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Migranti, sta arrivando l’estate. Restiamo umani e pensiamo due volte prima di parlare

Immagine di copertina
Credit: Valerio Nicolosi

Come può essere “Porto Sicuro” un Paese in guerra dove si torturano le persone? Questa domanda sembra retorica e invece è solo l’ultimo capitolo che riguarda i migranti e quello che avviene ormai da anni nel Mediterraneo Centrale.

Haftar, Al Serraj, Salvini e Sea Watch sono i protagonisti della storia. Haftar e Al-Serraj sono i “Presidenti” delle due Libie. Quella di Tripoli supportata dall’Italia e quella della Cirenaica supportata da Francia, Egitto e Arabia Saudita.

In mezzo ci sono oltre 600 morti e circa 300 feriti dall’inizio dell’offensiva di Haftar nei confronti di Tripoli e, stando ad un rapporto di Medici Senza Frontiere della scorsa settimana, le persone interessate dal conflitto sono circa 100mila, di cui 3mila sono migranti bloccati nei centri di detenzione. Un Paese in guerra tanto che il sito della Farnesina afferma: “Si ricorda che i viaggi sono assolutamente sconsigliati in ragione delle precarie condizioni di sicurezza del Paese”.

Gli altri due protagonisti di questa storia sono il Ministro dell’Interno Salvini e la ONG Sea Watch, armatrice della nave Sea Watch 3. Il primo come una cantilena ripete da più di un anno “i porti sono chiusi”, nonostante i numeri e la cronaca dicano altro. Infatti ogni settimana in Italia ci sono sbarchi di piccole imbarcazioni provenienti dalla Tunisia e dalla Turchia che approdano a Lampedusa, in Sicilia e in Calabria.

Piccoli numeri, qualche decina di persone, che prendono il mare e riescono ad arrivare in Europa senza che nessuno li veda e li intercetti.

Oltre a queste situazioni ci sono gli ultimi tre casi della SAR (Search and rescue area) delle navi umanitarie quando Mediterranea e Sea Watch hanno “forzato” lo sbarco sulle nostre coste, non rispettando gli ordini delle autorità italiane per questioni umanitarie.

Episodi che il ministro Salvini non ha preso bene, tanto che lo sbarco della Sea Watch è avvenuto proprio mentre il segretario della Lega si trovava in diretta tv e continuava a ripetere: “i porti sono chiusi”. E poi c’è proprio la Sea Watch, una delle ultime ONG rimaste ad operare nel Mediterraneo Centrale cercando di salvare le persone che scappano dal Paese dei due Presidenti e dalla torture che anche le Nazioni Unite hanno constatato e denunciato.

Il nodo è il “porto sicuro”, quello che le leggi internazionali regolamentano in modo molto preciso, ovvero un luogo dove i diritti delle persone che vengono sbarcate vengano riconosciuti e dove le persone stesse non siano in pericolo.

Secondo Salvini, Tripoli è un porto sicuro: nonostante le denunce e i report delle Nazioni Unite, nonostante i combattimenti, nonostante il sito del Ministero degli Esteri italiano dica il contrario.

Per la prima volta nella storia il Centro di Coordinamento Libico oggi, 13 giugno 2019, ha chiesto a una nave europea di portare le persone indietro, smentendo quello che la Guardia Costiera Libica aveva affermato lo scorso gennaio, con il comunicato del suo portavoce Ayoub Qassem: “Non siamo in grado di coordinare un soccorso effettuato da un assetto europeo”.

Non è un caso però che proprio in questi giorni, con l’approvazione del Decreto Sicurezza Bis sia partita una nuova campagna contro le ONG. Proprio ieri Salvini, dopo il soccorso effettuato dalla Sea Watch, ha definito le ONG “come scafisti”. I dati e i numeri sono questi ma ovviamente non verranno presi in considerazione.

Inizierà un nuovo tira e molla e a farne le spese saranno le 52 persone salvate dalla nave umanitaria che staranno ore, forse giorni o, nella peggiore delle ipotesi, più di una settimana in attesa della possibilità di sbarco in qualche Paese del sud Europa.

Prima inizierà la trattativa tra i Paesi “volenterosi”, sicuramente arriveranno le disponibilità delle comunità religiose che saranno pronte ad accogliere i 52 migranti, intanto i politici italiani continueranno a parlare di “navi pirata”, sentiremo di minacce di affondare la nave, di arrestare l’equipaggio.

In mezzo 52 persone che dovrebbero essere distribuite in 28 Paesi che, facendo un facilissimo calcolo sono 1,85 persone per ogni Paese. Numeri irrisori dove dietro ci sono persone che probabilmente sono in viaggio da almeno due anni, durante il quale hanno subito torture e stupri, ricatti a loro stessi e alle loro famiglie.

Le pratiche ormai le conosciamo, ma sui migranti c’è una perenne campagna elettorale che troppo spesso distrae dal dibattito interno e dalle mancate promesse di un governo che frequentemente fa annunci ma poi è distratto nell’attuazione degli stessi.

Reddito di cittadinanza, Flat Tax, quota 100, taglio delle accise e, in questi giorni più che mai, il cambiamento dell’Europa. Tutte cose che si sono perse per strada o che sono passate dalla teoria alla pratica con le stesse proporzioni dell’elefante che partorisce il topolino. Però sui migranti no, non si fa un passo indietro. Dovessero perdere qualche voto e guadagnare un po’ di umanità.

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