Inchiesta Cemento Capitale, il sacco di Roma est: così la politica ha ceduto alla speculazione dei privati
Dal nuovo Stadio a Pietralata. Alle concessioni per costruire all’Ex Snia. Fino alla nuova Cinecittà di Torre Spaccata. Così i partiti si arrendono alla speculazione edilizia. Mentre associazioni e urbanisti accusano: “Il Campidoglio non ha un’idea di città"
Per capire dove sorgerà la curva nord del nuovo stadio di proprietà della A.S. Roma, progetto alla mano, occorre bussare alla porta dell’abitazione di Flavio Fianco. Siamo in una strada che sorge alle spalle di via dei Monti Tiburtini, nel quadrante sud-est della Capitale che comprende l’ospedale Pertini, la stazione Tiburtina e il quartiere popolare di Pietralata. Flavio è uno dei residenti che oggi rischiano l’esproprio della casa e che accompagna TPI lungo il percorso di 14 ettari in cui è prevista la realizzazione del nuovo stadio della Roma. Una partita finanziaria per cui il presidente giallorosso, il magnate statunitense Dan Friedkin, sarebbe pronto a investire 530 milioni di euro, ottenendo in cambio da parte del Comune di Roma il diritto di superficie su terreni pubblici e la concessione per novant’anni del nascente stadio multifunzionale, che comprenderà anche 160mila metri quadrati tra campi da calcio, padel e tennis, un teatro all’aperto, ristoranti e negozi.
«La famiglia di mia moglie vive qui da quattro generazioni, dal 1922», racconta Flavio, mentre camminiamo all’interno dei quasi due ettari di terreno che ha acquisito nel tempo dallo stesso Comune di Roma per prendersene cura, e in cui svettano decine di alberi secolari: albicocche, mandorli, fichi, prugne, centinaia di tipi di piante tutte diverse tra di loro.
«Queste piccole case insieme alle porzioni di terreno annesse sono state il set dei film di Pasolini ambientati nella borgata di Pietralata», dice l’uomo, mostrando una delle vasche di cemento adibite in quegli anni a piscine naturali dove facevano il bagno d’estate i figli degli operai poveri arrivati a Roma dalle campagne del centro-sud che, agli inizi del ‘900, in queste terre avevano costruito le loro abitazioni di fortuna.
«In questa casa ha abitato mio nonno e mio padre, io ci abito dal 1955, ed ora c’è mia figlia, quattro generazioni sono passate da qui, in questi tre ettari di terreno ci faranno la curva sud», esclama Luciano, un altro dei proprietari a rischio esproprio che ci apre la porta della sua abitazione.
«Questa è un’area da tutelare non soltanto per ragioni naturali, visto che è uno degli ultimi polmoni verdi rimasti nella zona, ma anche per ragioni storiche, qui sotto vi sono i resti della Roma antica, questa è una zona sottoposta in parte a vincolo archeologico, e la soprintendenza capitolina si dovrà certamente esprimere in merito». Prosegue Fianco: «le ragioni della nostra opposizione a questo progetto sono molteplici, e tutte, quelle sì, di interesse generale. A cominciare dal fatto che il progetto presentato dalla A.S. Roma al Comune non ha valutato la questione degli espropri e degli allontanamenti forzati delle famiglie e delle aziende che sono presenti da diversi anni sul territorio». E ancora: «In questa vicenda si intersecano più criticità: dall’impatto ambientale dovuto all’eccessivo consumo di suolo su di un’area pubblica, agli alti parametri di inquinamento atmosferico già segnalati dall’Arpa nella zona; dalla mobilità che diverrà impossibile, al grave impatto acustico che graverà sui pazienti e sul personale del vicino ospedale Pertini».
Interesse privato
«Come cittadini siamo molto preoccupati che il movimento di veicoli di traffico privato, conseguente a eventi sportivi e non sportivi di massa, possa creare un grave disagio per quanto riguarda l’accesso alle cure in condizioni di emergenza, se pensiamo soltanto che l’ospedale Pertini nel 2021 ha effettuato 36.323 prestazioni di pronto soccorso», continua Daniela, che fa parte del Comitato Villa Blanc, una delle dieci realtà radicate nel II e IV Municipio che chiedono di essere ascoltati dalla giunta Gualtieri e dalle altre forze politiche presenti in Campidoglio.
Alle preoccupazioni dei residenti sulla bontà del progetto, poi, si devono aggiungere le ombre di solidità finanziaria che gravano sulla A.S. Roma, che potrebbero esporre l’intero progetto dello stadio ai rilievi della Corte dei Conti. La Roma, infatti, secondo la società di revisione indipendente Deloitte, ha una posizione finanziaria netta consolidata negativa per 346 milioni di euro, una perdita consolidata di gruppo di 219,3 milioni e un deficit patrimoniale consolidato pari a 338,9 milioni. E l’annunciato piano di ricapitalizzazione, intanto, è stato procrastinato al 31 dicembre del 2024.
Nel frattempo, l’ipotesi del nuovo stadio ha visto una accelerata improvvisa negli ultimi mesi, quando il consiglio comunale capitolino ha approvato con 33 voti a favore, anche di Azione, Udc, Forza Italia, e tre astenuti dai banchi della Lega e di Fratelli d’Italia, la delibera di interesse pubblico. «Siamo in attesa di valutare il progetto definitivo, per ora ci asteniamo, ma non siamo contrari a prescindere al nuovo stadio», ha detto a TPI la consigliera di FdI, Mariacristina Masi. Il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, invece, ha commentato così la votazione: «È un gol della città».
In tutti i casi, la palla ora passerà alla Regione Lazio per l’approvazione definitiva attraverso l’Autorizzazione integrata ambientale. Nel frattempo, la società si è impegnata a rispettare alcune prescrizioni: occuparsi degli espropri e minimizzare l’impatto del cantiere sull’ospedale Pertini. Ma né l’Asl, né l’ospedale sono stati al momento interpellati nel procedimento. Intanto, i residenti e i comitati territoriali sono sul piede di guerra contro la nuova colata di cemento che attende il quadrante che abbraccia l’asse Tiburtina-Pietralata, a Roma Est.
Le mani sulla Città Eterna
Perché è un fatto che ancora una volta quando si discute di scelte urbanistiche che potrebbero cambiare per sempre un intero quadrante della città, a Roma, i convitati di pietra siano i residenti danneggiati dai progetti, e la classe politica ceda svelta il passo ai signori del cemento.
A riferirlo sono anche i Comitati di cittadini e residenti del quartiere Prenestino – Labicano che da mesi denunciano l’operazione di cementificazione che mette a rischio l’oasi naturale sorta attorno ai ruderi dell’ex fabbrica Snia Viscosa, un altro dei polmoni verdi rimasti nella zona di Roma est, lungo il quadrante che collega la via Prenestina al polo logistico ferroviario della stazione Tiburtina. Peraltro, proprio ad appena qualche chilometro di distanza dall’area in cui dovrebbe sorgere il nuovo stadio.
Infatti, come hanno raccontato a TPI dal Forum Permanente del Parco delle Energie, un comitato che da trent’anni si batte per l’istituzione dell’oasi naturalistica, «il comune di Roma aveva rilasciato un permesso di costruire alla società Srl Ponente 1978 per un progetto di restauro, risanamento e parziale ristrutturazione, ed i lavori sono cominciati ufficialmente il 19 dicembre scorso, con deadline nel 2025».
«Una forzatura, che potrebbe dar luogo a profitti prevaricanti e insostenibili dal punto di vista ambientale», secondo l’ex consigliere regionale Marco Cacciatore che ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Roma, denunciando la società dei costruttori Pulcini proprietari dei ruderi fatiscenti dell’ex fabbrica. Nell’esposto si legge che la Ponente Srl, per due volte, in attesa di ricevere il permesso a costruire, avrebbe disboscato l’area, cercando di «negare» così gli elementi naturalistici e di biodiversità presenti nella zona e condizioni invece necessarie per l’ampliamento del sito naturale. «La prima volta senza averne titolo», sostiene Cacciatore. «La seconda volta», invece, prosegue l’ex consigliere regionale: «è intervenuto un permesso di costruire del Comune di Roma che reca una data di inizio dei lavori successivo all’inizio delle attività di disboscamento, come mi è stato segnalato dai residenti. Non soltanto. Il permesso è rilasciato per attività conservative, anche se i progetti riguardano la demolizione e ricostruzione dei ruderi».
Da parte sua, l’assessore all’urbanistica di Roma Capitale, Maurizio Veloccia, aveva chiarito: «Il permesso di costruire riguarda gli edifici limitrofi, ad oggi esclusi dal perimetro del monumento naturale stesso e che è relativo a operazioni di restauro e risanamento conservativo degli immobili esistenti, sempre consentite nel rispetto delle norme vigenti, e non riguarda alcun tipo di nuova costruzione o cambio d’uso».
I Palazzinari
Qui, invece, la volontà del costruttore Daniele Pulcini, abituato in passato a dare del tu a Massimo Carminati, come raccontano le carte dell’inchiesta Mafia Capitale, è mettere a valore quei ruderi centenari acquistati 30 anni fa per trasformarli in nuovi depositi e magazzini per servire l’ultimo miglio della catena logistica del valore nella Capitale d’Italia. Strategicamente vicino agli svincoli dell’autostrada Roma-Napoli, del Grande Raccordo Anulare e della Tangenziale Est, a poche centinaia di metri di distanza dalla stazione Tiburtina, si tratta senza dubbio di un grande affare immobiliare. Perlomeno, questo è possibile ipotizzare leggendo il progetto (già bocciato dal Comune di Roma a guida Raggi) presentato nel 2018 dalla società di Pulcini e che ha lo stesso oggetto del permesso a costruire rilasciato dall’ente a guida Gualtieri nel novembre scorso: “Restauro, risanamento e parziale ristrutturazione”, progetti entrambi firmati dall’architetto Mauro Mancini.
Infatti, gli edifici centenari che si vorrebbe “risanare” e che versano in uno stato di estremo abbandono dal 1955, sono in gran parte completamente crollati, ma nel progetto presentato diventano sette fabbricati da restaurare e valorizzare: i due reparti chimici, gli uffici generali, la portineria, i reparti meccanici, per un totale di 40mila metri quadrati utili da edificare.
Sia come sia, «il presidente Zingaretti aveva garantito che avrebbe firmato il decreto di istituzione del Monumento naturale, estendendolo agli edifici pericolanti dell’ex Snia. Ed anche gli stessi uffici regionali avevano assicurato che senza la conclusione dell’iter prima delle dimissioni del presidente, la procedura sarebbe andata avanti comunque», dice Alessandra Valentinelli, storica del paesaggio e attivista del Forum. «A quanto pare, l’unica cosa che va sempre avanti è la volontà della proprietà privata di sfruttare economicamente un’isola di natura in mezzo ai palazzoni di una periferia senza verde per gli abitanti».
Per questo, il Forum, insieme alle associazioni A Sud onlus e Legambiente, hanno presentato di recente un ricorso al Tar del Lazio, lamentando «una serie di carenze nell’istruttoria che ci hanno portato a impugnare il titolo edilizio», conferma uno dei legali delle associazioni, l’avvocato Antonello Ciervo.
Il Dossier
«Chiediamo da tempo al Sindaco Gualtieri e all’assessore Veloccia un’operazione trasparenza, la creazione di una piattaforma web comunale interattiva che permetta ai cittadini di individuare i luoghi e le tipologie degli interventi urbanistici in corso, in particolare derivanti dal Pnrr, in previsione del Giubileo ed eventualmente di Expo 2030. Ad oggi non ne abbiamo notizia», afferma Anna Maria Bianchi Missaglia, portavoce dell’associazione Carte in regola.
«A Pietralata, come a San Lorenzo, come a Santa Maria della Pietà, come in altre situazioni in Città, a me sembra che questa amministrazione non abbia le idee chiare su quello che vuole fare», spiega Rossella Marchini, architetta di lungo corso ed autrice insieme al compianto Antonello Sotgia di diversi saggi sulle vicende urbanistiche nella capitale d’Italia. Secondo Marchini: «I privati hanno le loro proposte, legittime, si intende, hanno una idea di città. Il turismo, le grandi opere, i grandi eventi, la logistica come nel caso dell’Ex Snia, gli student hotel, i grandi alberghi, i nuovi studios a Cinecittà. Ma che ruolo giocano gli abitanti, in queste partite?». E l’attuale amministrazione, al di là della città dei 15 minuti, quale visione ha da mettere in campo?», si chiede l’urbanista.
È la “Fiera dell’Est”, per dirla con il titolo di un corposo dossier che ha realizzato il comitato che si oppone all’edificazione dei nuovi studios della società Cinecittà sui 40mila metri del pratone di Torre Spaccata. Qui, invece, lungo l’antica Via Casilina si trova una delle aree più contese da 50 anni tra interessi pubblici e rendita immobiliare. In questa lingua verde piena di storia e natura che i residenti chiamano da sempre il “Pratone”, si gioca oggi una partita finanziaria importante per ricevere e gestire i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. «Un’occasione che non si può perdere».
Come ha sottolineato in Senato il ministro che ha la delega ai fondi del Pnrr, Raffaele Fitto: «Il progetto di Cinecittà partiva con un dimensionamento molto importante. Se non dovesse essere oggetto di una revisione, in termini complessivi di progetto e soprattutto di risoluzione di alcuni contenziosi che sono al suo interno, difficilmente potrebbe raggiungere il risultato».
Il giorno dopo quelle parole i quotidiani storicamente vicini agli immobiliaristi romani hanno riferito dei fondi europei che sono a rischio per l’opposizione di giudici ed ambientalisti. La torta, in effetti, è ghiotta. Il progetto complessivo prevede uno stanziamento di risorse europee pari a 262 milioni di euro, per la costruzione di 5 nuovi teatri di posa e la ristrutturazione di 4 teatri che si trovano sui terreni storici degli stabilimenti cinematografici di Cinecittà.
Ma il punto contestato, come è noto, è quello dell’ampliamento degli stabilimenti cinematografici sull’adiacente terreno dove si trova il pratone di Torre Spaccata. Da queste parti la società Cinecittà ha raggiunto un accordo preliminare con Cassa Depositi e Prestiti per acquistare a 17,8 milioni di euro 31 ettari da valorizzare.
Così, scrivono i ricercatori nel dossier: «Il Pratone passando di mano in mano negli anni tra i poteri forti di Roma, Torlonia, Gerini, Cabassi, Italstat, Cassa Depositi e Prestiti, può essere considerato un laboratorio sperimentale per i processi di finanziarizzazione immobiliare». Mentre continua il saccheggio di Roma Est, dunque, oggi si cerca un interesse superiore che possa legittimare nuovamente l’edificazione del Pratone, avendolo trovato nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Anche se, proprio mentre questa inchiesta va in stampa, l’amministratore delegato di Cinecittà, Nicola Maccanico, ha annunciato la rimodulazione dell’intero progetto, poiché i 40 milioni da usare per il Pratone non sono più utilizzabili nell’ambito dei finanziamenti del Pnrr. E poi ha aggiunto: «L’opzione di Torrespaccata rimane, ma i tempi e le modalità non sono più gli stessi».