caso di molestie a Chakama.
Tra le varie tappe ripercorse dall’inchiesta, c’è il periodo in cui Silvia ha pernottato alla guest-house Marigold, nel centro di Mombasa. Silvia avrebbe dormito lì in più occasioni: una prima volta il 22 settembre e poi la notte tra il 5 e il 6 novembre, come risulta dai registri. Eppure Alberizzi rileva che in quella struttura la polizia che si occupa delle indagini non ha mai messo piede.
“Quando abbiamo saputo del rapimento della ragazza – ha raccontato il figlio della proprietaria della struttura – pensavamo di ricevere la visita di qualche investigatore, ci siamo meravigliati, non è comparso nessuno”.
La pista della denuncia per pedofilia
Si tratta naturalmente di una ricostruzione che andrà approfondita, ma la tesi del giornalista è che Silvia potrebbe essere stata fatta sparire in quanto a conoscenza di casi di molestie e pedofilia. Non vi sarebbe stata dunque alcuna volontà di ottenere un riscatto da parte dei sequestratori – tre dei quali sono peraltro in carcere -, bensì un preciso mandato da assolvere.
Una figura chiave potrebbe essere quella di Davide Ciarrapica, nella cui struttura – l’orfanotrofio di Mombasa – la giovane cooperante aveva deciso di prestare servizio dopo averlo conosciuto a una festa di beneficienza.
Ebbene, lì sarebbe stata testimone di “cose poco corrette e imbarazzanti” e di “atteggiamenti strani di Davide e il suo socio”. Cioè il figlio di un politico locale che, secondo un inquirente intervistato da Alberizzi, godrebbe in Kenya di “protezioni potenti”.
A gettare ulteriori ombre sulla vicenda è inoltre il ritrovamento di un audio WhatsApp in cui Silvia, nove giorni prima di scomparire, avrebbe raccontato di essersi recata dalla Polizia per denunciare un uomo, Francis Kalama, per “atteggiamenti equivoci nei confronti di alcune bambine”. Persona, anche questa, sparita nel nulla e mai arrestata come sarebbe stato promesso, invece, alla cooperante. Le gravi criticità riscontrate nelle successive indagini – documenti spariti, informazioni carenti – hanno poi fatto il resto, portando la situazione a una fase di stallo.
La pista somala
Silvia Romano “è stata costretta a indossare un niqab” che lascia scoperti solo gli occhi, e i rapitori “le mettono sul viso e sulle mani” del fango per non farla riconoscere. Lo hanno detto all’Ansa alcune fonti. I sequestratori le hanno tagliato le treccine con un coltello. I suoi capelli sono stati ritrovati domenica scorsa nella foresta a nord di Malindi.
“È naturale che i rapitori abbiano fatto questo, perché si trovano in una zona a prevalenza musulmana caratterizzata dalla presenza di tribù di origini somale, tra cui gli ‘Orma’ a cui appartengono i sequestratori”, ha specificato la fonte.
Silvia Romano sarebbe stata rapita da criminali comuni che, poi, l’hanno ceduta a un’altra banda, probabilmente i terroristi di al Shabaab e portata in Somalia. E le preoccupazioni di Sergi derivano proprio da questo. Le condizioni sul terreno, in questi mesi, sono precarie: piogge e alluvioni, che impediscono gli spostamenti, ma diventano condizioni ideali per i raid arei sulle postazioni dei terroristi. Ed ecco il ricordo del cooperante Giovanni Lo Porto, rapito in Pakistan da Al Qaeda, e vittima – “effetto collaterale” – di un bombardamento americano.
Poi vi è una nota di cronaca. Il processo ai tre degli otto membri della banda che ha rapito Silvia – Moses Luwali Chembe, Abdalla Gababa Wario e Ibraiam Adam Omar – è stato nuovamente rinviato, questa volta perchè Adam Omar, in libertà su cauzione e considerato l’uomo più pericoloso dei tre, non si è presentato all’ultima udienza, quella del 14 novembre. I giudici lo hanno dichiarato “formalmente” latitante.
Verità per Silvia Romano
Da quel 20 novembre 2018 si Silvia Romano si sa ben poco. Carabinieri, diplomatici e politici italiani restano in silenzio. Ma i famigliari e gli amici chiedono verità.