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Home » Cronaca

“Lucarelli, prendi ca**i dai neg*i”: la triste lezione di quei due youtuber ora condannati per diffamazione

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Il 10 agosto 2017 ero in India, su un’automobile che da Bikaner mi portava a Jaisalmer, durante uno dei viaggi più belli che abbia mai fatto. Guardavo distrattamente il telefono per vincere l’ansia di un tragitto faticoso, di quelli che solo chi conosce le strade indiane può comprendere. Mucche, persone, mezzi di trasporto improbabili, oggetti non identificati e mandrie di qualunque cosa sono ciò in cui ci si imbatte sulla strada, in India, ad ogni curva e rettilineo. Trovo il messaggio di una sconosciuta, con un link a un video su Youtube: “Hai visto cosa dicono di te questi due youtuber? Ti prego denunciali!”.

Io non conoscevo quei due youtuber. Non li avevo mai sentiti nominare. Ero in vacanza, scrivevo pochissimo, i social li guardavo la sera, prima di addormentarmi o nei tempi morti della vacanza, cioè mai. Si chiamavano Arcade Boyz, ai tempi 200.000 follower, non pochi. Il loro mestiere non mi era chiaro, la home era una specie di minestrone di video con frasi volgari o aggressive in evidenza, rivolte soprattutto a rapper. Poi, leggendo il titolo col mio nome, capii.

Il giorno prima avevo fatto una battuta ironica sul rapper Gue Pequeno, che aveva pubblicato per sbaglio una sua foto intima su Instagram. Nulla per cui Gue Pequeno se la fosse presa, anzi, ricordo anche un suo like o una sua risposta spiritosa su Twitter. I due youtuber novaresi, che nella vita si chiamano Eduardo Turco e Daniele Fadda e che ai tempi avevano ampiamente superato l’adolescenza (oggi hanno 32 e 38 anni), mi dedicavano 10 minuti di insulti osceni, sessisti, volgari con la seguente premessa scritta: “Facciamo satira con la libertà di espressione garantita dall’articolo 21 della Costituzione. Questi video hanno scopo di intrattenimento. Chiunque non capisca questo genere di COMICITÀ è PREGATO DI NON GUARDARE”.

Dunque, erano convinti di essere Louis C.K.. Apro il video e non credo a quello che sento. Per fortuna l’autista era indiano, perché se avesse ascoltato capendo quello che dicevano i due lord, mi sarei vergognata. Premettevano che erano usciti dei loro gadget e ne approfittavano per farsi un po’ di pubblicità. Poi passavano a me. Dicevano, ridendo, che avevo fatto una battuta sul rapper Gue che manda video hot, Eduardo aggiungeva divertito che lui mandava video alle sedicenni già quando non era mainstream. E già qui.

Passavano a me: “Selvaggia Lucarelli che cazzo parli, a fare la buonista. (…) Ora mi arrivano le denunce. Vieni a papparci sui nostri modesti angeli visto che parli tanto, così ti si congela la faccia dalla bamba e non parli più. (…) Per me non scopi perché non sei la figa che ti credi. Ogni volta che c’è una foto di cazzi, fighe, porno ci sei in mezzo te. Dai 20 euro a un negro e te la fai trapanare anche te, almeno smetti di romperci i coglioni. Vuoi vedermi il cazzo? Se vuoi te lo faccio vedere così ti levi ‘sto sfizio, hai rotto il cazzo. Stai sul tuo blog di merda, hai rotto il cazzo”.

Poi facevano un breve inciso, riferito al programma tv Blob, perché per parlare di nuove destre aveva usato del materiale già mostrato da loro e già che c’erano aggiungevano: “Parliamo di comunismo e di questi 6 milioni di morti che poi non s’è mai capito…”. L’Olocausto, che non si è mai capito, certo. Tornavano poi a parlare di me: “Buonista, dillo apertamente, gli uomini se mi devono rimorchiare devono avere una verga così. Fai uno status: ‘Mi piacciono le nerchie enormi, dillo, mi piacciono i cazzi grossi, dillooooooooooo, sono sempre in mezzo ai gossip che parlano di cazzi, porno, rubo filmati, mi piacciono perché non mi chiava nessuno!'”.

Nel frattempo ridono, si spanciano. Del resto è satira, l’hanno premesso. E ancora: “Questa ha la mia età, è una madre!”. “Mamma mia, sua madre è molto più fregna, te lo dice uno che di frega ci capisce e infatti a te non ti ho mai cagato di striscio, fatti due domande. Fa anche le foto da figa, si sente sto cazzo”. “Pensa alla masturbazione tua così non caghi il cazzo agli altri, di cazzi ne capisci, chiudi quella cazzo di bocca, pensa ai cazzi che hai preso tu che se non ti sposavi il figlio di Pappalardo non avevi manco i 4 soldi che c’hai adesso. Questa ce l’avevo sul cazzo da sempre aaaah. Ci vediamo a settembre con tante denunce in più, Blob osservati la minchia, non le nuove destre!”.

Infine, rivolti ai loro follower: “Ragà, ci siamo dimenticati… parte l’hashtag #pippamisulcazzo oppure #pippamisullaugello sotto la foto di Selvaggia Lucarelli o sotto il suo ultimo status. Guardando i commenti alle mie foto, scoprivo che centinaia di ragazzini erano arrivati a insultarmi con quegli hashtag. “Puttana”, “troia”, “muori”. A quel punto, sconvolta, mentre ero in vacanza, mentre stavo facendo uno dei viaggi più belli della mia vita, ho dovuto scrivere al mio avvocato. Cercare i nomi dei due, le residenze, concordare con il mio legale che procedimento avviare. Vista la gravità della cosa, abbiamo scelto di procedere sia per via penale che civile.

Ho annunciato che avrei querelato, i due hanno messo il carico, mi hanno derisa, uno dei due scriveva commenti provocatori sulla mia pagina Facebook, della serie “vedremo”, mi davano dell’arrogante, mi proponevano addirittura di fare dei botta e risposta su Youtube, pensando che tutto questo potesse essere divertente e pubblicità per entrambi. Ho mandato giù tutto, compreso il fatto che dopo un po’ di tempo, arrivata la querela a entrambi, i due abbiano fatto un nuovo video rincarando la dose e che comunicassero che tanto gli avvocati nel mio procedimento glieli mettevano a disposizione i due rapper più famosi. Avvocati che in effetti, con mia incredulità, li hanno difesi.

Non riassumo la difficoltà dell’iter, anni senza avere notizie dalla Procura, notifiche andate a vuoto, energie e soldi investiti. Se non fosse stata una questione di principio e di giustizia, avrei mollato. Se non avessi avuto ben chiaro che non si lasciano impuniti due soggetti così, mi sarei arresa. Invece io e il mio avvocato Lorenzo Puglisi non abbiamo mollato. Abbiamo letto gli argomenti della difesa, la difesa che sosteneva che quello fosse diritto di critica, che i loro erano paradossi e metafore surreali, iperboli. Iperboli. Come no. Che loro, poveri, traevano guadagni modesti da quei video.

Ho atteso in silenzio. Nel frattempo ho assistito con stupore ad altre performance simili dei due, intervallate da cose stupefacenti: i due che raccontavano di andare nelle scuole a parlare di bullismo, i due – perfino – assieme al sindaco di Novara Canelli che va da loro in studio due settimane fa e che si fa intervistare dal duo. Insomma, sono pure interlocutori. Ero di nuovo in vacanza, giorni fa, e scopro che è arrivato, dopo tre anni, il decreto penale che li condanna a pagare 3.000 euro a testa. Non a me, per il risarcimento a me c’è il procedimento civile che spero arrivi presto a sentenza.

È una sanzione, quindi viene riconosciuto il reato di diffamazione. Non dico nulla. Con stupore – ma forse dovevo prevederlo – parlano loro. Naturalmente in un video sul loro canale, così fanno views. Ma non solo. E qui arriva il bello. I due, con l’aria dei cani bastonati, raccontano che purtroppo sono stati condannati, che hanno sbagliato PERCHÉ dovevano capire che io non sono del loro giro e che il dissing è solo per chi lo capisce. Quindi non è che chiedano scusa perché hanno semplicemente fatto schifo, no, è colpa di due registri diversi che non si sono capiti. Certo, quello della diffamazione e quello del mondo civile.

Ma l’acme arriva dopo: loro, poverini, non hanno soldi. Hanno 32 e 38 anni, uno studio di produzione musicale, 400.000 follower, ma non hanno un euro. Non possono pagare 3.000 euro a testa. “Dobbiamo trovarli entro pochi giorni, Edo è pregiudicato, sennò si va in galera, come facciamo”, dicono. A parte che il procedimento era in piedi da tre anni quindi potevano iniziare a mettere qualcosa da parte, a parte che le cose non stanno esattamente così (non si va in galera e le scadenze non sono improrogabili), stupisce che a quasi 40 anni i due, se non guadagnano con milioni di visualizzazioni all’attivo, non vadano a lavorare come gli altri. Tanto più che in diversi video raccontano una storia un po’ diversa, ma sorvoliamo.

Quando hanno finito di impietosire i loro follower parlando di stipendi da fame e di antichi pensieri suicidi (giuro), arrivano dritti al punto: chiedono soldi ai follower. Avviano una raccolta fondi per pagare la sanzione. In pratica, non si assumono non solo la responsabilità morale, ma neppure quella economica di aver diffamato, insultato una donna, urlato in video che deve prendere i cazzi dei negri. C’erano pomodori da raccogliere nel foggiano e forse anche nel novarese per pagare il loro debito con la giustizia, volendo, ma se ci sono i fan cretini che ci cascano chi ce lo fa fare. Ed è così, presumo, che danno lezioni sul bullismo nelle scuole: insultate, tanto poi pagano i fan. Quei fan in buona parte giovanissimi che anziché dire “Beh, da quando si finanziano gli hater?”, hanno donato chi 1, chi 20, chi 50 euro.

E tra l’altro mi sono arrivati nuovi insulti della serie “Ma non ti vergogni a chiedere soldi in giro, puttana?”. Perché i due hanno giocato anche sull’equivoco che i 6.000 euro fossero per me. Comunque, sanzione pagata dagli altri, un’occasione di imparare e insegnare qualcosa persa. Ora attendo la condanna in sede civile che spero sia cospicua, visto che tanto non pagano loro (spero che il giudice ne tenga conto)

. Chiudo questo lungo racconto dicendo che tornando indietro, nonostante le difficoltà, l’investimento economico e lo squallore a cui ho assistito anche sul finale, ne è valsa la pena. E specificando che il risarcimento che mi arriverà non sarà devoluto in beneficienza. Mi merito ogni singolo euro, per lo schifo che ho subito e per la tigna che ho avuto. E ai due ho solo una cosa da dire: andate a lavorare, se Youtube non vi dà da mangiare, anziché chiedere soldi ai ragazzini. Nel mondo delle persone perbene si usa così, provate a frequentarlo.

Leggi anche: 1. “Tachipirina e bottiglia gelata sulla fronte”. La ragazza che elude i controlli in Sardegna e sale sul traghetto con la febbre / 2. “Tutti sapevano”, ma nessuno si è fermato: così la Sardegna è diventata il nuovo focolaio d’Italia (di Selvaggia Lucarelli)

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