Shoah Party: video e foto a sfondo nazista e pedopornografico scambiati su una chat tra minorenni
Shoah Party: la chat in cui minorenni si scambiavano video e foto di violenza nazista e pedopornografici
Avevano tra i 13 e i 19 anni: 25 in tutto i ragazzini stati coinvolti in un’inchiesta partita da Siena per una chat chiamata “Shoah Party”, in cui i ragazzini si scambiavano video di violenze naziste e anche a sfondo pedopornografico.
Nella chat i protagonisti si mandavano di tutto: inneggiavano a Hitler, a Mussolini, all’Isis e postavano frasi contro migranti ed ebrei. La chat era diffusa in tutta Italia, ma l’inchiesta parte dalla Toscana, da Siena, sotto il coordinamento della procura dei minori di Firenze.
Scattate le perquisizioni in Toscana, Piemonte, Lazio, Campania e Calabria. Pare che tra i ragazzini coinvolti ci fossero anche dei 13enni, non imputabili per la loro età. Secondo gli investigatori, quelle scambiate sulla chat Shoah Party erano foto di “violenza inaudita”.
Scambiavano video a luci rosse, immagini pedopornografiche, scritte inneggianti a Adolf Hitler, Benito Mussolini, all’Isis e postavano frasi choc contro migranti ed ebrei. A scatenarsi per mesi su WhatsApp è stato un gruppo di ragazzini italiani, che avevano creato una chat dell’orrore intitolata ‘The shoah party’ che da Rivoli, alle porte di Torino, avrebbero diffuso in tutta Italia foto di “una violenza inaudita”, “scene di brutalità inenarrabile”, secondo gli investigatori.
Tutto è partito dalla denuncia di una madre che, a gennaio scorso, è andata dai carabinieri per denunciare di aver trovato nel cellulare del figlio di appena 13 anni dei video pedopornografici. A quel punto è scattata l’indagine, che vede coinvolti 25 ragazzi, 16 minorenni, tra i 13 e i 17 anni, e 9 maggiorenni tra 18 e 19 anni. I 25 ragazzi sono residenti in 13 province diverse.
La Procura per i minori di Firenze indaga tutti (tranne i sei di età inferiore ai 15 anni) per detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico, istigazione all’apologia di reato avente per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali.
“Se non fosse stato per quella denuncia della madre a gennaio l’indagine non sarebbe partita né a Siena né altrove. Perché un gruppo WhatsApp non conosce confini e quell’espressione degradante di malcostume ha interessato molte regioni d’Italia. Moltissimi ragazzini hanno potuto osservare le immagini di pedopornografia, di enorme violenza, di apologia del nazismo e dell’islamismo radicale che vi erano contenute”, hanno spiegato i carabinieri.