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Home » Cronaca

Sea Watch, la testimonianza: “Tornare in Libia? Meglio morire”

Immagine di copertina
Credit: Twitter Sea Watch

Sea Watch testimonianza migrante Libia  – “Preferirei morire invece che tornare in Libia. Preferirei dare la mia vita ai pesci invece che essere di nuovo torturato”. Sono le parole di Herman, una delle persone a bordo della Sea Watch 3, la nave della ong tedesca che nei giorni scorsi ha salvato 53 persone al largo della Libia. L’imbarcazione si trova nelle acque a sud di Lampedusa, considerata dall’organizzazione umanitaria il porto sicuro più vicino al punto in cui sono stati salvati i migranti.

“Vorrei chiedere a tutti una cosa semplice: chi non vorrebbe essere libero nella sua vita? Chi vorrebbe soffrire per tutta la sua vita? Se oggi ci troviamo in questa situazione non è perché noi vogliamo esserci, ma perché ci siamo ritrovati”, dice l’uomo in un video pubblicato su Twitter dalla ong tedesca.

“Vorrei inviare un messaggio al ministro dell’Interno tedesco: per favore, pensi alle nostre condizioni. Non è umano lasciare le persone morire in mare. Quelli che ci aiutano, che ci salvano, non sono criminali: salvano le nostre vite. Ci pensi, siamo tutti figli dello stesso Dio, dovremmo vivere insieme come amici, come fratelli. Dovremmo vivere le nostre vite come voi. Anche noi abbiamo diritto alla libertà come tutti gli altri”.

Sea Watch testimonianza migrante Libia – Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha firmato un divieto di ingresso, transito e sosta nelle acque italiane rivolto alla nave Sea Watch 3. Il divieto deriva dalle misure contenute nel Decreto sicurezza bis che, anche se con la firma del Ministro della difesa e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, permette al ministro dell’Interno di vietare l’accesso, il transito e la sosta alle navi per motivi di sicurezza.

>Leggi anche: L’Italia dei porti chiusi ha causato la morte di almeno mille uomini, donne e bambini

Salvini aveva chiesto di riportare tutte le persone a bordo della Sea Watch, definita “una nave pirata”, in Libia, che non è considerato un porto sicuro e dove è in corso una guerra civile.

>Leggi anche: Chi controlla davvero i centri di detenzione in Libia, dove i migranti vengono torturati e stuprati
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