Le sigarette elettroniche aiutano davvero a smettere di fumare?
Sul nuovo numero del settimanale The Post Internazionale - TPI, in edicola da venerdì 22 ottobre, il dossier sulle e-cig e gli altri prodotti alternativi alle tradizionali "bionde"
I prodotti alternativi alle sigarette potrebbero essere utili alle persone che vogliono smettere di fumare ma non ci riescono. È questo il presupposto sulla base del quale la Food and Drug Administration (Fda), l’Agenzia statunitense responsabile della regolamentazione dei farmaci, ha annunciato di recente l’autorizzazione al commercio di tre prodotti legati alle sigarette elettroniche.
La notizia ha rianimato il dibattito tra i due fronti che si contrappongono sul tema dei “prodotti senza combustione”: i sostenitori del c.d. “principio della riduzione del danno” e la “linea dura” sul tabacco e sui prodotti analoghi. I primi sostengono che i prodotti alternativi alle sigarette possano essere utili ai fumatori che non riescono a smettere di fumare, i secondi ritengono che questi strumenti rischiano di produrre nuove generazioni di fumatori, o di far ricadere nel vizio gli ex fumatori.
Le differenze fra i tipi di prodotto
SIGARETTE ELETTRONICHE – Le sigarette elettroniche (dette anche e-cig) non contengono tabacco, ma un liquido a base di nicotina. Sono composte dall’inalatore (o cartuccia), che contiene la sostanza liquida da nebulizzare); da un atomizzatore, che scalda e vaporizza il liquido; e dalla batteria che alimenta l’atomizzatore.
SIGARETTE A TABACCO RISCALDATO – Il tabacco contenuto in questi dispositivi (in inglese Heated Tobacco Products, HTP) non viene bruciato, ma solo riscaldato, evitando di produrre combustione che avviene nelle tradizionali “bionde”. La sigaretta, inserita in un apposito bruciatore elettrico, viene scaldata ad alta temperatura (circa 350 gradi centigradi rispetto ai 900 della classica) ma non brucia direttamente. Il vapore generato dal riscaldamento della sigaretta contiene nicotina a concentrazioni elevate e altre sostanze nocive.
SNUS – Tra i prodotti alternativi alle sigarette tradizionali rientra anche lo Snus, il tabacco in polvere per uso orale, il cui commercio resta vietato in Ue, ad eccezione della Svezia. Qui un movimento popolare, durante la campagna referendaria del 1994, ha fatto sì che l’esenzione dal divieto della vendita di Snus fosse parte integrante del trattato di adesione all’Unione.
La “riduzione del danno” e la “linea dura” sul fumo
L’amministrazione statunitense, tramite l’Fda, ha sposato il c.d. “principio della riduzione del danno”, secondo il quale i prodotti alternativi alle sigarette, pur non essendo esenti da rischi, sono considerati “meno nocivi”, e in grado di aiutare chi ha una dipendenza dal fumo e non riesce a smettere. Ad adottare questo approccio già da anni è stato il Regno Unito, dove il Public Health England (Phe), l’Agenzia di consulenza e ricerca del Dipartimento della sanità e dell’assistenza sociale del governo britannico, sostiene la necessità di integrare le tradizionali politiche di lotta al fumo con l’adozione delle sigarette elettroniche come strumento fondamentale di contrasto a quelle tradizionali.
Non tutta la comunità scientifica, né tutti i Paesi occidentali, però, hanno adottato lo stesso approccio per raggiungere l’obiettivo della riduzione della percentuale dei fumatori, e quindi dei decessi per tumori legati al fumo. «L’Oms e l’Ue chiedono l’astinenza dal fumo, che è il risultato ottimale a cui puntare, ma che trascura il collegamento tra astinenza e dipendenza», dice a TPI Heino Stöver, professore dell’Università di scienze applicate di Francoforte e convinto sostenitore del principio di riduzione del danno. «Molte persone non vogliono o non riescono a raggiungere questo obiettivo, non tutte sono pronte a rinunciare al fumo ogni giorno o in ogni fase della loro vita», spiega. «Serve una certa preparazione per farlo, per questo è necessario limitare i danni».
«L’approccio della riduzione del danno ha funzionato molto bene negli anni Ottanta e Novanta per le persone tossicodipendenti, col metadone in alternativa all’eroina, garantendo di salvare vite umane», riconosce Silvano Gallus, ricercatore a capo del laboratorio di epidemiologia degli stili di vita dell’Istituto per le ricerche farmacologiche Mario Negri. «Ma questa strategia non è applicabile al tabacco per vari motivi. Tra questi, il fatto che sono le stesse aziende che producono sigarette tradizionali a produrre le sigarette elettroniche, quindi possono far aumentare o diminuire il prezzo dei prodotti, spingendo i consumatori verso l’uno o l’altro. Inoltre, il metadone all’epoca veniva consumato solo da coloro che erano dipendenti dall’eroina, invece oggi vediamo il contrario: sono proprio i giovani non fumatori o chi ha smesso di fumare da tempo che si approcciano a questi prodotti. Infine, i consumatori di sigaretta elettronica spesso sono consumatori duali, cioè fanno uso sia della sigaretta elettronica sia di quella tradizionale». Per questo, l’approccio corretto, secondo il ricercatore, è quello della “linea dura” tenuta finora dall’Ue.
«Tutti i prodotti alternativi alle sigarette contengono nicotina, un fattore importante di tossicità per le malattie cardiovascolari, quindi restano in ogni caso nocivi», sottolinea il professor Silvio Garattini presidente onorario dell’Istituto Mario Negri. «Inoltre, la nicotina produce dipendenza, e questo va a vantaggio dell’industria del tabacco».
I colossi del tabacco
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