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Coronavirus, la Rsa di Cremona che conta zero contagi: “Gli altri sconsigliavano le mascherine, da noi obbligatorie fin da subito”

Immagine di copertina
Il dottor Bruno Corradi e la Rsa Guerreschi di Capralba, in provincia di Cremona

Dunque “Si. Può. Fare!”, avrebbe detto Gene Wilder in quel capolavoro che è “Frankenstein Jr.”. Nella disfatta della Sanità lombarda ai tempi del Coronavirus spicca una lodevole quanto macroscopica eccezione: è quella della Rsa Guerreschi di Capralba, in provincia di Cremona. “Una quarantina di ospiti” e (a quanto si sappia) nessun caso di Covid-19 riscontrato. Nonostante nella zona del Cremasco, così come in molte altre case di riposo per anziani, il virus dilaghi. Qual è dunque il segreto di questa virtuosa struttura? Abbiamo chiesto lumi al dottor Bruno Corradi, specialista nefrologo in pensione che dal 2018, insieme con un altro medico, si occupa stabilmente della Guerreschi.

Dottor Corradi, ci aggiorna sulla situazione lì da voi?
“A oggi abbiamo soltanto un caso sospetto fra gli ospiti; un paziente già isolato che verrà sottoposto a tampone. E un sanitario che è a casa in malattia e anche lui sarà tamponato. Potrà tornare al lavoro dopo l’esisto e comunque quando sarà giudicato non più potenzialmente contagioso. Qui lavorano complessivamente 20-25 persone”.

Quindi avete fatto tamponi a tappeto?
“No, assolutamente. Perché la AST di Crema con una circolare arrivata solo il 2 aprile ci ha consentito di farlo a degenti e personale. Hanno in parte cambiato la politica, in Regione. Prima chiedevamo ma ci veniva negato: lo potevano fare solo gli operatori sanitari con sintomi e i pazienti ricoverati in crisi respiratoria”.

Quindi come potete dire con certezza che lì da voi non ci siano positivi?
“Lo sappiamo perché da noi ci sono state solo due polmoniti, curate con normale terapia antibiotica, che anche dalle lastre non indicavano le tipicità del Covid-19”.

Come si spiega il fatto che voi, fra le Rsa, siate così virtuosi rispetto ad altre?
“Ci sono molti validi motivi che risalgono agli inizi della pandemia. In tante strutture hanno fatto il contrario di ciò che abbiamo fatto noi: all’arrivo dei patenti, disincentivavano l’obbligo di indossare le mascherine per evitare di “spaventare” i degenti. Un presunto fattore psicologico. Questa cosa sta iniziando a emergere anche per il Pio Albergo Trivulzio e Mediglia. Ne sconsigliavano l’impiego”.

Voi invece?
“Le abbiamo fatte adottare d’obbligo già dai primi di febbraio, prima che spuntasse il Paziente 1 di Codogno. È stato il diffondersi delle prime notizie allarmanti da Cina e Corea che ci ha spaventato. Invece di prendere la cosa sotto gamba, come hanno fatto praticamente tutti, dalla Sanità al Governo, abbiamo riflettuto sul fatto che oggi il mondo è globalizzato. Basta prendere un aereo e in un attimo chiunque arriva ovunque”.

Siete stati lungimiranti.
“Poi abbiamo pochi ospiti, è una struttura privata e grande attenzione a chi arriva dall’esterno. Ma guardi che questa cosa delle mascherine sconsigliate (e ora obbligatorie) c’è stata all’inizio ovunque. La sorella di mia moglie lavora in un supermercato del lodigiano e, mentre in altri posti lasciavano alle commesse la libertà di decidere se indossarle o no, lì da lei ne sconsigliavano l’impiego perché temevano fosse un danno d’immagine per l’azienda”.

Altri motivi che secondo lei hanno portato al propagarsi così veloce del virus in Lombardia?
“Ci sono tanti positivi asintomatici che vanno o andavano in giro a infettare. Penso che il numero dei contagi che viene fornito quotidianamente vada moltiplicato per 4 o 5 per avere il dato reale. Da lì la crescita esponenziale. Del resto il caso di Castiglione d’Adda è esemplare: hanno sottoposto a tampone tutti coloro che dovevano donare sangue, ed è uscito che il 70% era positivo al Covid-19. Tutti ovviamente asintomatici. Il virus è molto più diffuso di quanto si creda”.

Perché così pochi tamponi in Lombardia?
“Anche mia moglie, che lavora come infermiera in un reparto ospedaliero, non l’ha mai avuto. In Lombardia c’è stato senza dubbio un difetto di tamponi. Ma comprendo anche che c’è una complessa catena dietro: dagli operatori che li fanno, ai laboratori, ai reagenti da reperire…”.

E in tutto questo, le RSA?
“All’inizio se le sono dimenticate tutti. Il fanalino di coda. Salvo poi accorgersene quando ci sono stati i primi decessi”.

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