“La scuola non è un parcheggio per minori, servono decisioni dal governo”, la lettera degli insegnanti del Mamiani di Roma
TPI riceve e pubblica una lettera condivisa da una sessantina di docenti del liceo Mamiani di Roma in merito alle linee guida del Ministero sulla scuola
L’emergenza sanitaria che ha colpito l’Italia ha messo in luce alcune endemiche fragilità del nostro paese, non essendone di per sé la causa. Il settore della sanità è stato in questi mesi giustamente protagonista di indagini e riflessioni da parte dell’opinione pubblica, ma ora che la prima fase dell’epidemia è in calo ci sembra necessario che il Paese accenda i riflettori sul problema della scuola pubblica, su cui da troppo tempo pesa il disinteresse tipico dei paesi sottosviluppati. Da decenni infatti essa è vittima non solo di scarsi finanziamenti o tagli, ma di una totale mancanza di visione, di cui è prova la debolezza della posizione dei ministri che si sono succeduti, nelle dinamiche di potere dei diversi governi.
In questi mesi poi la lentezza delle decisioni, la affannosa corsa sempre in ritardo, il silenzio colpevole di tutta la società civile, al di là dei proclami di grande efficienza, hanno confermato che la scuola in Italia non è una questione centrale, mentre secondo la nostra Carta costituzionale dovrebbe essere il primo strumento in cui si costruiscono libertà, dignità e uguaglianza tra cittadini.
Di tale uguaglianza è garante e responsabile il governo a cui noi tutti abbiamo affidato la tutela dei diritti costituzionali. Noi docenti e i nostri dirigenti abbiamo il dovere di mettere in atto concretamente, ciascuno nella sua funzione, le direttive che solo a livello nazionale possono essere emanate.
La scuola è innanzi tutto un luogo fisico di incontro, in cui a poco a poco sempre più consapevolmente si diviene donne e uomini cittadini. È un luogo separato dalla casa e dalla famiglia, dove si cancellano le disuguaglianze e si cresce nutrendosi del libero, quotidiano confronto. La lezione non è un contenuto, ma un’interazione di sguardi, emozioni, voci, è una battuta e una semplificazione, è una domanda e una provocazione, è una linfa vitale che passa necessariamente attraverso corpi e spazi condivisi. Per questo e per tanto altro la scuola a distanza può essere solo un palliativo necessario nella fase della prima emergenza più acuta, essa non elimina le disuguaglianze sociali e culturali, ma le accentua dolorosamente, come sa bene chi l’ha scrupolosamente praticata in questi mesi.
Se dunque vogliamo che la scuola di stato non sia un parcheggio per lasciare minori altrimenti incustoditi o un inutile dovere, ma un diritto fondamentale per il futuro dei nostri giovani e, dunque, del nostro paese chiediamo al governo di intervenire subito in merito ad alcune decisioni concrete: formazione di tutte le prime classi di ogni ordine e grado abbassando il numero degli studenti a 18/20; eliminazione di tutti gli accorpamenti delle classi intermedie già decisi; istituzione immediata di un tavolo permanente tra Istituzioni locali, dirigenti, responsabili della sicurezza degli edifici scolastici per la pianificazione di spazi in cui le classi numerose possano essere divise per svolgere in parallelo differenti attività didattiche interscambiabili e non attività alternative, in modo da preservare l’unità effettiva del gruppo-classe; individuazione di spazi aggiuntivi il più possibile contigui territorialmente alle scuole per i nuovi gruppi classe in esubero; stanziamento di risorse per combattere il digital divide e per la creazione di una piattaforma ministeriale efficiente; distribuzione dei fondi non a pioggia, ma in base alle effettive richieste e necessità delle singole istituzioni scolastiche. Queste possono essere alcune concrete premesse per una effettiva e proficua riapertura della scuola intesa come organo costituzionale e fondante di un paese civile.
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